Gli Appennini: "spina dorsale d'Italia" tra spopolamento e storie di resistenza e rigenerazione
Spesso concentriamo le nostre attenzioni sulle Alpi, dimenticando quel formidabile laboratorio sociale che sono gli Appennini. Parleremo del presente e del futuro degli Appennini, di come narrarli, di come pianificarne il territorio e di come lo spopolamento abbia inciso su di essi. Appuntamento in Piazza Cesare Battisti alle ore 19:00
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Pietracamela è un paese di poco più di 220 abitanti in provincia di Teramo situato a 1000 metri sul livello del mare e sovrastata dal Corno Grande, vetta più alta dell’Appennino. Se ne avete sentito parlare di recente, probabilmente, è merito della discussione nata dall’intenzione della giunta comunale di utilizzare parte (360mila euro!) dei fondi del Pnrr, destinati alle aree colpite dal terremoto e alla ripartenza economica e sociale di queste, per la realizzazione di un campo per giocare a padel.
Come racconta un articolo parte della serie dedicata ai ghiacciai europei in rapido ritiro pubblicato su Euractiv, Pietracamela, un tempo avamposto alla moda per gli attori romani in cerca di un weekend di sci e discoteca, con tre discoteche e un piano bar, si presenta ora come una città fantasma, fortemente spopolata e a rischio di collasso sociale.
Molte delle case in pietra costruite negli ultimi cinque secoli sono vuote, anche a causa dei due terremoti che hanno colpito la regione negli ultimi 15 anni (L'Aquila nel 2009 e Amatrice nel 2016-2017).
La situazione è aggravata dal surriscaldamento globale in corso: il ghiacciaio del Calderone, sotto le tre cime del Corno Grande, con l’inarrestabile fusione si è separato in due parti più piccole e ha perso il suo status diventando “sistema glaciale”, le nevicate sono sempre più scarse e gli impianti di risalita sono fermi dal 2016 per problemi legali e gestionali (come da rapporto NeveDiversa).
Con la diminuzione dei turisti, i residenti locali hanno cercato lavoro altrove e la popolazione ha iniziato a diminuire: non ci sono più scuole nella zona (un tema portato recentemente sui grandi schermi dal film "Un mondo a parte") e Intermesoli, una frazione di Pietracamela, ha recentemente festeggiato l'arrivo dei primi due bambini in quasi due decenni.
Come sempre accade, il declino della popolazione porta al ritorno della fauna selvatica: le popolazioni di lupi sono in aumento, attratte dai cervi e dai cinghiali, che spesso attraversano le strade del paese verso il tramonto.
Nel frattempo, la ricostruzione dopo il terremoto continua e gli abitanti di Pietracamela non si arrendono: negli ultimi 15 anni, Pasquale Iannetti, guida storica della regione, ha aperto nuove vie di arrampicata con i suoi colleghi, mentre le autorità locali stanno lavorando a progetti per aggiungere il paese a una rete di sentieri per il trekking.
Quello di Pietracamela, tuttavia, non è un caso isolato, infatti i comuni della montagna abruzzese si stanno spopolando a un ritmo superiore rispetto alla media nazionale, come dimostra una ricerca recentemente pubblicata da openpolis.
L’Abruzzo è una regione che in generale sta perdendo popolazione (tanto che secondo le stime di Openpolis la popolazione della regione nel 2070 potrebbe scendere al di sotto del milione) ma i suoi territori montani stanno vivendo uno spopolamento molto superiore a quello medio, con un calo del 6.2% dei residenti tra i 2015 e il 2022.
Questo dato è confrontare con calo demografico medio nei comuni di montagna italiani del -4,1%, un dato decisamente non inedito, che affonda le sue radici negli anni ‘30 “quando la dorsale appenninica ha visto scivolare a valle i suoi abitanti, principalmente come conseguenza del venire meno di quegli elementi essenziali alla vita: l’emigrazione, soprattutto maschile, e la perdita di redditività dell’allevamento e della silvicoltura, tra gli altri” (Renzis, Faggian e Urso, 2022). Tutte le regioni italiane hanno vissuto uno spopolamento delle aree montane negli ultimi anni, con la sola eccezione del Trentino Alto Adige, che ha registrato un aumento del 1,6%.
Le cause della tendenza ad un maggiore spopolamento delle aree montane sono note e sono spesso riconducibili alla mancanza di opportunità sul territorio, e dunque una variabile chiave nell’invertire la rotta e determinare una nuova traiettoria di sviluppo di queste può essere identificata della capacità di adattamento dei territori.
Se è vero che il declino dei territori, dovuto a processi di urbanizzazione e industrializzazione, ha guidato lo spopolamento, è anche vero che nei diversi territori montani la capacità di adattamento non è stata la stessa, e così anche nelle aree interne, alcuni comuni hanno mostrato una maggiore adattabilità ai processi di sviluppo.
Secondo una recente ricerca del Gran Sasso Science Institute tra gli elementi cruciali in grado di garantire una maggior capacità di adattamento c’è l’esistenza di un contesto socio-economico diversificato, capace di cogliere le opportunità offerte dalla terziarizzazione dell’economia, con un elevato livello di occupazione femminile e una bassa esposizione al rischio di vulnerabilità sociale e materiale.
Un altro elemento di grande incidenza è dato dalla percentuale di residenti con un diploma, a conferma di quanto l’accesso all’istruzione rappresenti una variabile cruciale nelle dinamiche di sviluppo territoriale.
Dall’analisi di Openpolis emerge come per contrastare la tendenza allo spopolamento della montagna sia necessario investire sui fattori di sviluppo identificati come prioritari dalla letteratura, dall’offerta educativa al contesto socio-economico: “Rafforzare la capacità amministrativa degli enti, con interventi e servizi programmati su scala sovracomunale, resta quindi un presupposto necessario di qualsiasi politica per la montagna, insieme al coinvolgimento delle comunità residenti sul territorio. Un aspetto quest’ultimo altrettanto imprescindibile, per dare basi solide al potenziale di rilancio di queste aree”.
Siamo forse al tramonto della "fase della destrutturazione e dell’abbandono conseguenti al boom industriale e urbano del dopo-guerra", commenta Fausto Giovanelli, Presidente del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, nell'apertura dell'Atlante dell'Appennino, individuando nel presente e nel prossimo futuro "la possibilità di un nuovo equilibrio, trainato da ambiente e sostenibilità, valori forti e presenti nell’habitat e nei modi di vita dell’Appennino". Se l'Appennino per decenni è stato relegato a terra d’emigrazione e d’abbandono, è anche vero che accanto all'emigrazione, c'è stata anche un'immigrazione di persone attive e famiglie giovani che "vengono da altri paesi, ma anche dall'Italia" e questo, secondo Giovannelli "è da guardare con più attenzione" perchè si tratta delle "prime righe di una nuova storia".
Un’inversione di tendenza è possibile: ci sono luoghi in cui si trova una rinnovata capacità attrattiva, che si trova nelle storie personali dei ritornanti, nei racconti delle emozioni di montanari per scelta, degli immigrati, dei giovani che sul legame col territorio hanno fatto scommesse di lavoro e di vita.
Delle aree interne appenniniche, delle storie di rinascita, resistenza, riattivazione e sostegno delle comunità parleremo stasera, nel corso dell’ultima serata della rassegna “Un’ora per acclimatarsi” all’interno della programmazione del Trento Film Festival. Troppo spesso concentriamo le nostre attenzioni sulle Alpi, dimenticando quel formidabile laboratorio sociale che sono gli Appennini. Parleremo del presente e del futuro degli Appennini, di come narrarli, di come pianificarne il territorio e di come lo spopolamento abbia inciso sulla “spina dorsale” d’Italia. Parleremo anche di come si possono rigenerare i luoghi, attraverso esempi virtuosi di chi l’Appennino lo vive e lo racconta. Appuntamento in Piazza Cesare Battisti alle ore 19:00.