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Ambiente

Tutto nacque da un femore rotto e poi guarito. Ma nella cooperazione c'è un fondo di competizione: la speranza di Darwin che potrebbe risolvere le attuali crisi

Contrariamente al pensiero comune, che identifica Darwin solo come il teorizzatore della "legge del più forte", il biologo e naturalista inglese si accorse di quanto diffusi in natura fossero l'altruismo e la cooperazione e la nuova frontiera dell'evoluzionismo ci spiega che in effetti la socialità e l'altruismo sono motori del cambiamento tanto quanto la competizione e anzi, spesso la cooperazione nasce proprio da un fondo di competizione. Nell'uomo valgono le stesse regole, ma la cultura introduce un elemento in più, che potrebbe essere la chiave per salvare sia noi stessi che il nostro pianeta

di
Chiara Bettega
15 novembre | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Pochi giorni ci separano dall’esito dell’ultima campagna elettorale dell’era trumpiana, la terza in meno di dieci anni. Una campagna che, come le precedenti, ha tenuto il mondo con il fiato sospeso perché riguardava la potenza mondiale per eccellenza, ma che per i contenuti si inseriva senza troppe novità in una recente tendenza piuttosto comune nelle diverse democrazie del globo, ovvero quella di corse al voto nelle quali si estremizza la contrapposizione “noi-loro” e si esaltano l’individuo (il candidato) o il gruppo (i relativi sostenitori) più performante. Campagne elettorali degne, insomma, della più grande travisata degli ultimi due secoli: il darwinismo sociale.

 

Tutto ebbe inizio da un’interpretazione non del tutto corretta della teoria di Charles Darwin sull’origine delle specie, per cui l’individuo che per il biologo e naturalista inglese "ha un po’ più vantaggio", venne trasformato ne "il più forte", riducendo così il tutto a mera lotta per la sopravvivenza e competizione ad ogni costo. In epoca vittoriana, questo concetto già di per sé mal interpretato venne esteso dal mondo naturale al mondo sociale, dove il travisamento raggiunse l’apice, arrivando nei decenni ad ispirare e giustificare teorie come il Colonialismo e il Nazismo. E, viene da pensare guardando alle odierne campagne elettorali, anche buona parte della politica moderna.

 

Ma se agli approfittatori di travisate dicessimo che nel mondo naturale, così come nella storia dell’evoluzione umana, la cooperazione ha la stessa importanza della competizione e che la nostra specie è ciò che è perché, in qualche momento della sua storia evolutiva, c’è stato "un femore rotto e poi guarito"?*

 

Andiamo per gradi.

Con la sua teoria Darwin giunse a spiegare che l’evoluzione dipende da un individualismo di base, per cui il singolo deve poter trarre vantaggio rispetto, ad esempio, ad un comportamento o ad un adattamento, in modo da potersi riprodurre con successo e trasmettere i propri caratteri alle generazioni future. Al tempo stesso però egli si osservò come in natura i comportamenti altruistici di cooperazione, soprattutto nelle specie socialmente complesse, fossero tutt’altro che rari.

Com’era possibile?

Fu abbastanza semplice per Darwin spiegare i casi in cui la cooperazione all’interno di un gruppo conferisce un beneficio immediato anche al singolo. E’ il caso della cooperazione mutualistica, di cui il tipico esempio è rappresentato dalle leonesse che cacciano in gruppo e così facendo si possono aggiudicare prede molto più grandi di quelle che otterrebbero cacciando da sole. Facile fu anche dare un senso a quelle situazioni in cui il comportamento altruista del singolo beneficia non un gruppo qualsiasi, bensì quello formato da legami di parentela, come ad esempio avviene nella riproduzione cooperativa di certe specie di uccelli, dove la prole viene allevata non solo dai genitori biologici ma anche da individui ad essi imparentati, chiamati helper, solitamente i figli dell’anno precedente. In questo caso la cooperazione è vantaggiosa sia per i genitori, che in questo modo spendono meno energie, sia per i piccoli, che ricevono più cibo rispetto a quelli allevati senza helper.

 

Darwin faticò non poco a trovare invece una spiegazione all’altruismo individuale nei confronti del gruppo in quanto tale, non motivato da legami di parentela. Un esempio in tal senso è rappresentato dai richiami o comportamenti di allarme tipici di molte specie sociali, in cui le sentinelle avvisano il gruppo della presenza di potenziali pericoli. Per Darwin si trattava di un vero e proprio "paradosso dell’altruismo". Agli inizi del ‘900 anche il biologo anarchico russo Peter Kropotkin, partendo proprio dalle teorie di Darwin, osservava che "non appena studiamo gli animali […] percepiamo subito che sebbene ci sia un’immensa quantità di guerre e stermini in corso tra varie specie, e soprattutto in mezzo a varie classi di animali, c’è, allo stesso tempo, tanto, o forse anche di più, mutuo sostegno, mutuo soccorso e mutua difesa tra animali appartenenti alla stessa specie o, almeno, alla stessa società. La socialità è una legge della natura tanto quanto la lotta reciproca." Come dimostrano anche studi recenti, l’altruismo e la cooperazione potrebbero essere molto più vantaggiosi di quanto si pensasse.

 

Questo vale anche, anzi soprattutto, per l’uomo.

In una bellissimo intervento al Festival Solidaria 2021, il prof. Telmo Pievani (filosofo della biologia ed evoluzionista) spiegava come l’altruismo e la cooperazione siano parte di ciò che ci ha reso unici e che questo comportamento, come intuì lo stesso Darwin, nasca in realtà da un fondo di competizione: laddove esistano dei gruppi in competizione tra loro, gli individui che li compongono si riconoscono parte di un determinato gruppo piuttosto che un altro, mentre chi non vi appartiene è considerato Altro. La cooperazione è quindi un atteggiamento di difesa del Noi dall’Altro. La spiegazione del paradosso dell’altruismo è perciò un ulteriore paradosso: coopero perché sono in competizione. E la dicotomia cooperazione/competizione quindi non può esistere, perché i due comportamenti non sono antitetici.

 

Tornando a Trump, al fascino degli slogan urlati - o stampati su ridicoli berretti, indossati da uomini mitizzati - e al dilagare dei populismi un po’ ovunque, tutto questo ha in effetti un senso: il senso di competizione estremizzato di determinati gruppi verso la minaccia di un Altro (che peraltro cambia a seconda della convenienza politica) si traduce in una cooperazione che sta effettivamente dando frutti in termini elettorali. Fino a che punto però questi gruppi estremizzati sono in grado di cooperare? Quanti egoisti ci sono effettivamente al loro interno?

Pievani ci ricorda che "un gruppo con troppi egoisti è un gruppo debole, mentre i gruppi dove prevale il comportamento altruistico è un gruppo forte", come pure che in natura non esiste il buono e il cattivo, perché essa è piena di diversità e contraddizioni. 

 

Inoltre nelle società umane, a scombinare un po’ le carte è la cultura che, come osservava Darwin,  nell’uomo prevale sulla natura e grazie ad essa e alle sue ramificazioni - educazione, istruzione, religione, esperienza, ecc. - quel Noi è andato allargandosi dalle tribù di un tempo fino a comprendere, ai nostri giorni, le nazioni. Oggi questo non è sufficiente, ma anziché progredire sembriamo aver innestato la retromarcia, alimentata da un generale impoverimento culturale.

 

Darwin sperava che, nonostante il tribalismo di fondo insito nell’uomo, un giorno il Noi sarebbe potuto arrivare a includere l’intera specie umana e tutte le altre specie. La sua speranza deve oggi essere quella di tutti, perché le crisi a cui assistiamo - sociale, climatica, ecosistemica -  potranno essere davvero affrontate solo quando l’Altro - umano o non umano - cesserà di esistere.

 

 

 

* risposta che l’antropologa Margaret Mead diede alla domanda su quale fosse il primo segno di civiltà in una cultura antica

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