Un tiro in meno, una parete più "biodiversa": il ruolo di chi arrampica nel tutelare e mantenere intatto il delicato equilibrio tra natura e attività umane
Le pareti rocciose sono habitat unici che ospitano specie animali specializzati alla vita in verticale, e che si sono adattati a prosperare tra anfratti rocciosi e strapiombi. Visto il forte declino della biodiversità a causa delle attività umane di diverso tipo. è fondamentale imparare a conoscere e capire il ruolo che le persone appassionate di arrampicata hanno nel tutelare e mantenere intatto il delicato equilibrio tra natura e attività umane
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
La primavera è tornata, l’aria si fa via via più calda e i canti degli uccelli accompagnano le giornate di chi presta un orecchio alle loro melodie. Con l’allungarsi delle giornate è fisiologico per tutti gli amanti dello sport all’aria aperta sentire il "richiamo della natura", e chi vive lungo l’arco alpino sa bene che, conclusa la stagione sciistica, si apre quella dell’arrampicata. Come tutti gli sport outdoor, la presenza delle persone in aree naturali può rappresentare una fonte di minaccia e disturbo per le specie e gli habitat in cui vivono, compromettendone in alcuni casi lo stato di conservazione.
Le pareti rocciose sono habitat unici e si caratterizzando per il tipo di roccia, vegetazione, altezza, esposizione ed estensione. Animali e piante che abitano questi ambienti sono altamente specializzati alla vita in verticale e si sono adattati a prosperare tra anfratti rocciosi e strapiombi. Le attività antropiche hanno risparmiato per lungo tempo questi luoghi nascosti e difficili da raggiungere, ma con l’avvento dell’arrampicata il vento è cambiato e le sfide per la loro tutela si fanno sempre più complesse. Come spesso accade, l’inconsapevolezza del peso delle nostre azioni rischia di danneggiare o compromettere la conservazione di diverse specie causando effetti a catena a livello ecosistemico.
Pullo di gufo reale sorpreso in parete. Foto di Karol Tabarelli de Fatis
Tra queste, vi è l’avifauna rupestre – uccelli che vivono e nidificano in parete – che comprende, nell’area alpina, specie come gufo reale, falco pellegrino, rondone maggiore, fringuello alpino, picchio muraiolo, aquila reale, gipeto, gheppio, allocco, poiana e corvo imperiale. Molti degli uccelli qui elencati sono compresi nell’Allegato I della Direttiva Uccelli (n. 79/409/CEE), direttiva europea che sancisce l’impegno di tutti gli Stati Membri a tutelare gli uccelli selvatici attraverso anche la protezione, il ripristino e la creazione di habitat e aree per le specie rare o minacciate (ovvero quelle elencate nel primo allegato della direttiva), ma, come ben sappiamo, non sempre le leggi bastano.
Le pareti sono per naturale conformazione spesso inaccessibili da animali non dotati d’ali o scarsamente idonei a spostamenti su parete verticale, e per questo sono i luoghi ideali per la nidificazione delle specie di uccelli sopracitate. In letteratura scientifica non mancano le ricerche che documentano e analizzano l’impatto che ha l’arrampicata su queste specie. Per esempio, già nel 2004 uno studio riportava i danni causati dal disturbo dovuto all’arrampicata e dal corvo imperiale sulla nidificazione e sul successo riproduttivo di 29 coppie di falco pellegrino nelle Prealpi centrali. Il numero di pulli (piccoli) cresciuti e involatisi con successo dal nido è risultato essere negativamente influenzato dalla presenza sia del corvo imperiale che di rocciatori in parete. Delle cinque coppie che abitavano pareti dove erano presenti sia il corvo imperiale che i rocciatori, nessuna ha involato alcun giovane. Tale risultato è verosimilmente dovuto al fatto la presenza di rocciatori determinano un disturbo con effetto negativo sulla riproduzione del falco pellegrino, ma la presenza contemporanea dei due elementi è particolarmente impattante: in presenza di scalatori sulla parte, i falchi lasciano il sito prima dei corvi, che possono approfittarne per predare uova o pulcini dal nido dei primi, senza incorrere nella loro reazione difensiva.
Falco pellegrino. Foto di Franco Rizzolli
L’abbandono del nido da parte del falco pellegrino, e di altre specie come l’aquila, è causato anche dal solo arrivo delle persone che, con grande fatica e il supporto di corda e moschettoni, al giorno d’oggi riescono ad arrivare in posti che prima non riuscivano a raggiungere. Occorre immedesimarsi nei panni di uno di questi animali per capire davvero cosa comporta una fonte di disturbo come la nostra presenza, dinamica indagata da un gruppo di ricercatori americani che hanno visto come la presenza di arrampicatori risulti associata a un minor numero e diversità di specie in habitat rocciosi. Quelli che nidificano in parete sono uccelli schivi, sensibili alla minaccia percepita dalla presenza di questo strano e imponente mammifero che fino a poco tempo fa sapeva muoversi solo in ambienti orizzontali. Tutto ciò che cercano e desiderano è un luogo sicuro e tranquillo per costruire il nido e allevare i piccoli.
La distanza entro la quale la presenza di una persona viene percepita come una minaccia può cambiare da specie a specie, ci sono degli studi 1,2 che suggeriscono che la distanza di sicurezza da mantenere da un nido di aquila e falco pellegrino per evitare che la coppia abbandoni il nido dovrebbe essere di 800 m. Ne va da sé che il disturbo in alcuni casi viene percepito ancora prima di arrivare alla parete: se per esempio allontaniamo lo sguardo dalla nicchia in cui si trovano due immaginarie uova di gufo reale (che a differenza dell’aquila e del falco pellegrino è un animale notturno), vedremo una parete al di sotto della quale c’è un sentiero percorso molto di frequente da amanti dell’arrampicata in compagnia di amici – talvolta anche a quattro zampe – le cui risate e scambi di consigli bastano per svegliare e mettere in allarme questo grosso (e ora capiamo perché) burbero Anacleto.
Esemplare adulto di gufo reale mentre dorme in parete. Foto di Karol Tabarelli de Fatis
Se spostiamo lo sguardo da noi umani a loro animali capiamo bene come qualcosa che per noi è fonte di grande entusiasmo e felicità può essere invece vissuto come un grande stress. Credo che non sia utile commentare o sproloquiare sulle strategie di nidificazione e sopravvivenza degli animali, o uscirsene con una frase del tipo “eh ma allora non si può più fare niente”, anche perché ci toglierebbe il gusto di poter essere partecipi nella cura dei luoghi naturali che frequentiamo. È invece prezioso e fondamentale imparare a conoscere e capire il ruolo che le persone appassionate di questo sport hanno nel tutelare e mantenere intatto il delicato equilibrio tra natura e attività umane.
Esistono esempi virtuosi in cui amministrazioni e cittadini hanno lavorato assieme per emettere delle ordinanze di chiusura permanente di una parete rocciosa. Avete letto bene, chiusura permanente. Moltissime persone, tra cui la sottoscritta, cercano il contatto con la natura per praticare sport e sfuggire dal grigio rumore delle città, ma alle volte un contatto ‘sincero’ significa lasciare spazio. La collaborazione con chi pratica lo sport dell’arrampicata da parte dei ricercatori che si occupano della tutela della fauna è essenziale.
Esemplare di gheppio adulto con Trento sullo sfondo. Foto di Franco Rizzolli
Segnalare infatti la presenza di nidi è il punto di partenza per monitorare queste specie e i luoghi che abitano, ma la sola chiusura temporanea in fase di nidificazione della falesia non è abbastanza. Le dinamiche di popolazione e occupazione di questi animali non sono semplici da seguire, e cambiano di anno in anno. Alcune specie, come il nibbio bruno, sono presenti sulle Alpi solo nel periodo primaverile-estivo, dopo di che migrano per svernare in posti più caldi, mentre altre, come il gufo reale, sono strettamente legate al loro territorio e abitano le pareti alpine tutto l’anno. Il monitoraggio e la tutela di questi animali è di fatto nelle mani dei ricercatori, la cui presenza sul territorio dipende dai fondi per la ricerca che non sempre garantiscono una continuità nel monitorare di anno in anno eventuali cambiamenti. Il vuoto normativo attuale necessita quindi di essere colmato anche da una cittadinanza attiva che si prende cura dei luoghi che frequenta.
Abbiamo chiesto a Franco Rizzolli, ornitologo che si occupa dei monitoraggi delle specie nidificanti in parete in Trentino, a che punto siamo nella tutela di questi animali. “In alcuni casi non basta chiudere una falesia per il solo periodo riproduttivo” dice Rizzolli “bisognerebbe invece tutelare la zona istituendo nei diversi comuni delle riserve locali (come se fossero delle torbiere o altre aree naturali di pregio). Queste aree dovrebbero essere cartografate e segnalate, indicando quali necessitano di una chiusura annuale e installando anche una cartellonistica in loco che ne spieghi il motivo”.
A questo punto entrano in gioco i fruitori di questi luoghi, ovvero le persone che praticano l’arrampicata. Se si riesce a superare l’iniziale disappunto determinato dal divieto di arrampicare in alcune zone, si coglie un’occasione importante di riflessione sul mondo naturale che ci circonda, sulla sua fragilità e sul nostro ruolo nel custodire la biodiversità e, più in generale, la bellezza che ci circonda, a volte visibile, a volte nascosta nell’anfratto di una parete rocciosa, da cui forse ci guarda con occhi spaventati. Sono moltissimi gli ecosistemi e specie in tutto il mondo che già subiscono a causa delle attività umane forti pressioni, ma se ridurre l’impatto di un’intera tipologia di produzione industriale è un lavoro lungo e complicato, non lo è invece provare a cambiare luogo in cui arrampicare. Possiamo rinunciare a scalare su una parete e spostarci su un’altra se lo facciamo con la consapevolezza che stiamo tutelando altri preziosi esseri viventi. Non tutte le pareti hanno lo stesso valore, e noi persone dobbiamo semplicemente allontanarci da alcuni luoghi per lasciare semplicemente vivere alcune specie.
- Spaul, R. J., & Heath, J. A. (2017). Flushing responses of Golden Eagles (Aquila chrysaetos) in response to recreation. The Wilson Journal of Ornithology, 129(4), 834-845.
- Ruddock, M., & Whitfield, D. P. (2007). A review of disturbance distances in selected bird species. A report from Natural Research (Projects) Ltd to Scottish Natural Heritage, 181, 114-125.