La “botanicstar” Stefano Mancuso paragona i migranti alle piante aliene scatenando la protesta di tre importanti Società scientifiche. Una riflessione sul bisogno urgente di complessità
Tre Società scientifiche, tra le più importanti per quanto riguarda lo studio delle piante in Italia (Società Botanica Italiana, Società Italiana di Biogeografia e Società Italiana Scienza della Vegetazione), attraverso un comunicato congiunto hanno fortemente criticato un’iniziativa del comune di Prato che vede al centro la nota “botanicstar” - professore universitario e divulgatore - Stefano Mancuso. Una notizia che invita a riflettere sull'urgente bisogno di complessità nel dibattito pubblico
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Tre Società scientifiche, tra le più importanti per quanto riguarda lo studio delle piante in Italia (Società Botanica Italiana, Società Italiana di Biogeografia e Società Italiana Scienza della Vegetazione), attraverso un comunicato congiunto hanno fortemente criticato un’iniziativa del comune di Prato che vede al centro la nota “botanicstar” - professore universitario e divulgatore - Stefano Mancuso.
Il progetto, chiamato “Il Bosco delle Neofite”, è stato inaugurato lo scorso maggio. Per “neofite”, nel nostro contesto, si intendono piante di altri ambienti introdotte accidentalmente o deliberatamente in Europa e in Italia. Spesso queste piante sono anche considerate invasive, in grado cioè di colonizzare rapidamente ambienti a loro estranei e formare popolazioni estese. La caratteristica principale del progetto realizzato a Prato è la presenza, in soli 7.500 metri quadrati, di numerose specie di alberi e arbusti introdotte in Italia, in passato, da diverse aree del pianeta. Alcune delle specie utilizzate da Mancuso sono considerate come “aliene invasive”, quindi non solo estranee alla nostra flora, ma anche rischiose per i nostri ecosistemi, perché potrebbero diffondersi in modo incontrollato andando così a modificarne gli equilibri naturali.
“Prato è una città multietnica”, ha spiega Stefano Mancuso nel giorno dell’inaugurazione, “e il parco vuole rappresentare proprio questo. Ci sono piante non autoctone ma che lo diventeranno nel tempo, così come i migranti di oggi saranno i cittadini italiani e pratesi di domani. Questo parco si chiama Bosco delle Neofite perché, contravvenendo alle norme che in genere impongono di riforestare usando solo specie locali, è costituito da piante che non sono originarie di questi luoghi ma che lo stanno diventando. La verità è che il concetto di autoctono di per sé è privo di senso, dal momento che il mondo, come lo conosciamo oggi, è frutto di continui cambiamenti, innesti e migrazioni”.
Un’uscita che, unendo al tema ambientale anche quello dell’integrazione tra diverse culture, ha suscitato grandi apprezzamenti da più parti. Ma è proprio il paragone tra alberi ed esseri umani - un evergreen nella narrazione di Mancuso - che ha invece fatto infuriare gli scienziati.
“Le argomentazioni con cui è stato presentato il progetto lasciano molto perplessi, perché semplificano e banalizzano problemi importanti e tra loro ben distinti, come la necessità di azioni per il contrasto ai cambiamenti climatici, le invasioni biologiche e i flussi migratori umani”, spiega il comunicato. “I flussi migratori riguardano una sola specie, la nostra (Homo sapiens), la cui attitudine alla migrazione è attestata fin dalla sua origine e dipende da fenomeni sociali, politici ed economici. Al contrario, le piante neofite fanno parte delle specie aliene. Esistono specifiche politiche nazionali ed europee di gestione e contrasto a tali specie, qualora diventino invasive, per i danni che potrebbero arrecare alla biodiversità originaria”.
Proprio per questo, le tre Società scientifiche non accettano il paragone fatto da Mancuso con i migranti: “Diventa pericoloso proporre analogie tra i migranti della nostra specie e le specie aliene. Questioni complesse come l’immigrazione e questioni scientifiche come la gestione delle specie aliene devono essere trattate con il dovuto rispetto degli ambiti che le caratterizzano”.
Il comunicato delle tre Società scientifiche termina spiegando che: “Sebbene il progetto del Bosco delle Neofite consista nella realizzazione di un parco urbano, e rappresenti un pericolo moderato per la biodiversità nativa, come comunità scientifica botanica riteniamo dover porre in evidenza la poco felice strategia di comunicazione con cui è stata presentata questa iniziativa, con l’analogia tra le migrazioni di esseri umani e l’introduzione artificiale di specie che mai sarebbero arrivate con i loro mezzi biologici”.
Non si tratta certo della prima dura reazione che Mancuso suscita tra chi studia la vegetazione o le soluzioni per mitigare il cambiamento climatico. La narrazione del botanico, spesso molto semplice e accattivante, arriva efficacemente al cuore e alla pancia delle persone, ma camminando semanticamente in bilico su un filo sottile e per certi versi assai rischioso.
C’è da dire però che il messaggio insito nell’idea progettuale del “Bosco delle Neofite” è forte, colpisce l’immaginario: proprio come un’opera d’arte è in grado di stimolare riflessioni che vanno ben oltre la scienza della vegetazione, innestandosi su questioni aperte della nostra società che meritano di essere affrontate a più livelli. Il Parco, non a caso, è stato proposto proprio da un'Associazione che si occupa d'arte (Arte Continua). Al contrario, il comunicato delle tre Società scientifiche rischia di apparire come una protesta ostinata, piccata, che tiene conto sì di serie motivazioni conservazionistiche, ma senza analizzare il messaggio profondo, ampio e secondo alcuni “visionario” che il progetto vuole lanciare nel suo insieme.
Del resto, giardini e orti botanici con specie esotiche sono sempre stati realizzati e in Italia sono tante le specie vegetali introdotte in passato che oggi sono parte integrante del nostro “paesaggio culturale”, sia agrario che forestale. Un esempio è il cipresso, introdotto in epoca antichissima e divenuto addirittura un simbolo della Toscana, ma l’elenco sarebbe lunghissimo, comprendendo tante altre piante oggi alla base della nostra “cucina tipica tricolore”.
Forse il problema vero, spesso messo in luce dalle uscite pubbliche di Stefano Mancuso, è la cronica mancanza di complessità all’interno di iniziative e messaggi pensati per colpire il grande pubblico. Quel parco, ad esempio, avrebbe potuto accogliere specie native e piante neofite insieme, ma con una grande “regola d’integrazione di base”: solo se quest’ultime non sono considerabili come invasive. In questo modo si sarebbe potuto far riflettere sia, in generale, sulla “buona integrazione” e sulla storia dei movimenti planetari di uomini e piante, ma anche sui rischi di immettere specie estranee ai nostri ecosistemi, in particolare se potenzialmente dannose per la biodiversità. Il messaggio si sarebbe fatto indubbiamente più difficile, ma ben più stratificato e multiforme, portando ai fruitori non solo un’emozione, ma anche qualche “mappa culturale” in più per orientarsi nella comprensione di fenomeni antropici e naturali che non sempre sono paragonabili, come giustamente hanno sottolineato le tre Società scientifiche.
La complessità non va rifuggita, in particolar modo oggi, in una società dominata da slogan che vive nel mezzo di enormi crisi ambientali, climatiche e sociali. Occorre invece abitarla e proporla giornalmente come “metodo per osservare il modo”, in particolar modo se di mestiere si fa divulgazione scientifica. Dopo il “benvenute a tutte le neofite” e la severa - ma giusta - critica delle tre Società scientifiche, occorrerebbe allora iniziare a muoversi su un terreno comune, cercando una nuova via per raccontare il difficile, affascinante, intricato rapporto tra esseri umani e natura.
Perché ne abbiamo scritto su L’AltraMontagna? Perché questo esempio, che arriva da una città di pianura, può farci in realtà riflettere su tante narrazioni semplificate e talvolta manichee che avvolgono alberi, piante e boschi nelle Terre Alte, nel loro articolato e imprescindibile rapporto con le altre specie e il tessuto socioeconomico della montagna.
Forse proprio la montagna può oggi rappresentare un contesto ideale per sperimentare nuove narrazioni vocate alla complessità. È un cammino in salita: il nostro terreno ideale.
Foto: Il Bosco delle Neofite a Prato, Arte Continua