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Ambiente

Tra consumo di suolo ed espansione del bosco: la montagna è "un'isola felice"?

Tra le tante mappe allarmanti presenti nell'ultimo Rapporto Ispra sul consumo di suolo in Italia, ne spicca una quasi completamente colorata di verde: è la carta relativa alle aree montane.

Da questo punto di vista le Terre alte sono considerabili "un'isola felice": ma come conservare e valorizzare questa peculiarità paesaggistica e ambientale?

di
Luigi Torreggiani
18 gennaio | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

"Com’è cambiato dall’ultima volta che sono stato qui!"

 

Quante volte si ripete questa frase, osservando un luogo visitato dopo tanti anni. Difficilmente però ci si ferma ad analizzare quali cambiamenti ci abbiano realmente colpito, cosa sia davvero mutato nel paesaggio tanto da spingerci ad esclamarla. 

 

Viaggiando in Italia, sono principalmente due le trasformazioni paesaggistiche che hanno il potere di colpire profondamente l’immaginario, confrontando ad esempio lo scenario attuale a immagini d’epoca dei primi del Novecento.

Tali trasformazioni hanno segno (e colore) diametralmente opposti: in collina e soprattutto in montagna è aumentato il mantello verde di alberi e arbusti; in pianura, vicino alle città e lungo le coste, si è invece sensibilmente ristretto il territorio agricolo e naturale lasciando spazio, in molti casi, a un grigio tappeto di cemento

 

Secondo il Rapporto sullo stato delle foreste (2018), nell'ultimo secolo l’Italia ha visto aumentare di oltre il 70% la propria superficie forestale, soprattutto a causa dell’abbandono delle colline e delle montagne; di prati, campi e pascoli non più utilizzati e ben presto colonizzati, prima dagli arbusti e poi dagli alberi. Al contrario, soprattutto in pianura e lungo le coste, il fenomeno del consumo di suolo ha fatto registrare una crescita costante. Il ritmo impressionante di questa trasformazione è di 21 ettari al giorno rilevati in media nell’ultimo decennio: quasi 15 campi da calcio di terreno impermeabilizzato ogni singolo giorno!  

 

Quest'ultimo dato, decisamente allarmante, deriva dalla decima edizione (2023) del Rapporto "Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici" realizzato da Ispra - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. 

 

"Il consumo di suolo continua a trasformare il territorio nazionale", si spiega nel Rapporto, "al 2022 la copertura artificiale si estende per oltre 21.500 chilometri quadrati, il 7,14% del suolo italiano".

Ciò non significa, ovviamente, soltanto un cambiamento paesaggistico: l’impermeabilizzazione del suolo porta con sé, ad esempio, enormi problemi idrogeologici, che rendono i nostri territori sempre meno resilienti agli effetti della crisi climatica. Dal Rapporto si evince che in 15 regioni italiane il suolo consumato stimato al 2022 supera il 5%, con i valori più elevati in Lombardia (12,16%), Veneto (11,88%) e Campania (10,52%). La Lombardia detiene il primato anche in termini assoluti, con oltre 290 mila ettari di territorio artificializzati (il 13,5% del suolo consumato in Italia è concentrato in questa regione).

 

 

Consumo di suolo e montagna

 

Tra le tante mappe presenti nel Rapporto Ispra, in cui il colore rosso indica le aree dove il consumo di suolo è stato più forte e impattante, ne spicca una quasi completamente colorata di verde, segno di un livello di consumo di suolo bassissimo: è la carta relativa alle aree montane. Se in pianura il suolo consumato riguarda l’11,4% della superficie, nelle aree collinari questa percentuale scende al 5,4%, per arrivare a solo il 2,1% nella montagna italiana.

 

In montagna il consumo di suolo ha riguardato 468 ettari nel periodo 2021-2022, a differenza degli 800 della collina e dei 5.808 della pianura. I livelli più alti, ma comunque limitati, di consumo di suolo registrati nelle aree montane sono concentrati in Trentino-Alto Adige (88 ettari in più rispetto al 2021, +0,38%), in Sicilia (61 ettari, +0,32%) e Campania (58 ettari, +0,49%).

 

Ciò non significa necessariamente che nelle Terre alte vi siano state politiche particolarmente lungimiranti sul tema del consumo di suolo: lo dimostrano alcuni progetti al limite della follia che continuano a caratterizzare, anche se per fortuna in piccola parte, i nostri territori montani. Questo dato di per sé positivo nasconde ovviamente difficoltà orografiche, che frenano lo sviluppo industriale e delle infrastrutture, ma soprattutto una crisi sociale che perdura da decenni.

 

"Meglio un pochino di suolo consumato in più che le valli completamente svuotate di persone!" potrebbe obiettare qualcuno, osservando i numeri di Ispra da un altro punto di vista. Ma questa visione non coglierebbe appieno la vera sfida dei territori montani per il prossimo futuro.

 

 

Non solo turismo

 

In un Paese che vede concentrarsi la popolazione e le relative infrastrutture abitative, industriali e viarie in pianura e lungo le coste, la montagna rappresenta sempre di più, da questo punto di vista, "un’isola felice" caratterizzata da una chiara identità paesaggistica e ambientale, che ha di per sé un enorme valore. Questo però non deve indurci nell’errore di riversare su questi territori una visione unicamente statica e "museale", che non sappia tener conto delle necessità economiche e sociali degli abitanti di questa importante fetta d'Italia.

Per sopravvivere mantenendo questa loro caratteristica, sempre più peculiare, i territori alpini e appenninici dovranno saper utilizzare meglio le proprie risorse naturali, attraverso attività che non prevedono consumo di suolo ma che, al tempo stesso, possono generare economia e lavoro, aumentando il presidio e la resilienza della montagna nei nuovi scenari climatici

 

Tornando ai boschi, alla loro espansione che fa da contrappeso al drammatico consumo di suolo nazionale, è quindi utile riflettere su quanto la selvicoltura e le relative filiere - del legno, ma non solo - potrebbero diventare, molto più di ora, attività caratterizzanti di paesaggi culturali vitali e dinamici, anche nell'orizzonte della tanto auspicata “bioeconomia”.

 

Non si tratterebbe di "tagliare di più", come spesso viene detto in modo semplicistico e banalizzante, ma di "gestire meglio" un territorio che, soprattutto in ambito appenninico, è spesso lasciato a sé stesso, generando numerosi problemi che si ripercuotono anche a valle.

Si tratterebbe di pianificare, con equilibrio, la coesistenza di ambiti forestali maggiormente produttivi con altre aree vocate alla protezione della natura (Parchi, Riserve integrali, Boschi vetusti). Si tratterebbe di bilanciare, con intelligenza, le tante funzioni del bosco, trovando il modo di valorizzare anche economicamente quei servizi ecosistemici che troppo spesso vengono dati per scontati (ad esempio la produzione di acqua potabile, lo stoccaggio del carbonio, la stessa conservazione della biodiversità). Si tratterebbe di analizzare, zona per zona, anche i nuovi rischi climatici, come il sempre più elevato rischio incendi, operando attività di prevenzione.

 

Si tratterebbe, insomma, di investire molto più di ora nella visione di una montagna che non sia soltanto "un'oasi di pace e natura" ad uso e consumo dei turisti, ma che veda, come spiega Mauro Varotto nel libro "Montagne di mezzo: una nuova geografia": "Il ritorno ad un ruolo attivo e consapevole dell'uomo come agente naturale capace di coltivare la diversità, contrastare l'avanzata incontrollata della vegetazione spontanea, recuperare la polifunzionalità delle foreste, ma anche la valorizzazione dello spontaneo e del selvatico all'interno degli spazi coltivati".  

 

L'agricoltura, ma anche la selvicoltura di qualità (o "Closer to nature", come proposta in un recente documento europeo), potrebbero tornare ad essere ambiti cruciali per mantenere vivo il tessuto sociale delle Terre alte. Le politiche rivolte alla montagna dovrebbero pertanto concentrarsi maggiormente su questi aspetti, per trasformare "l'isola felice", ma sempre più abbandonata a sé stessa, in un nuovo laboratorio di futuro

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