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Ambiente

Conoscete le sorbe, i frutti del sorbo domestico? “Fra l’acidulo e il dolce, il loro sapore mi conquistò da subito”

Alberi dimenticati #01 / Paola Barducci, in arte "ForestPaola", inaugura il suo Blog de L'AltraMontagna attraverso il primo di tanti brevi racconti dedicati agli "alberi dimenticati". Si parte dal sorbo domestico, il cui frutto, usato fin dall’antichità e molto amato dai Romani, è oggi pressoché dimenticato, nonostante sia buono e molto particolare

di
Paola Barducci - "ForestPaola"
29 dicembre | 18:00

Ho questo ricordo nitido della mia infanzia cittadina: sono nata e cresciuta in un condominio costruito nella periferia fiorentina che però confinava con grandi distese di campagna.

 

Una volta a settimana, con mia madre attraversavamo il viale di collegamento fra la periferia e il centro ed entravamo in un altro mondo, senza più auto ma trattori, con casolari sparsi in cui forti erano gli odori del lavoro contadino: in estate era la pesca a profumare l’aria, mentre in autunno erano il sentore del mosto di vino e successivamente dell’olio novo a primeggiare.

 

Ma io all’epoca ero già incuriosita dagli strani alberi che costeggiavano, in particolare, la proprietà di un vecchio contadino, che col suo cappello di paglia e le sue calosce sembrava aspettarci ogni settimana sull’uscio del casolare. Era un signore di poche parole, ma ogni volta che arrivavamo mi donava in assaggio un frutto, magari di quelle strane piante che, a detta sua, avevano gli anni di suo nonno.

 

Un giorno mi portò nella sua cantina buia e profumata e mi propose di assaggiare una specie di piccola mela nascosta nella paglia: era una sorbola (o sorba), il frutto del sorbo domestico. Ricordo ancora adesso quello strano mix di sapore fra l’acidulo e il dolce, che mi conquistò subito. Mia madre ne acquistò un sacchetto e ne fece un’ottima marmellata.

Negli anni ho ricercato questa pianta proprio perché vivido è rimasto in me il ricordo del suo frutto particolare: peccato che sempre meno, nelle campagne toscane ma anche altrove, ho ritrovato questo albero, di una bellezza struggente in particolare in autunno, con le sue foglie fra l’oro e il marrone.

 

Il sorbo domestico, nome scientifico Sorbus domestica L., è un albero che può raggiungere i 10-15 metri, generalmente con una chioma espansa tale da produrre più frutti possibili. La sua corteccia è bruna e si sfalda a maturità e questo è un tratto che lo distingue dal suo “cugino” sorbo degli uccellatori, a cui invece si accomuna per le foglie composte costituite da 11-21 foglioline lanceolate e a margine dentato.

È una pianta che ama moltissimo il sole, quindi la si riscontrava sulle bordure dei campi coltivati, ma potenzialmente si potrebbe trovarne qualche sparso soggetto anche nei boschi di quercia purché a copertura arborea rada. Anche il suo frutto, un pomo ovoidale ma anche piriforme, necessita di un lungo periodo di maturazione al sole e, come accennato nella mia storia, di un periodo di sovramaturazione nella paglia, chiamato ammezzimento, di qualche giorno, fino a quando la buccia da giallo-arancio non diventerà marrone.

 

Il suo frutto, usato fin dall’antichità e molto amata dai Romani, è pressoché andato in disuso, sostituito da gusti più gradevoli ed omogenei come quelli del melo o del pero domestici. Ad inizio ‘900 dalle sorbe si estraeva anche il sorbitolo, dolcificante usato al posto del saccarosio, ma anche questa pratica di estrazione dalle sorbe è andata persa.

 

Peccato, perché il suo sapore è davvero particolare e indubbiamente, se avrete la fortuna di assaggiarne da qualche amico coltivatore o su qualche bancarella di prodotti locali, vi sarà facile riconoscerne la gradevolezza, come feci io tanti anni fa, e magari esternare un... “sorbole!”

 

 

 

Foto di Marie Portas (1 e 2) e Victor M. Vicente Selvas (3) - Wikimedia Commons

l'autore
Paola Barducci - "ForestPaola"

Dottoressa forestale libera professionista e Accompagnatrice di territorio del Trentino.

Nata a Firenze, vive in Trentino nella piccola Valle dei Mòcheni. Qui si occupa di boschi 365 giorni all'anno, per questo tutti ormai la chiamano solo "Forest".

Racconta la sua vita nella media montagna, il suo duplice lavoro di dottoressa forestale e di divulgatrice ambientale, il tutto sempre con un sorriso.

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