Se geologicamente non siamo nell'Antropocene, perchè non siamo pronti a riconoscere con un nome ufficiale i nostri impatti?
L’Unione Internazionale per le Scienze Geologiche si è recentemente pronunciata stabilendo che l’Antropocene dal punto di vista geologico e stratigrafico non è ancora iniziato. Questa notizia non sminuisce in alcun modo gli impatti che la civiltà sta producendo sui sistemi naturali. Inevitabilmente apre però tanti interrogativi sul rapporto che la specie umana ha instaurato con i sistemi naturali. Perché non siamo pronti a riconoscere con un nome ufficiale i nostri impatti?
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il termine Antropocene è stato coniato per identificare l’attuale epoca geologica. La parola è data dall’unione di due vocaboli del greco antico: anthropos e cene, umano e recente. L’Antropocene identificherebbe la parte più recente della storia geologica della Terra, quella caratterizzata dal profondo impatto che le azioni umane hanno prodotto, e continuano a produrre, sui sistemi naturali.
La storia di questo termine, come recentemente ricordato in un articolo de L’AltraMontagna, è complessa, traendo le sue origini dalle pionieristiche riflessioni che l’abate Stoppani fece nel lontano 1865. La fama per questo termine arrivò però un secolo più tardi, grazie al celebre articolo di Crutzen (chimico e premio Nobel) e Stoermer (biologo ed ecologo) grazie al quale la parola Antropocene fu infine sdoganata per identificare la caratteristica emblematica della contemporaneità: l’impatto antropico.
Ma sebbene la scienza disquisisca sull’Antropocene da almeno 150 anni, l’epoca non è ancora stata riconosciuta dal mondo geologico. L’Unione Internazionale delle Scienze Geologiche si è infatti recentemente pronunciata contro l’adozione di questo concetto. Per approfondire le ragioni di questa decisione, facciamo un passo indietro e capiamo perché sia stata proprio un’istituzione che rappresenta le Scienze della Terra a pronunciarsi in tal senso.
È la geologia la disciplina chiamata a descrivere la storia della Terra. Essa si interroga sul passato del nostro pianeta e sulla sua evoluzione. Per ogni epoca individuata l’Unione fissa precisi confini temporali e un cosiddetto stratotipo, ovvero l’affioramento roccioso di riferimento che rappresenta il confine stratigrafico e cronologico tra due età. All’interno delle rocce si nasconde infatti una moltitudine di informazioni nella forma di segnali chimici, fisici e paleontologici. La storia del pianeta è custodita nelle rocce. L’Unione, studiando tutto questo, definisce un quadro geo-cronologico condiviso e robusto. Ecco perché è stato proprio questo l’organismo chiamato in causa per riconoscere se, quando e perché l’Antropocene è iniziato.
La pronuncia è stata chiara: a inizio marzo la sottocommissione per la stratigrafia del Quaternario (altra emanazione della citata Unione) ha stabilito che non possiamo ancora sostenere che l’Antropocene abbia effettivamente avuto inizio. E quindi? Quindi l’epoca geologica in cui ci troviamo oggi rimane la stessa iniziata 11.700 anni fa: l’Olocene, ovvero l’attuale periodo interglaciale che ebbe inizio al termine dell’ultima glaciazione.
La decisione non è una notizia arrivata all’improvviso. Il cammino formale per includere l’Antropocene nella storia della Terra è iniziato nel 2009, quando in seno all’Unione fu creato il gruppo di lavoro sull’Antropocene. Da allora i partecipanti al gruppo hanno studiato tutti gli aspetti geo-cronologici legati all’Antropocene, concentrandosi su tre aspetti:
- Identificare l’elemento di discontinuità stratigrafica tra Olocene e Antropocene (perché)
- Definire il limite temporale tra le due epoche (quando)
- Individuare lo stratotipo di riferimento (dove)
Molte proposte sono state fatte per identificare quale segnale abbia dato il via all’Antropocene: la diffusione della radioattività artificiale nell’ambiente, delle plastiche o dei prodotti secondari della combustione dei fossili (black carbon, sferule carboniose), oppure la perturbazione dei cicli biogeochimici (quelli del carbonio e dell’azoto in primis) o la diffusione di sostanze artificiali persistenti.
Una questione più delicata riguarda la scelta del riferimento temporale. Quando fissiamo la data di inizio dell’Antropocene? Alla prima detonazione di un ordigno nucleare (1945)? All’avvio della rivoluzione industriale (1750)? Secondo alcuni dovremmo andare molto più indietro nel tempo. La civiltà umana ha cominciato a perturbare gli ambienti naturali già a partire da 8000 anni fa, quando Homo sapiens colonizzò tutti i continenti, a esclusione dell’Antartide, e diede inizio all’agricoltura.
Quanto per lo stratotipo le cose sono ancora più complicate. Ne sono stati indicate decine e decine: dai sedimenti ricchi di frammenti plastici di remote isole, a quelli accumulati sui fondali oceanici dove la materia organica abbonda per via dell’eutrofizzazione. Alcuni, -in maniera forse un po’ provocatoria- hanno addirittura proposto i siti di allunaggio presenti sul nostro satellite. Alla fine la scelta del gruppo di lavoro è caduta sui sedimenti che si trovano sul fondo del minuscolo lago Crawford, in Ontario. Tra quegli strati di fanghiglia scura sono state individuate tante e diverse tracce lasciate dalle attività umane: residui di combustione, sostanze radioattive, inquinanti atmosferici, l’alterazione dei record pollinici, i segni di un'anomala sedimentazione indotta dalle attività umane. Osservando e studiando in dettaglio i sedimenti, gli esperti non hanno indicato una data precisa di transizione dall’Olocene all’Antropocene. Hanno invece preferito indicare il decennio interessato dalle più profonde trasformazioni: gli anni compresi tra il 1940 e il 1950.
La scelta definitiva del gruppo di lavoro sull’Antropocene è caduta quindi sui sedimenti di Crawford Lake. Completato anche questo tassello, la prima proposta completa per la definizione dell’Antropocene è stata inviata a una ulteriore commissione. Tutto questo ha richiesto 15 anni. Il percorso si è però bruscamente interrotto pochi giorni fa, quando la proposta è stata bocciata dalla commissione valutatrice. I motivi? Sebbene nessuno di chi ha votato contro mette in dubbio la profondità delle influenze umane sul mondo naturale, a mancare è soprattutto una visione condivisa sulla data di inizio dell’Antropocene. Preistoria, rivoluzione industriale, boom economico post-bellico? L’incertezza è ritenuta ancora eccessiva e nuovi studi sono richiesti in tal senso. Inoltre, e qui sta forse il cuore della questione, sembra che l’Antropocene sia una faccenda troppo recente per poter essere studiata in modo imparziale dalla geologia. Questa disciplina è abituata a confrontarsi con eventi antichi milioni di anni. Le lenti di cui dispone non riescono a mettere a fuoco il presente, osservandolo da troppo vicino lo deformano.
Questo epilogo, secondo quanto stabilito dall’Unione Internazionale per le Scienze Geologiche, implica che nessun’altra proposta sull’Antropocene potrà essere avanzata per almeno dieci anni e l’iter dovrà a suo tempo cominciare daccapo.
Da un punto di vista puramente scientifico, o meglio geologico, la scelta è stata ponderata. Siamo consci dell’impatto che le nostre attività stanno producendo sul pianeta, ma non sappiamo ancora quale eredità geologico/stratigrafica rimarrà a testimonianza di quanto accade oggi nei prossimi milioni di anni. Le scale temporali sono troppo lontane. La suddivisione del tempo geologico è però un prodotto scientifico dell’uomo realizzato per l’uomo, non dimentichiamolo. Se anche dei geologi alieni visiteranno la Terra tra 50 milioni di anni, per loro non farà alcuna differenza se avremo definito che l’Antropocene è cominciato nel 5000 a.c., nel 1700 o nel 1960. Di noi e delle nostre scale temporali non vi sarà nessuna traccia. Solo nelle rocce rimarranno i segnali chimici legati alle nostre perturbazioni.
Dare piena ufficialità all'Antropocene -che ricordiamolo, è un concetto abbracciato da tante altre discipline oltre che dalla geologia- sarebbe un risultato simbolico importante per la nostra civiltà. Con buona probabilità questa sarà la prima e ultima volta che sulla Terra una specie vivente si interroga consapevolmente sulla propria capacità di modificare e deteriorare l’ambiente in cui prospera. È qualcosa di incredibile e irripetibile, che merita estrema attenzione non soltanto dal mondo scientifico, ma anche da quello antropologico, sociale e filosofico. La geologia è sempre stata chiamata a studiare il passato remoto del pianeta, dove lo spazio occupato dalla specie umana era inesistente. Oggi si chiede a questa stessa disciplina di concentrarsi sul presente e sugli impatti di una singola specie altamente pervasiva. Nel passato geologico Homo sapiens non era contemplato, nel presente è invece diventato il principale attore in grado di spostare gli equilibri. Il cambio di paradigma è notevole, forse eccessivo. Non sarebbe più giusto che anche le discipline che studiano la nostra specie da tante prospettive diverse condividano l'onere e l'onore di sedersi intorno a un tavolo per ragionare sull'Antropocene insieme alla geologia?
Non riusciamo a deciderci a tracciare una riga sulla scala dei tempi, ma non ci facciamo poi grandi scrupoli a danneggiare la Terra, i suoi ecosistemi e in fin dei conti noi stessi. Intanto il tempo passa. Dobbiamo forse ridefinire le nostre priorità come specie vivente?