Come sono evolute nel tempo le località sciistiche alpine? Un viaggio alla scoperta della loro storia, tra passato, presente e futuro
Un viaggio alla scoperta delle località sciistiche alpine, attraverso il loro cambiamento e sviluppo nel tempo, fino all'attuale sfida del cambiamento climatico, con un focus sul percorso di adattamento e trasformazione del turismo invernale può essere narrato attraverso quattro generazioni di località sciistiche
Le Alpi sono testimoni di una storia dinamica di località sciistiche che, nel bene e nel male, hanno plasmato il territorio montano nel corso dell’ultimo secolo. Da epoche di cambiamento e sviluppo fino all’attuale sfida del cambiamento climatico, il percorso di adattamento e trasformazione del turismo invernale può essere narrato attraverso quattro generazioni di località sciistiche. E mentre ci immergiamo in questo viaggio, non possiamo evitare di riflettere sui lasciti degli interventi umani dell’ultimo secolo e chiederci cosa riserverà il futuro per queste località alpine.
Iniziamo il nostro viaggio alla scoperta delle località sciistiche alpine immergendoci nelle radici della Belle Époque. Con l'avvento dello sci come sport negli anni '30, le stazioni sciistiche della prima generazione sorgono in un’epoca in cui l’offerta inizialmente solo estiva si inizia ad allargare anche alla stagione invernale. L'evoluzione è guidata dagli imprenditori locali che, ispirati dalle destinazioni termali, costruiscono nuove strutture cercando di integrarsi con il tessuto urbano preesistente. Tuttavia, in alcuni casi, le nuove costruzioni finiscono per allontanarsi dai villaggi originari, dando vita a esempi di architettura isolata come i Grand Hotel di stile Liberty. In generale, queste prime destinazioni sciistiche si trovano in luoghi più facilmente accessibili, soprattutto in treno. Esempi più famosi in Italia sono Cortina, Courmayeur, Gressoney, ma anche Val Gardena, Val Badia, e Madonna di Campiglio. È proprio questo nuovo lusso ed eleganza che ha avviato una prima radicale trasformazione del paesaggio montano e del tessuto sociale delle comunità locali.
Proseguendo il nostro viaggio verso la seconda generazione, ci troviamo tra gli anni ‘50 e ‘60, nel pieno dopoguerra, durante un'epoca di grande crescita e massificazione del turismo. Le montagne diventano laboratori di sperimentazione per nuove tecnologie e infrastrutture, con l'obiettivo di attrarre sempre più turisti sulla neve in luoghi dove in precedenza non vi erano altro che semplici case e malghe sparse. Un esempio ante litteram è Sestriere, costruita negli anni ‘30 dove prima c’erano campi incontaminati, animali al pascolo, e le comunità della Val chisone e Alta Val Susa. Qui, la famiglia Agnelli ha ridefinito non solo la topografia locale, ma anche il senso di appartenenza al territorio. Per capirci meglio, le infrastrutture delle località di seconda generazione sono funzionali alla pratica dello sci: si sviluppano prima le piste, a ridosso di antiche mulattiere trasformate in vere e proprie strade, e poi gli alberghi, costruiti direttamente sulle piste. Si scelgono aree vicine alle città, e si inizia a puntare al turismo di massa, favorito anche dallo sviluppo della rete autostradale.
È già in questo periodo che possiamo intravedere, dietro la facciata di progresso e modernità, le prime sfide sociali e ambientali legate all'espansione incontrollata dei comprensori sciistici, con il loro impatto sulle comunità di montagna. Altri esempi di questa generazione sono lo Stelvio e Passo del Tonale.
Arriviamo poi alla terza generazione, un'era segnata dal mito delle "città della neve" e dalla visione di nuovi paradisi invernali. Emerse dagli anni '70 principalmente in Savoia, queste stazioni sciistiche sono il risultato dei vari piani neve dei governi francesi che mirano a democratizzare lo sci e gli sport invernali. Qui, le montagne diventano il palcoscenico di progetti ambiziosi e futuristici, con complessi residenziali e infrastrutture monumentali che trasformano il paesaggio alpino, in luoghi in cui prima predominava la natura. Situate ad altitudini superiori ai 1500 metri, vengono concepite come grandi complessi residenziali dotati di tutti i servizi richiesti dai turisti, e con un collegamento diretto alle piste. Gli esempi più celebri sono, appunto, quelli della Savoia, come Tignes, Avoriaz e Les Arcs. In Italia possiamo pensare a Folgarida, Marilleva, e Fassalaurina.
Tuttavia, molte di queste destinazioni sono il risultato di una progettazione impersonale e stagionale, portandole ad essere "città fantasma" durante i mesi estivi. Ad oggi, infatti, sono evidenti le crepe di una pianificazione urbana discutibile e di una scarsa integrazione con l'ambiente naturale circostante.
Infine, raggiungiamo la quarta generazione entrando in un'epoca di maggiore riflessione verso un turismo più sostenibile e autentico. Le montagne vengono ora usate come laboratori di innovazione sociale ed ecologica, in risposta alle critiche ambientali e architettoniche delle generazioni precedenti. Si punta ad una maggiore integrazione con l'ambiente circostante e al recupero delle caratteristiche dei villaggi montani tradizionali. In molti casi, però, il risultato è che le nuove località sciistiche finiscono per ricreare un effetto artificiale rispetto agli antichi villaggi. Gli esempi più famosi si trovano nelle Alpi francesi, come Valmorel e il distretto di Aigues Blanches, ma appartengono a questa generazione località anche molto diverse tra loro, da Verbier all'Altopiano di Asiago.
Oggi le località sciistiche all’interno dello Spazio Alpino sono più di duemila, tra sci alpino e nordico (OpenSkiMap). Tuttavia, di fronte alle sfide globali come il cambiamento climatico, il cammino verso un turismo responsabile e consapevole si rivela ancora un lungo viaggio, impegnativo e lontano dall’essere completato. Questa situazione solleva molte, anzi moltissime domande inevitabili: quanto a lungo queste destinazioni sciistiche potranno rimanere tali? Quale sarà il destino di un'economia che per un secolo ha attratto masse di turisti? Siamo forse arrivati ad un punto di declino?
Guardando al futuro, possiamo provare ad immaginare come sarà un’eventuale quinta generazione di "località di montagna" (e non solo “sciistiche”), forse più adatte a sopravvivere alle sfide attuali. In questo senso, trovo ci siano già casi promettenti nell’arco alpino. Ad esempio, il processo trasformativo di Métabief, una destinazione francese che dal 2018 sta progettando scenari futuri senza neve, sta aprendo la strada a offerte turistiche alternative o complementari allo sci. In Italia, si può immaginare che iniziative come quelle nella Val Maira o a Montespluga diventeranno sempre più diffuse, offrendo soluzioni creative e sostenibili per mantenere vive le località di montagna.
Se mantenere in piedi gli impianti di risalita non è più conveniente, soprattutto ad altitudini medio-basse, allora bisogna considerare di abbandonare lo sci da discesa per far spazio ad attività che abbraccino l’incertezza del clima che cambia. Allo stesso tempo, è difficile convincersi che lo sviluppo del turismo invernale si sia fermato a queste quattro generazioni, e che la natura si riprenda da sola questi spazi (anche se, ammettiamo, non sarebbe male). Perciò, la speranza è che la prossima generazione di località montane torni a dare priorità alla natura e alla semplicità, allontanandosi dal lusso e dal cemento delle generazioni precedenti. Con un approccio incentrato sull'adattamento al cambiamento climatico, queste future località di montagna potrebbero rappresentare non solo un nuovo capitolo nell'esperienza turistica, ma anche un modello per la coesistenza armoniosa tra l'uomo e l'ambiente montano.
Protect Our Winters (POW) Italia è una comunità di persone che amano e vivono la natura e si battono per proteggerla e per mantenerla così come la conosciamo. POW riunisce le forze di atleti professionisti, scienziati, creativi e partner commerciali impegnati nella tutela dell’ambiente e del clima. I pilastri su cui si fondano le sue azioni sono tre: la mobilità sostenibile, il turismo slow e a basso impatto e lo sviluppo regionale. I diversi gruppi in cui si dividono i volontari e le volontarie dell’associazione (athletes, science, creative e brand alliance) lavorano insieme per realizzare progetti concreti sul territorio e azioni di sensibilizzazione e divulgazione per coloro che non hanno ancora avuto l’opportunità di partecipare attivamente nella protezione del clima. Attraverso campagne e azioni nazionali e transnazionali, POW permette mira a far pressione sulla politica, a tutti i livelli, per ricordare a tutti e tutte quali sono gli obiettivi centrali della mitigazione del cambiamento climatico.