Il "caso Roccaraso" evidenzia il conflitto tra turismo ricco (considerato buono) e turismo povero (considerato cattivo): oltre le distinzioni per riflettere sul futuro dell'Appennino
Domenica scorsa abbiamo seguito da vicino l'ormai celebre "vicenda Roccaraso" raggiungendo la località abruzzese. Ci è servito per toccare con mano alcune importanti trasformazioni che riguardano il turismo montano. Ecco il resoconto della giornata, accompagnato da qualche considerazione
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Domenica 2 febbraio, mezzogiorno: alla pompa di benzina di Roccaraso ci sono 4 pullman da Caserta, Caivano, Salerno e Bari. Ragazzi di vent'anni con moon boot e giacche da sci. Arriva una navetta che ne carica 9 verso il centro di Roccaraso. In paese, la prima impressione è che sia una normale domenica di inizio febbraio non molto popolata. Ci sono più guardie e giornalisti che turisti.
In un nolo sci, i gestori dicono che la domenica precedente c’è stato un flusso considerevole: dal negozio vedevano passare un flusso continuo di persone. Loro sono riusciti ad affittare molta attrezzatura senza intoppi. I problemi li hanno avuti perlopiù bar e ristoranti invasi dalle folle che cercavano servizi, dal momento che i bagni pubblici erano del tutto insufficienti.
Verso le 13:00, gli escursionisti sembrano concentrarsi nella zona dell'Ombrellone: prati in cima al paese con una seggiovia per famiglie, un paio di bar e ristoranti. Tra le zone “prese d’assalto” il 26 gennaio. Nel piazzale antistante, campeggia una fila luccicante di 28 bagni chimici, installati per l’occasione. Sul prato, un po’ di persone pascolano. Ragazzini in Invicta, Quechua e marche di Decathlon: chi mangia panini, chi si lancia con gli slittini. C’è poca neve quanto entusiasmo.
Da poco c’è stato il confronto tra l’influencer Anthony Sansone e Francesco Borrelli di Alleanza Verdi per l'Italia. Borrelli ha difeso i napoletani come popolo nobile di grandi artisti e ha indicato negli avventori del 26 gennaio un brutto esempio di napoletanità: conducono attività illecite e non fanno turismo, ma vandalismo. Anthony Sansone si è realizzato con Tik Tok dove ora ha 80 mila followers. Domenica 2 febbraio, ha organizzato un pullman per Roccaraso e trova che non ci sia nulla di male, non se ne vergogna. Borrelli cita esempi di buona napoletanità - Sophia Loren, De Filippo, Luciano De Crescenzo – e Sansone gli fa notare che i tempi sono cambiati: “Amore, il dottore dice come stai, non come stavi”.
Se è giusto indagare se dietro all’organizzazione dei pacchetti turistici per Roccaraso ci siano network ed economie poco limpide, stigmatizzare chi pratica turismo low budget è classista e non coglie il nocciolo del problema.
Altri giornalisti intervistano una donna. Si definisce una casalinga che gioca e scherza su Tik Tok, fa i trend. Viene da molto tempo a Roccaraso con i pullman, per passare la domenica in montagna spendendo poco. Oggi è venuta sul pullman organizzato da Anthony Sansone. 30 euro a persona colazione inclusa: un panino al prosciutto che mastica a bocca aperta, per la felicità dell’operatore che stringe il campo cercando il fenomeno da baraccone. La signora sarebbe contenta di mangiare a Roccaraso, ma un primo costa 20 euro.
Quello che è successo il 26 gennaio a Roccaraso non è né una novità, né un’emergenza. Come scritto qui, l’Alto Sangro è un territorio spopolato in cui, dagli anni Cinquanta, l’economia locale è fortemente legata all’industria sciistica. Anche di recente, nonostante i segni evidenti della crisi climatica, sono stati realizzati nuovi impianti e sono state migliorate le tecnologie per l’innevamento artificiale.
A fianco a questo turismo, c’è da anni un escursionismo in giornata, con pullman da Napoli e provincia. Per dire, domenica 19 gennaio erano arrivati 120 pullman, ma questo non aveva fatto notizia. Questa forma di offerta turistica permette un accesso popolare alla montagna, ma di serie B: gli escursionisti passano la giornata in paese e in un impianto a bassa quota con poca neve, mentre più su ci sono le piste innevate artificialmente con ski pass a 50 euro.
Quello che è successo il 26 gennaio rivela che, negli anni, non sono state prese iniziative per gestire questo turismo: dai bagni pubblici, al contingentamento di pullman, fino a parcheggi organizzati, anche a pagamento, e così via. Le reazioni sensazionalistiche e le retoriche emergenziali sulla necessità di uomini e mezzi hanno distolto l’attenzione dall’aspetto centrale: il fatto che il territorio non ha gestito il turismo low budget, mentre ha investito per il turismo degli impianti.
Tutto ciò rende questo caso molto interessante, da capire in profondità. Innanzitutto, il caso fa emergere le relazioni tra il turismo di seconde case medio-alto spendente e il turismo di massa medio-basso spendente. Il caso fa emergere, cioè, il conflitto tra turismo ricco e turismo povero: “una montagna di disuguaglianze” come ha scritto Letizia Pezzali. È importante prendere seriamente il diritto alla montagna dei turisti low budget e capire le relazioni con i social media: a chi parlano gli influencer, in che modo promuovono i luoghi? Più in generale, in che modo la montagna appenninica può essere fruibile – senza diventare un parco giochi, come scrive Marco Bussone di Uncem - anche a chi non ha un certo capitale economico o culturale?
In secondo luogo, questo caso pone in modo lampante il tema della dipendenza dell’economia locale da flussi turistici che si lega, poi, alla questione dell’investimento sull’industria sciistica ai tempi della crisi climatica. Dopo le 10.000 presenze del 26 gennaio e il clamore mediatico che è seguito, domenica 2 febbraio a Roccaraso un panificio aveva preparato 200 pizze che sono rimaste invendute, perché c’erano molti meno visitatori del previsto.
In altre parole, questo caso è un’occasione per riflettere sui modelli turistici in Appennino, a partire anche dalle questioni di classe. Questa riflessione non deve, cioè, confondere il turismo ricco come turismo buono e il turismo povero come turismo cattivo. Piuttosto, deve partire dal considerare che in questi territori il turismo è il settore che dà principalmente lavoro – anche se spesso intermittente e non di qualità – e che questo, in una strategia di ripensamento, non deve essere ignorato. Almeno, se l’obiettivo della riflessione è mantenere l’abitabilità della montagna, e non la sua attrattività (di flussi, investimenti e interessi).
Per approfondimenti: "La carica dei 10.000" su Rai Radio3 Scienza con Vanda Bonardo, Francesca Sabatini e Mauro Varotto (si può ascoltare qui).