Per convivere con il lupo, servono consapevolezza e prevenzione, non atti di bracconaggio
Una intervista a Francesco Romito, di “Io non ho paura del lupo”, e Carmela Musto, assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna. Gli studi disponibili sulla mortalità dei lupi sono pochi, ma i dati sulle componente antropogenica, se pur sottostimati, sono allarmanti
A cura di Sandy Fiabane
“È innegabile che l’attuale clima allarmistico sui grandi carnivori favorisca la crescita di ostilità nei loro confronti e possa legittimare la mano dei bracconieri e di coloro che compiono atti illegali a danno di queste specie. Quello che però stupisce è soprattutto come il bracconaggio, di fatto, non faccia più notizia: non ci risultano dichiarazioni di condanna da parte delle istituzioni ai recenti fatti in Lessinia, solo per citare un esempio, eppure siamo di fronte a un reato che colpisce tutta la comunità.” È quanto dichiara Francesco Romito, vice-presidente dell’associazione Io non ho paura del lupo, in merito alla convivenza con i grandi carnivori e ai fenomeni di uccisione dei lupi per mano umana.
A inizio aprile fu rinvenuto un lupo in Lessinia ucciso a fucilate. Nella zona, denunciò l’associazione, si notano da tempo scritte contro i lupi, striscioni sui balconi delle case, voci di paese su verosimili atti di bracconaggio o esemplari uccisi deliberatamente.
Pochi gli studi e i dati: quelli disponibili sono però allarmanti
Nel 2021 uno studio pubblicato su Global Ecology and Conservation ha evidenziato le cause antropogeniche nella mortalità dei lupi in contesti antropizzati in Italia. I dati mostrano come, negli ultimi quarant’anni, una ricolonizzazione da parte del lupo del suo areale storico abbia aumentato le interazioni con l’uomo: tuttavia, è mancato un tracciamento puntuale delle tendenze sulla mortalità della specie.
Lo studio si era dedicato ai territori di Toscana ed Emilia Romagna, tra ottobre 2005 e febbraio 2021, con l’analisi di 212 carcasse di lupo: di queste, quasi la metà era morta per collisione con veicoli (104), 45 per avvelenamento, 24 per ferite d’arma da fuoco od oggetti contundenti (4) e 2 per impiccagione.
“Le cause di morte dei lupi esaminate successivamente al 2021 – spiega Carmela Musto, assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna e tra gli autori dello studio – sono oggi le medesime: c’è una netta prevalenza degli investimenti stradali, seguiti dall’illegal killing (avvelenamento e arma da fuoco) e una percentuale di morti naturali, principalmente per aggressione intraspecifica.
Va però precisato che determinare le cause di morte di una specie partendo da alcuni soggetti rinvenuti porta inevitabilmente a lavorare su una frazione del totale e a una sottostima dei soggetti morti in ambiente boschivo, oltre a quelli uccisi illegalmente e occultati. Tuttavia, anche considerando tale margine di errore, il dato di 35% di uccisioni illegali, sapendo che è sottostimato, appare allarmante.”
Anziché declassare lo status del lupo, servono serietà scientifica e iniziative consapevoli
Dopo la recente apertura dell’Europa alla possibilità di declassare lo status di protezione del lupo, i provvedimenti regionali italiani di abbattimento fino all’episodio emblematico della Svizzera, dove le istituzioni hanno fatto abbattere un lupo qualsiasi per la predazione di 16 capre, viene dunque da chiedersi se la stessa politica privilegi le soluzioni “di pancia” anziché incentivare misure volte a una convivenza equilibrata.
“La coesistenza è un tema complesso – prosegue Romito – che non può essere trattato con soluzioni semplicistiche, che invece a livello politico sono proposte quotidianamente. Pensiamo al Trentino: oggi la comunità locale non è in grado di prendere decisioni proprie a causa di un vortice di informazioni contrastanti, propaganda e soluzioni semplicistiche, che ha creato un circuito mediatico nel quale tutti si sentono in dovere di parlare di grandi carnivori senza averne le competenze.
Bisognerebbe invece andare verso la direzione della serietà scientifica e della cultura, guidando le comunità locali in un percorso serio e consapevole. I numeri parlano chiaro: la relazione tecnico scientifica del Muse di Trento “Lupus in stabula”, ad esempio, ci dice che nell’81% dei casi di predazione il bestiame non era difeso in alcun modo, a riprova del lavoro che ancora manca da fare.”
Anche il veleno per topi tra le minacce per i lupi
Un altro studio recentemente pubblicato di Science of the Total Environment ha inoltre evidenziato come, su 186 lupi morti recuperati tra il 2018 e il 2022, oltre sei su dieci (115, il 61,8%) erano positivi alla presenza di anticoagulanti rodenticidi di seconda generazione, cioè composti alla base di comuni veleni per topi e ratti. La loro concentrazione è aumentata a partire dal 2020, diventando un’ulteriore minaccia per la specie.
“La diffusa positività dei lupi ai rodenticidi – prosegue Musto – è il sintomo della penetrazione di queste sostanze nelle reti alimentari, coinvolgendo l’intero ecosistema. I risultati indicano che le pratiche di controllo dei roditori basate sull’uso di composti chimici non sono selettive, ma possono determinare una diffusa contaminazione di specie spesso protette o con uno stato di conservazione non sempre ottimale. Inoltre, sia il numero di tali sostanze sia la loro concentrazione sono maggiori nei lupi rinvenuti in contesti antropizzati: è dunque probabile che questi individui basino una parte della loro dieta sui roditori, esponendosi al rischio di contaminazione.”
Informazione, ricerca e prevenzione: la ricetta per un’equilibrata convivenza
Come rileva anche il Club alpino italiano nella rivista di luglio 2024, è di fondamentale importanza che le popolazioni di selvatici siano accettate da chi vive e lavora nei luoghi da essi abitati e che si possa realizzare una coesistenza duratura attraverso azioni come informazione laica, ricerca scientifica, prevenzione e rimborso di eventuali danni e corretta gestione dei casi problematici. Condannando dunque fermamente qualsiasi azione illegale, a partire dal bracconaggio.
“Il tema degli abbattimenti – conclude Romito – è fumo negli occhi degli allevatori e per noi, associazione fondata e condotta anche da allevatori e pastori, è fondamentale essere onesti nei loro confronti. Ad oggi ci sono tutti gli strumenti necessari per una corretta gestione del lupo e non occorre declassare la specie: d’altronde diversi Paesi europei praticano da anni abbattimenti percentuali sulle popolazioni con le nostre stesse regolamentazioni.
Eppure si continua a ripetere come un mantra che gli abbattimenti sono necessari per la convivenza. La realtà però è che lo strumento principale rimane la prevenzione. Parlare di compromessi non è un tabù per noi, ma non si può pensare di prenderli in considerazione senza una serietà gestionale che metta al primo posto la conservazione della specie.”
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