Una colata di fango e detriti di 180.000 metri cubi, 268 vittime: la tragedia della Val di Stava come monito per mantenere una cittadinanza attiva sul territorio
Il 19 luglio 1985, alle ore 12:22, una colata di fango e detriti di 180.000 metri cubi si staccò dalle discariche minerarie della Val di Stava causando la morte di 268 persone. A distanza di 39 anni dal disastro, la Fondazione Stava 1985 tiene vivo il ricordo delle vittime di quel 19 luglio sensibilizzando sui disastri industriali. Longo: "Stava è un esempio di come sia importante mantenere un senso di appartenenza del territorio per sentirlo come nostro e agire di conseguenza”
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il 19 luglio 1985, alle ore 12:22, una colata di fango e detriti di 180.000 metri cubi si staccò dalle discariche minerarie della Val di Stava causando la morte di 268 persone.
Le discariche servivano alle miniere di Prestavèl, Stava, per estrarre fluorite (utilizzata nell’industria chimica e siderurgica) e furono costruite con argini di sola sabbia (ossia senza rinforzi in calcestruzzo) per laminare il materiale di scarto. Collocate su un versante molto ripido, con pendenza media del 25%, le due discariche poste una sopra l'altra, avevano altezze di 25 metri per il bacino inferiore e 34 metri per il bacino superiore, per un totale di 60 metri di altezza. La scarsa manutenzione nei decenni precedenti alla tragedia, la conformazione del terreno e l’assenza di controlli e verifiche di stabilità da parte dell’azienda mineraria e degli enti pubblici incaricati portarono il 19 luglio 1985 alla liquefazione per filtrazione del terreno, al collasso degli argini e alla distruzione dell'abitato di Stava e di alcune frazioni adiacenti.
L’iter processuale della vicenda si concluse nel 1992 con la condanna di dieci imputati, colpevoli omicidio colposo plurimo e di disastro colposo.
A distanza di 39 anni dal disastro, la Fondazione Stava 1985 accoglie ogni anno circa 5000 visitatori (di cui circa 1100 studenti) e tiene vivo il ricordo delle vittime di quel 19 luglio sensibilizzando sui disastri industriali.
Michele Longo, programmatore della Fondazione, spiega come il disastro di Stava sia stato causato anche “dallo sfruttamento dell’acqua e della montagna per uso industriale. La vicenda di Stava ci ricorda come le discariche minerarie siano dei costi per l’azienda e nell’economia attuale i costi devono essere minimizzati”.
In questi giorni la tragedia della Val di Stava è stata ricordata anche dall’assessore regionale del Veneto alla difesa del Suolo e della Protezione Civile Gianpaolo Bottacin che, dalle pagine del Corriere delle Alpi intervistato sulla vicenda del Vanoi ha dichiarato: “Io credo che per pensare alla costruzione di una nuova diga in due territori come Belluno - che ha vissuto il disastro del Vajont - e Trento - colpito da quello di Stava - non si possa considerare solo l'aspetto tecnico, ma anche quello emotivo”. Vajont, Vanoi e Stava sono casi molto complessi e molto differenti tra loro ma con un’origine in comune: lo sfruttamento dei territori montani per massimizzare un modello economico (idrico, agricolo o minerario) che prevarica le necessità e la sicurezza del territorio e delle comunità locali.
Proprio sulla necessità di mantenere la memoria attiva nel tempo, la Fondazione Stava 1985 svolge un ruolo attivo su tutto il Trentino.
“Portiamo nelle scuole e nelle comunità la storia della tragedia per parlare di etica di impresa, di responsabilità aziendale e gli aspetti che legano la cittadinanza attiva”, spiega Longo. “Il 19 luglio 1985 in Trentino la consapevolezza di questi incidenti industriali è aumentata molto. La tragedia ha generato una svolta nell’affrontare queste tematiche all’interno della scuola e oggi è sicuramente un punto fermo dove ragionare sulle tematiche e sviluppare un senso di critica di quanto viene fatto sul territorio. Stava è un esempio di come sia importante mantenere un senso di appartenenza del territorio per sentirlo come nostro e agire di conseguenza”.