"Da eterno, spaventoso e meraviglioso, il ghiacciaio diventa un relitto, un ricordo": Rimaje, lo spettacolo che indaga il paesaggio in perenne movimento
Rimaje (dal latino "crepa"), l'ultimo spettacolo di Azioni Fuoriposto, è un'indagine che parte dalla scoperta dei ghiacciai, su ciò che a breve è destinato a sparire e sulla sua eredità, che mette in relazione corpi umani e corpi glaciali in quanto entrambi modificatori di paesaggio in perenne movimento e custodi di memorie, legati al Tempo e alla sua irreversibilità
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Azioni Fuoriposto è un collettivo artistico multidisciplinare che è nato nel 2019 di base a Trento. E' una compagnia che opera nel campo della danza e della performance all'interno di spazi non convenzionali. Si tratta di un gruppo che utilizza la danza non tanto come fine, ma come strumento per andare a cercare un incontro e un dialogo con i luoghi, con le persone: lavorano in natura o in ambiente urbano, creando dei lavori e delle performance connesse con il luogo che le ospita.
Il loro ultimo spettacolo, Rimaje (dal latino "crepa", utilizzato in alpinismo per indicare il crepaccio terminale del ghiacciaio), è dedicato ai ghiacciai e si tratta di un'indagine su ciò che a breve è destinato a sparire e la sua eredità, che mette in relazione corpi umani e corpi glaciali in quanto entrambi modificatori di paesaggio in perenne movimento e custodi di memorie, legati al Tempo e alla sua irreversibilità. L'AltraMontagna ha intervistato Silvia Dezulian e Filippo Porro, di Azioni Fuoriposto, per scoprire di più.
In che modo mettete il paesaggio al centro della vostra ricerca?
L'indirizzo di ricerca che ci continua ad ispirare è lavorare col paesaggio. Tendenzialmente i nostri lavori sono quasi a zero impatto ambientale, perché lavoriamo principalmente in spazi non convenzionali, cercando di relazionarci con il paesaggio, connettendoci con diverse sfere e professionalità. Lavoriamo spesso con paesaggisti, storici, guide di montagna, sociologi o architetti perché andiamo a studiare la specificità del territorio ogni volta che siamo chiamati a creare o a replicare la nostra performance in un nuovo luogo.
Il vostro spettacolo più riprodotto, Oltrepassare, è nato nel 2019 a Trento e ha l'ambiente montano come riferimento. In cosa consiste il lavoro che avete fatto in Oltrepassare?
Abbiamo lavorato su una performance in salita, una partitura di passi in salita in cui noi facciamo un percorso insieme al pubblico da un punto di inizio, a bassa quota, verso un punto panoramico, spostandoci in salita in modo che il pubblico insieme a noi faccia un'esperienza di cambio di paesaggio e di prospettiva. Una volta arrivati su in cima guardiamo il paesaggio che abbiamo attraversato. Negli anni l'abbiamo riproposto molte volte anche portando la montagna nelle città e questo è stato molto apprezzato da chi non ha occasione di vivere spesso la montagna e con il nostro lavoro può cogliere l'essenza della salita, della fatica, del ritrovare una connessione con l'ambiente che abbiamo intorno.
Il vostro spettacolo ha girato un po' tutta l'Italia, dalla Puglia alla Sicilia fino appunto qui in Trentino e il Friuli: come fate ad adattarlo al contesto che vi accoglie?
La nostra specialità è quella proprio di adattarci al luogo in cui arriviamo, quindi il lavoro è sempre lo stesso, però ogni volta, la coreografia che creiamo va ad adattarsi sempre al luogo in cui siamo in quel momento. Così, la drammaturgia dello spettacolo cambia ogni volta ed è subordinata al luogo in cui siamo, è il paesaggio che la detta. In Oltrepassare eravamo in tre, e indossavamo degli zaini-sculture che richiamano le gerle di montagna, creati da Martina Dal Brollo, un'artista visiva che si occupa di scultura tecnologica, e avevamo dei microfoni negli scarponi. In questo modo lo stare all'interno del territorio si traduce anche col far suonare questo territorio attraverso i nostri passi, che mappano la superficie creando dei suoni diversi a seconda della superficie calpestata.
Parliamo del vostro ultimo spettacolo, Rimaje, come è nato?
Durante una escursione sul ghiacciaio inferiore dell'Antelao, organizzata da Patagonia Montebelluna, siamo stati invitati a tenere un laboratorio itinerante legato al paesaggio, da fare con gli escursionisti. Ci siamo così trovati a lavorare con il ghiacciaio per la prima volta e a intervallarci con Stefano Benetton, un glaciologo. Noi avevamo l'intento di avvicinare empaticamente e fisicamente i partecipanti al ghiacciaio. E per noi questo processo è stato una fascinazione, si è accesa una scintilla e abbiamo iniziato a documentarci a livello scientifico sul ghiacciaio ed è stata una scoperta incredibile perché studiando ci siamo resi conto del grande parallelismo con il corpo umano. Da lì è partita la ricerca che è stata immersiva e che ha compreso anche escursioni e incontri con scienziati e professionisti del settore.
Che professionalità e personalità vi hanno accompagnati in questo percorso di ricerca?
Abbiamo lavorato con il Comitato Glaciologico Trentino e il Comitato Glaciologico Lombardo, con il Muse di Trento e abbiamo fatto una serie di escursioni in tutto l'Arco Alpino nel 2023, tra l'estate e l'autunno, ogni volta accompagnati da un partner diverso per focalizzarci su un tema diverso. L'intento era anche quello di aprire la ricerca anche agli escursionisti e agli appassionati di montagna che potessero appassionarci. L'ultima uscita che abbiamo fatto è stata sull'Adamello, proprio pochi giorni prima di poi andare a lavorare in sala, insieme a una guida alpina e a una guida del parco Adamello-Brenta. La sfida è stata quella di portare dei danzatori sul campo, sul ghiacciaio, farli camminare sulla materia, cercare di entrare il più possibile a contatto diretto con quel paesaggio, anche dove il ghiacciaio non c'era.
E per quanto riguarda la vostra connessione personale con le terre alte?
Siamo effettivamente tutte persone che vengono, in qualche modo, dalla montagna e questo ci ha permesso di andare a "spulciare" le storie familiari, le fotografie, scoprendo che relazione la nostra storia avesse con la montagna, e anche questo aspetto è stato poi portato nello spettacolo. Ci sono fotografie che abbiamo preso dai nostri album di famiglia, canzoncine, filastrocche che ricalcano quelle della nostra storia familiare. Tutto questo fa riferimento ai vari strati di memoria che il ghiacciaio racchiude e che allo stesso modo noi racchiudiamo nel nostro corpo con le nostre storie, con la nostra genetica. Questo è uno dei parallelismi che abbiamo fatto fra corpo e ghiacciaio.
L'elemento della fotografia d'epoca è stato centrale nel vostro progetto, potete raccontarci di più?
Abbiamo collaborato con il Forte di Bard e il Museo della Montagna e per noi avere accesso a quei cataloghi e a quelle informazioni è stato essenziale ed estremamente interessante, abbiamo raccolto tante foto d'epoca di alpinisti, alpini, di famiglie che andavano di montagna e nello spettacolo intero poi teatrale questo è proprio una fonte diretta.
Come si è svolto il processo di ricerca e poi quello creativo, con che obiettivi?
Abbiamo scelto di non partire dal fatto che i ghiacciai stanno scomparendo e dalla necessità di denunciare questa cosa. Il messaggio dello spettacolo non è ricalcare la tragedia del cambiamento climatico, ma comunque si conclude con Dorotea, nostra figlia, che è l'unica a rimanere, proprio perché lei è il nostro sguardo sul futuro, una bambina di sette anni. Nello spettacolo c'è anche la voce di mia nonna, quindi della bisnonna di Dorotea e ci siamo noi, che siamo contemporanei e c'è questa questa presenza infantile: si tratta di un approccio molto intergenerazionale.
L'obiettivo del lavoro è di trasmettere quella fascinazione che ha avuto per noi il ghiacciaio, di passarla anche a chi ci guarda, e il sottotitolo del lavoro è "disvelamento materico", perché per come a noi ci si è disvelato piano piano, studiandolo, anche noi cerchiamo di svelarlo al pubblico, tramite il corpo, tramite la danza, attraverso una grammaturgia fisica in cui il corpo degli interpreti è molto importante perché mettono in atto una loro visione di montagna.
Una volta il ghiacciaio era qualcosa di eterno, lontano da noi, orribile e meraviglioso allo stesso tempo, ma attualmente è qualcosa di sempre più fragile, di mortale. Cerchiamo di svelare questo tratto della sua storia in cui da eterno, spaventoso, orribile e meraviglioso, il ghiacciaio diventa una specie di relitto, un fantasma, un ricordo.