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Ambiente

Passi sovraffollati e inquinamento acustico (AUDIO): il traffico alpino - dai mezzi motorizzati ai droni - alimenta l'incapacità di percepire il paesaggio sonoro delle Terre alte

Il silenzio è pieno di suoni accidentali, sosteneva il compositore statunitense John Cage. Noi però, abbiamo perduto la capacità di ascoltare e di affidarci ai suoni per comprendere l'ambiente che ci circonda. Un'incapacità che si riflette nell'aumento esponenziale dell'inquinamento acustico non solo nelle città, ma anche negli ambienti naturali, montagne comprese. Con effetti negativi non solo sulla nostra salute, ma anche e soprattutto sull'ecologia e biologia delle specie animali

di
Chiara Bettega
16 agosto | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

E' la sera del 29 agosto 1952 e il pianista David Tudor sale sul palco della Maverick Concert Hall, una sala concerti immersa in un bosco di latifoglie della contea di New York. Non una sala concerti qualunque, la Maverick Concert Hall. Sembra un fienile ed è costruita interamente di legno: tronchi come colonne sostengono le travi del tetto, anch’esso ricoperto di assi dello stesso povero, ma durevole, materiale. Un luogo d'eccezione per musica d'eccezione. Tudor si siede al pianoforte a coda al centro del palco. Possiamo supporre indossi il frac d’ordinanza dei pianisti, dato che quella sera si tiene la prima dell’ultima opera di John Cage, famoso compositore di musica sperimentale. 

 

Il pubblico si zittisce e attende. Forse si ode qualche scricchiolio proveniente dalle fibre legnose della struttura che sorregge la sala. Qualche piccolo colpo di tosse. Tudor da inizio all’esecuzione: chiude il coperchio della tastiera e aziona il cronometro del suo orologio da taschino. Dopo 30 secondi ferma il cronometro, apre il coperchio, respira profondamente, richiude il coperchio e fa ripartire il cronometro. Dopo altri due minuti e 23 secondi ripete la sequenza di gesti e dopo un ulteriore minuto e 40 spegne il cronometro, apre la tastiera, chiude lo spartito, si alza e si inchina. 4’33’’ è contemporaneamente titolo e durata della composizione eseguita da Tudor. Quattro minuti e trentatré secondi di apparente nulla. La platea è sconcertata, alcuni pensano ad uno scherzo, altri ad un affronto. In fondo, hanno pagato un biglietto, forse stanno già pensando a chiedere indietro i soldi spesi.

 

John Cage commenterà così l’esito della serata: “Non hanno capito il punto. Non c’è niente come il silenzio. Ciò che essi pensavano fosse silenzio, perché non sanno come ascoltare, era invece pieno di suoni accidentali. Durante il primo tempo potevi udire il vento lì fuori. Durante il secondo, gocce di pioggia hanno iniziato a picchiettare sul tetto e durante il terzo le stesse persone hanno prodotto ogni tipo di suono interessante mentre parlavano o se ne andavano.”

 

Quei quattro minuti e mezzo diventeranno la composizione più famosa di Cage, una dimostrazione di come il silenzio assoluto non esista, ma venga riempito di suoni di volta in volta diversi a seconda dell’ambiente in cui ci si trova. La provocazione del compositore americano dimostrò anche che l’uomo della società moderna ha perduto la capacità di ascoltare.

Ciò che essi pensavano fosse silenzio, perché non sanno come ascoltare, era invece pieno di suoni accidentali.

 

Un'incapacità che condiziona non solo le nostre vite, ma anche quelle degli esseri viventi con cui condividiamo lo spazio su questo pianeta.

 

Facciamo un salto spazio-temporale: Passo dello Stelvio, 7 agosto 2024, tardo pomeriggio. Una giornata estiva come molte altre su ai 2.757 metri del Passo a cavallo tra Alto Adige, Lombardia e Svizzera. Il solito saliscendi di ciclisti che sgobbano o volano, a seconda del senso di marcia, sugli stretti tornanti del lato altoatesino e su quelli più ampi del versante lombardo-elvetico. Ad affiancarli la solita, intermittente, carovana di mezzi a motore: dalle automobili con i motori su di giri per lo sforzo di una seconda quasi continua, ai roboanti innesti di marcia di grossi motocicli, per passare ai carburatori scoppiettanti delle auto da corsa, che salgono quassù per far scattare ai loro proprietari la foto di rito accanto al cartello con il nome del passo per poi andarsene in fretta. Non ultimo qualche drone, che con il suo fastidioso ronzio sorvola i pascoli per l’ennesimo video da postare in rete, con buona pace di gipeti e compagni alati.

 

Dalle nove di mattina alle sei di sera il Passo, come molti altri passi alpini, è una cacofonia di suoni invadenti, perforanti, disturbanti, inquinanti. Prima, o dopo, questa fascia oraria, il Passo è fatto dei suoni di cui dovrebbe essere fatto un valico di montagna: quello che erroneamente chiamiamo silenzio è il paesaggio sonoro delle Terre alte, fatto del mormorio del vento, dei primi (o ultimi) canti e richiami del giorno degli uccelli, dei fischi d’allarme delle marmotte o del sibilo del camoscio e magari anche del lontano risuonare dei campanacci delle vacche al pascolo.

 

Questo file audio contiene due registrazioni fatte pochi giorni fa al Passo dello Stelvio, rispettivamente nel tardo pomeriggio dal minuto 0 al minuto 1:29, con condizioni di traffico medie (le punte si registrano nelle ore centrali del giorno) e all'alba dal minuto 1:30 al termine.

 

Se potete, ascoltatelo in cuffia. 

 

 

R. Murray Schafer, il padre dell’ecologia acustica e inventore del termine paesaggio sonoro (insieme di tutti gli eventi sonori che convivono in un determinato ambiente e sono percepiti da un soggetto o da un gruppo umano), avrebbe definito quello del Passo dello Stelvio tra le 9 di mattina e le 6 di sera un Lo-Fi Soundscape, ovvero un paesaggio sonoro a bassa fedeltà. Un paesaggio cioè, dove tutto è reso uguale da un rumore di fondo a banda larga, che copre tutti gli altri e crea un’immagine acustica piatta, senza alcuna prospettiva e che diventa un’abitudine acustica tale che quasi non ci facciamo caso. Sordità globale, la chiamava. Una condizione che può non stupirci in una realtà urbana - anche se dovrebbe - ma che diventa quasi un ossimoro (montagna rumorosa) in contesti naturali.

 

Il suono riveste una scarsa importanza nella nostra società rispetto al passato e forse è per questo che di inquinamento acustico si parla ancora poco. Stiamo inquinando anche gli ambienti più delicati riempiendoli di suoni artificiali e invadenti e non ce ne accorgiamo. Numerosi studi confermano l’impatto negativo che l’inquinamento acustico ha non solo sulla salute degli esseri umani, ma anche su quella delle specie animali: dalla più “banale” perdita di udito all’incapacità di udire importanti segnali dall’ambiente e da altri individui della stessa specie o di altre specie, dall’aumento dei battiti cardiaci e della respirazione a molteplici effetti sul comportamento.

 

Uno degli ecosistemi più studiati in tal senso è quello marino, dove gli effetti dell’inquinamento acustico sono particolarmente preoccupanti per i cetacei, il cui sistema sociale è intimamente legato alla trasmissione di informazioni tra individui tramite suoni che si propagano anche su distanze considerevoli. La nostra invadenza sonora ha però effetti anche sugli animali terrestri. Le più colpite in tal senso sono ovviamente le specie che più strettamente dipendono dalla comunicazione sonora per trasmettere - o raccogliere - informazioni, come uccelli e anfibi anuri (ovvero rane, rospi e raganelle). In entrambi i casi è dimostrato che l’inquinamento acustico può interferire con l’attività riproduttiva; inoltre negli uccelli può influenzare negativamente l’attività di foraggiamento e la capacità di sfuggire ai predatori, mentre negli anuri sono documentati cambiamenti a livello fisiologico come l’aumento di stress, inibizione del sistema immunitario e modifiche nella colorazione.

 

Taci, esortava D’Annunzio nell’incipit della sua "La pioggia nel pineto". Ascolta, incitava dopo pochi versi. Odi?, chiedeva nella seconda strofa.

 

Tre suggerimenti che dovremmo recuperare in quanto esseri sonori che hanno perduto la capacità di affidarsi ai suoni per comprendere - e rispettare - l’ambiente che li circonda.

 

Taci. Ascolta. Odi?

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