Sfilata Moncler: perché trasformare il bosco in passerella fa male, soprattutto alle specie che vi abitano
La sfilata fiabesca di Moncler nel bosco di St. Moritz rappresenta l’ennesimo tentativo di appropriarsi di contesti naturali per portarvi elementi solitamente associati al contesto urbano, dove ormai sembrano essere diventati obsoleti. Una sorta di ricerca di autenticità che va però a scapito degli ecosistemi scelti e delle specie che vi abitano
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
La telecamera indugia sulla vallata dell’Inn, verso il lago di Champfer che, poco più a sud-ovest, si allarga nel più grande lago di Silvaplana. I due specchi d’acqua appaiono come una distesa bianca nell’ultima, debole luce del tramonto. Bianche sono pure le cime che circondano la vallata, spuntando da boschi neri come la pece. Grappoli di luci sono indizi dell’umana presenza fatta di strade e abitazioni. Sei secondi di inquadratura fissa e poi la telecamera inizia a muoversi lentamente verso il basso, intercettando le sagome nere e piene degli abeti e quelle scheletriche dei larici nel loro abito invernale, cullata dalle prime note della sinfonia de “La Moldava” di Smetana. Mentre l’immagine sfuma verso quella di un bosco illuminato soffusamente di rosso da fari strategicamente posizionati a terra, ecco un richiamo forte, inequivocabile, notturno: l’allocco.
L’immagine vaga un po’ in quel bosco color sangue, finché il sapiente montaggio ci porta a sorvolare, fino ad addentrarvisi, quello stesso bosco, in cui ora luci a led dai toni freddi danzano con l’oscurità. Un bosco magico, incantato, nel quale c’è da aspettarsi da un momento all’altro sbucare una diala*. Appare invece, in un candido abito da sci, portando sotto braccio una tavola da snowboard, una figura femminile che incarna un nuovo esempio di creatura mitologica 4.0, rappresentante di una pratica invernale destinata, probabilmente, a cadere appunto nel mito. Cammina a passo felpato sul sentiero che serpeggia tra gli alberi, accuratamente tracciato nella neve (in parte artificiale) in modo da creare una scenografia a metà tra il fiabesco e l’enigmatico, seguita a distanza da un’altra figura di bianco vestita e così via, fino a formare un lungo serpente umano che mostra ad un pubblico accuratamente selezionato e altrettanto candidamente avvolto in piumini tutti identici, la nuova collezione autunno-inverno 2024 del prestigioso marchio Moncler.
Il primo minuto e mezzo del video ufficiale dell’evento tenutosi ad inizio febbraio in un boschetto sopra St. Moritz è un inno al connubio uomo e natura, un’elegia alla vita nei boschi che farebbe rigirare nella tomba H.D. Thoreau. “E’ piuttosto bello essere circondati dalla natura, dal bosco, dalla neve”, commenta una delle invitate, a cui fa eco un altrettanto entusiasta collega “L’aria è così croccante quassù su queste montagne”. Poco importa se per quei giochi di luci, quelle tribune, quell’impianto acustico e quel cannone spara neve ci sono voluti giorni di elicotteri, mezzi, personale tecnico vario per realizzare la scenografia. L’importante è l’atmosfera fiabesca che il bosco e gli scenografi hanno saputo creare, tramutatasi nei giorni successivi nell’ennesimo scontro tra fazioni più o meno estremiste che discutono sull’opportunità o meno di realizzare un evento simile in mezzo al bosco. Dalla parte dei detrattori anche, comprensibilmente, l’associazione Pro Natura Graubünden e l’Ufficio grigionese per la caccia e pesca, che si appellano ad una specifica direttiva emanata dal canton Grigioni, che regolamenta le manifestazioni nei boschi. Tale direttiva fa esclusivo riferimento alla selvaggina (quindi solo agli animali selvatici cacciabili) e agli uccelli (ma solo durante il periodo di cova). E tutto il resto?
Vanity Fair elenca gli elementi chiave di questa sfilata “Natura, performance, estetica” - e sembra tenerci a rimarcarlo in grassetto – quando invece gli elementi chiave dovrebbero essere “Antropocene, superficiale, futile”. Futili non sono invece le specie che potrebbero abitare il bosco in cui si è svolto questo evento. Il ghiro osserva spaventato questa scena dall’alto della cavità di un albero – creata dall’ingegnere dei boschi, il picchio – cercando di capire come mai la notte non arriva. Anche l’allocco, rapace notturno che caccia con il favore delle tenebre, non riesce ad affidarsi ai suoi sensi, rimanendo così a stomaco vuoto in una stagione già di per sé difficile per molti animali. Segue la volpe, la cui tana si trovava proprio in prossimità della passerella, ma i lavori durati più giorni per allestire questo “magico” set l’hanno resa inagibile. Il cervo, esausto dopo una lunga giornata dedicata a cercare quel poco cibo che l’inverno gli ha lasciato mentre evitava i turisti di San Moritz, si mette in cammino cercando una zona tranquilla, poiché gli spettatori sono seduti proprio dove a lui piace passare la notte. Questi sono esempi immaginati, ma piuttosto probabili.
Il bosco in questione non è certamente situato in un contesto incontaminato e probabilmente non gode di una particolare ricchezza di specie (ce ne fosse anche solo una manciata però, perché snobbarle?), tuttavia l’evento Moncler rappresenta l’ennesimo tentativo di appropriarsi di contesti naturali per portarvi elementi solitamente associati al contesto urbano, dove ormai sembrano non avere più lo stesso sapore. Una sorta di ricerca di autenticità che va però a scapito degli ecosistemi scelti: dalla sfilata nel bosco ai deejay set nei rifugi d’alta quota fino ai concerti nelle spiagge, la trasposizione di luci, suoni e persone (a volte davvero tante) in luoghi più o meno naturali e con collocazioni temporali (sia giornaliere che stagionali) più o meno delicate porta con sé inevitabili conseguenze su animali e piante del luogo. Eventi che rappresentano veri e propri “disturbi a pulsazione”, ovvero perturbazioni di breve durata ma alta intensità che sono in grado, alla stregua di disturbi naturali improvvisi come un’ondata di piena, di provocare modificazioni repentine delle comunità biologiche, come lo spostamento di individui verso zone meno disturbate (vedi i risultati pubblicati recentemente sull’effetto del Jova Beach Party sul litorale laziale).
Spesso questi eventi si svolgono al crepuscolo fino alle prime ore della notte, momento del giorno in cui da un lato molte specie si riposano, per lasciare posto ad un’intera comunità di animali notturni. Il disturbo acustico e luminoso può quindi influire negativamente sul sonno di alcuni e al tempo stesso sui ritmi di attività e lo scambio di informazioni di altri. Dai canti crepuscolari e poi notturni degli uccelli, alle strategie di caccia e alimentazione di mammiferi e rapaci notturni, fino ai movimenti sonar-dipendenti dei pipistrelli, passando per i canti di corteggiamento degli anfibi e l’attrazione per le fonti luminose degli insetti, la collezione di comportamenti su cui può influire il nostro volerci divertire come in città ma lontano da essa è lunga, ed è in parte documentata da numerose ricerche scientifiche. Come sempre, la questione non è sull’opportunità o meno di realizzare determinati eventi; piuttosto, sull’essere davvero consapevoli dell’effetto che fa. La decisione sul dove e il come, poi, viene da sé.
Il bosco sopra St. Moritz non sarà una culla di biodiversità, ma forse un allocco o due potevano starci. Chissà dove se ne saranno andati a cantare.
*figura mitica della Bassa Engadina che corrisponde alla fata