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Ambiente

"Sei favorevole o contrario alla presenza dell'orso?" Tra gli schieramenti è stata individuata una vasta gamma di posizioni intermedie

Il dibattito sull'orso, a dispetto dell'apparenza, risulta meno polarizzato di quanto appare. Gli antropologi: “Il nostro obiettivo è quello di comprendere meglio le posizioni nelle più diverse sfumature per dare forma a iniziative efficaci e per non inciampare in risposte semplificate”

di
Pietro Lacasella
17 novembre | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Un vociferare fitto fitto e concitato riempiva la sala gremita, evidenziando il respiro sociale che il dibattito sui grandi carnivori ha assunto negli anni, soprattutto in seguito alla tragica morte di Andrea Papi.

 

Fuori le luci della sera avevano già rubato i dettagli al paesaggio, concedendo alle montagne di mostrare soltanto la sagoma, appena più scura del cielo.

Mi trovavo nella Sala civica del Municipio di Flavon, un paese della bassa Val di Non, in attesa di ascoltare una conferenza sugli orsi. Un evento importante: non solo per il soggetto dell’incontro, l’orso appunto, ma soprattutto per il carattere della serata, che si proponeva di analizzare l’animale adottando uno sguardo antropologico.

 

Una scelta intelligente, perché la discussione sui grandi carnivori è entrata a pieno titolo all’interno dei confini delle discipline sociali. Ignorare gli umori della società, oltre a essere controproducente, rischia di generare intolleranza e di alimentare quelle politiche che sull’intolleranza hanno costruito la loro fortuna.

 

In quella sala di Flavon è stata quindi presentata pubblicamente un’indagine, nata dalla collaborazione tra il Parco Adamello-Brenta, l’Università Ca’ Foscari e l’Università di Sassari con il fine di cogliere le diverse sfumature che caratterizzano il dibattito sugli orsi nel Trentino occidentale. Scavando oltre l’epidermide, risulta infatti evidente che tra gli schieramenti favorevoli o contrari alla presenza del plantigrado, tra i bianchi e i neri, esiste una vasta gamma di tonalità intermedie.

 

Per riuscire a coglierle – hanno evidenziato gli antropologi responsabili del progetto, Roberta Raffaetà, Nicola Martellozzo e Gabriele Orlandi – bisogna innanzitutto partire dalla consapevolezza che sulle nostre montagne (e non solo) l’ordine delle cose è caratterizzato da un legame di interdipendenza tra gli elementi che lo compongono. È quindi controproducente trascurare le inclinazioni sociali: possono infatti influenzare, nel bene o nel male, gli equilibri del territorio.

 

L’ascolto diventa quindi un’azione preziosa, perché permette di comprendere le sensazioni di chi abita le valli. Proprio grazie all’ascolto – un ascolto attivo, che non coinvolge solo l’apparato uditivo, ma anche le fibre muscolari, in un’immersione quotidiana nella vita e nel lavoro delle persone intervistate – i primi risultati della ricerca hanno rilevato quella che forse è una dinamica inedita: gli schieramenti, a dispetto dell’apparenza, non sono appunto così netti come appaiono. Questo perché ogni parere riflette un determinato modo di percepire il mondo che, a sua volta, è spesso condizionato dalle esigenze soggettive, che variano di persona in persona.

 

La forma del dibattito che ruota attorno all'orso appare dunque ampia e multiforme: un altro aspetto importante, perché induce ad accettare la complessità che caratterizza il mondo. Forse questo approccio non garantisce risposte rapide o immediate, ma stimola un dialogo empatico tra le persone; invita a considerare le altrui prospettive evitando di appoggiare soluzioni semplici, demagogiche, a problemi estremamente articolati.

 

Il beneficio di questo metodo è duplice: se nella ricerca scientifica favorisce l’interdisciplinarietà, sul fronte sociale incoraggia la collaborazione. La tentazione di fronteggiarsi, di cercare lo scontro, di schierarsi a favore o contro gli orsi, cede così il passo alla volontà di convergere tutti insieme, a partire dall’esperienza degli esperti, verso l’individuazione di soluzioni collettive. È l’unica strada per raggiungere politiche concrete.

 

Quella degli antropologi è quindi una ricerca partecipata, capace di creare delle reti di fiducia. “Il nostro obiettivo – hanno affermato gli antropologi durante la serata – è quello di comprendere meglio le posizioni nelle più diverse sfumature per dare forma a iniziative efficaci e per non inciampare in risposte semplificate”.

 

Un traguardo che, se raggiunto, potrebbe finalmente restituire alle valli coinvolte un po’ di serenità.

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