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Ambiente

Rifugi climatici a tutela della biodiversità. Necessario estendere le aree protette e limitare le attività umane in montagna, secondo Celada della Lipu

Le aree protette nei territori montani hanno avuto un ruolo fondamentale nel porre dei limiti al consumo di territorio. Come spiega Claudio Celada, direttore dell'area conservazione natura della Lipu, "rifugi climatici sono aree che rimangono adatte alla conservazione delle specie anche a fronte del clima che cambia, ma oggi sono situate perlopiù al di fuori di quelle aree protette". Queste, dunque, vanno ampliate e messe maggiormente in rete per includervi anche i rifugi climatici

di
Agenda17
20 marzo | 18:00

Nelle Alpi, le aree protette hanno avuto un ruolo davvero fondamentale nel porre dei limiti a uno sviluppo che negli ultimi decenni è stato di massa e travolgente sotto molti punti di vista, ad esempio per consumo di territorio e numero di persone che hanno fruito del bioma alpino. I rifugi climatici sono aree che rimangono adatte alla conservazione delle specie anche a fronte del clima che cambia, ma oggi sono situate perlopiù al di fuori di quelle aree protette che, dunque, vanno ampliate e messe maggiormente in rete per includervi anche i rifugi climatici.” È quanto afferma Claudio Celada, direttore Area conservazione natura della Lega italiana protezione uccelli (Lipu).

 

I rifugi climatici sono aree naturali che, nei prossimi decenni, manterranno la loro idoneità a ospitare le specie più a rischio a causa dei cambiamenti climatici. Poiché ad oggi sono solo parzialmente inclusi nel sistema di aree protette, è importante riconoscerli come prioritari per gli habitat di alta quota e la conservazione della biodiversità, soprattutto per le specie di montagna adattatesi a climi freddi.


La pernice bianca, tra le specie “simbolo” della biodiversità di montagna e minacciate da cambiamenti climatici e caccia (©lipu.it)

Uno studio, pubblicato su Global Change Biology, si è dedicato in particolare ai rifugi per alcune specie di uccelli d’alta quota. Gli uccelli, infatti, sono eccellenti modelli per studiare gli impatti del clima sulla biodiversità di montagna e ottimi indicatori ecologici, perché vivono su una scala spaziale che consente di ‘usarli’ come specie ombrello per proteggere altri organismi. “Se riusciamo a realizzare una gestione adeguata di alcune specie target – spiega Celada – a trarne beneficio sarà tutta una comunità di vertebrati che ne condividono i territori”.

 

Biodiversità e turismo di massa: un conflitto da gestire

Cosa fare per garantire che i rifugi climatici mantengano la loro funzione? “A causa del clima che cambia – prosegue Celada – sappiamo per certo che ci sarà una grossa riduzione delle aree di prateria montana d’alta quota alle quali sono legate specie come la pernice bianca, lo spioncello, il fringuello alpino e il sordone.


Rifugi multispecie di tipo 1 (idonei nelle condizioni climatiche attuali e tutte quelle future per almeno tre delle quattro specie target): in blu interni alle aree protette, in rosso esterni (©2022, Global Change Biology. The Authors. Identifying climate refugia for high-elevation Alpine birds under current climate warming predictions)

Queste stesse aree, però, sono molto appetibili anche per lo sci alpino. L’ampliamento di demani sciistici rappresenta un’importante minaccia: è evidente il conflitto tra la tutela della biodiversità da un lato e il mondo dello sci, ma anche di molte attività invernali ed estive che comportano un disturbo a carico degli uccelli, dall’altro. Quindi, pur essendo innegabile il peso economico del turismo di massa, dobbiamo prendere atto che non si può più aumentare l’estensione dei demani. Casomai sarebbe opportuno rendere più sostenibili quelli esistenti, ad esempio rendendo visibili i cavi degli impianti per evitare l’impatto degli uccelli, o usando forme di trasporto condiviso meno impattanti. È evidente che non si può vietare la pratica di queste attività, ma è altrettanto evidente come sia giunto il momento di fermarne l’espansione a danno degli ecosistemi”.

 

Altri fattori di disturbo: la cattiva gestione di pascoli e impianti fotovoltaici

Se lo sviluppo di impianti sciistici e infrastrutture rimane tra le principali minacce per biodiversità ed ecosistemi, non mancano altre forme di alterazione antropica che mettono a rischio la biodiversità alpina. “Altro importante fattore su cui si può intervenire – spiega Celada – è la gestione dei pascoli: il rischio infatti è avere da un lato zone sovrapascolate, che comportano erosione del terreno, e dall’altro aree abbandonate, che determinano un rapido aumento della superficie di cespugli e boschi e, quindi, un’ulteriore diminuzione delle zone di prateria montana. Sono due tendenze opposte, ma entrambe dannose per la conservazione degli uccelli.

 

Infine, un’ulteriore minaccia all’orizzonte è lo sfruttamento di pendii montani e alte fasce alpine per il fotovoltaico. Sviluppare questi impianti richiede cautela perché portano con sé anche una serie di infrastrutture, come strade e linee elettriche, con tutte le conseguenze che ne derivano. Prima di intraprendere un percorso del genere, dunque, si devono valutare alternative, a partire dal posizionamento dei pannelli su capannoni industriali e abitazioni. Siamo tutti d’accordo sulla necessità della transizione energetica, ma non possiamo pensare di risolvere il problema dei cambiamenti climatici danneggiando una biodiversità molto delicata e sempre più rara quale quella alpina”.

 

La tutela della biodiversità al centro di un grande progetto europeo

 

Le aree montane, nonostante coprano solo il 25% della superficie terrestre, ospitano circa la metà degli hotspot di biodiversità terrestre e un’alta percentuale di specie endemiche. Tuttavia molte specie alpine sono particolarmente vulnerabili alle alterazioni climatiche e gli effetti sinergici di cambiamento climatico, abbandono dei terreni e alterazioni antropogeniche degli habitat stanno minacciando un’ampia varietà di specie legate a prati e pascoli di montagna.

 

In Italia, le Regioni settentrionali, che ospitano oltre cinquecento siti Natura 2000, hanno un loro Quadro d’azione prioritario (Prioritizied Action Framework, Paf) per proteggere habitat e specie su un territorio di oltre 100mila chilometri quadrati. Nel 2024 è partito un importante progetto europeo, Life NatConnect 2030, che terminerà a dicembre 2032, per implementare cinque Paf in quattro Regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna) e nella Provincia autonoma di Trento. L’obiettivo è creare un sistema di gestione integrato delle reti ecologiche in un approccio trans-regionale, così da garantire il raggiungimento degli obiettivi di conservazione delle direttive Habitat e Uccelli.

 

“Il progetto, di cui Lipu è partner – conclude Celada –, comprende anche una linea di azione per integrare la rete ecologica tramite i rifugi climatici. La nostra ambizione è collaborare con le Regioni e Province autonome dell’arco alpino per far sì che ci sia una presa d’atto dell’importanza dei rifugi e che si crei una rete ecologica dinamica, cioè rivolta al futuro ed efficace anche all’avverarsi dei futuri scenari climatici. Formalmente non è un progetto collegato al lavoro svolto in Valle d’Aosta (Biodiv’connect), ma la metodologia è lo stessa. C’è già stata infatti una prima individuazione dei rifugi climatici su scala panalpina: ora questo progetto avrà finalmente una durata e un respiro che consentiranno di fare cose significative.”

l'autore
Agenda17

Agenda17 è realizzato dal laboratorio DOS (Design of Science) dell'Università di Ferrara in collaborazione con l'Ufficio stampa, comunicazione istituzionale e digitale dell'Università di Ferrara. Pubblica notizie e contenuti scientifici relative ai 17 obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile, declinandoli nei relativi contesti sociali, economici, culturali e politici

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