Irridere i "negazionisti climatici" è inutile, oltre che controproducente, se si vuole portare un contributo concreto alla causa
Negare la connessione causale tra le attività umane e i cambiamenti climatici è più semplice che accoglierla, e le motivazioni che spingono alcune frange sociali a rifugiarsi nel rifiuto e nella negazione dell'evidenza scientifica sono le più disparate. Cercare di comprendere quali siano i motivi che spingono al rifiuto della scienza è il primo passo per divulgare informazioni corrette e vere
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Negare la stretta relazione tra cambiamenti climatici e attività antropiche è più semplice che accoglierla: per questo motivo, nell'arena sociale, una percentuale non irrilevante di persone chiude gli occhi e scrolla il capo di fronte a una connessione ormai evidente.
"Eppure sono stati formulati migliaia di studi scientifici - penseranno comprensibilmente molti di voi - che dimostrano in modo chiaro e uniforme l'influenza umana sull'aumento delle temperature".
Ma c'è un problema considerevole, che tuttavia viene spesso trascurato e che nasce dalla diffusa tendenza a intendere le società come una tavolozza monocroma. Al contrario, le sfumature umane che la compongono sono incalcolabili: ogni persona abita un suo "micro mondo", fatto di passioni, di necessità, di frequentazioni, di riferimenti etico-culturali/controculturali e, soprattutto, di possibilità economiche.
Nessuna traiettoria umana è identica alle altre, ed è questo sostanzialmente il motivo che spinge alcune frange sociali a rifugiarsi nel rifiuto, nella negazione, e le motivazioni di questa (spesso) inconsapevole scelta sono le più disparate: c'è chi è sinceramente convinto dell'innocenza antropica, perché influenzato da canali d'informazione imperniati sul complotto; c'è chi rifiuta la voce della scienza in modo furbesco, perché sulla negazione ha trovato una via per speculare; c'è chi nega per pigrizia, perché ogni trasformazione implica un cambiamento, anche soggettivo; c'è chi si tappa le orecchie per ragioni economiche (sul piano alimentare, per fare un esempio, "mangiare sostenibile" ha un prezzo maggiore; così come sul fronte dell'abbigliamento "vestire sostenibile" costa di più); c'è chi imbavaglia le bocche della scienza perché nel fossile trova ancora una considerevole forma di guadagno; e così via, l'elenco potrebbe protrarsi ancora a lungo.
L'oggettività scientifica; ciò che all'interno delle mura delle accademie ha un volto chiaro, dettagliato e inequivocabile, sfuma quindi non appena si affaccia nella società.
È proprio nell'esile spazio che separa accademie e società, che si dovrebbe dunque inserire la figura del divulgatore; e ha un compito delicato quanto importantissimo: semplificare approdi scientifico-culturali senza ridurne la complessità. E nel farlo è necessario adottare un linguaggio empatico, capace di intercettare i desideri e i timori delle persone per accompagnarle verso le oggettività scientifiche seguendo percorsi narrativi più idonei alle diverse sensibilità.
Invece - lo si nota periodicamente con rammarico - importanti portali di informazioni e politici dotati di grande visibilità, per qualche manciata di click/voti in più, preferiscono alimentare l'incertezza, prendendosi così gioco di chi, per un motivo o per l'altro, continua a negare; prendendosi gioco delle generazioni più giovani e di quelle chi verranno; prendendosi gioco di loro stessi, che dell'ambiente sono parte integrante.
Di conseguenza, la prossima volta che vedrete qualcuno battersi per difendere tesi negazioniste, non irridetelo, ma cercate di comprendere i motivi che lo stanno spingendo al rifiuto della scienza: solo allora avrete in mano gli strumenti necessari per provare a fargli cambiare idea.