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Ambiente

Nicola Porro prova a negare la crisi climatica, ma nel suo ultimo libro troppe cose non tornano. Un linguaggio aggressivo maschera la debolezza delle argomentazioni

Complice una quasi sfida lanciata sui social, la lettura dell'ultimo libro del giornalista Nicola Porro ci proietta nel mondo di chi smentisce la crisi climatica e le responsabilità umane. Ne nasce così una "non" recensione, che riflette sui metodi e i protagonisti del saggio

di
Chiara Bettega
24 ottobre | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Conoscete i 10 diritti del lettore secondo Daniel Pennac? Il numero 5 è il “diritto di leggere qualsiasi cosa”. Ovviamente ciascuno di noi legge ciò che più gli piace (o non legge, avvalendosi del diritto numero 1 che corrisponde, appunto, al “diritto di non leggere”), perché saremmo un po’ masochisti a infliggerci pagine e pagine di un qualcosa che non è nelle nostre corde. E se ci capita un libro “cattivo”, come lo definisce Pennac, e proprio non ce la facciamo ad andare avanti, abbiamo anche il “diritto di non finire il libro” (diritto numero 3).

Comunque, a volte può capitarci di scegliere deliberatamente di leggere una cosa qualsiasi, intendendo cioè l’imbarcarci nell’avventura di leggere un libro che normalmente eviteremmo. Questo è ciò che mi è capitato di fare a cavallo tra un’estate al limite della sopportazione termica e un autunno di alluvioni in ogni dove, Marocco compreso.

 

Tutto è nato da un post su Facebook.

E' più o meno fine agosto, quando Pietro Lacasella pubblica un post in cui annuncia che il suo libro “Sottocorteccia”, scritto a quattro mani con Luigi Torreggiani, è secondo nella classifica Amazon dei libri più venduti nella categoria Ambiente. Secondo, dopo “La grande bugia verde” del giornalista Nicola Porro.

Mi si accende una lampadina. Commento il post dicendo a Pietro che prima o poi ci sarebbe toccato di leggerlo, perché a leggere solo ciò che è “dalla nostra parte” si finisce con l’allontanarsi troppo da chi è dall’altra. Giovanni Montagnani, figura di spicco del nostro attivismo climatico, mi risponde che avrebbero lasciato volentieri a me la fatica. Decido quindi di cogliere la proposta - o la sfida - nell’ironia di Giovanni e il giorno stesso procedo all’acquisto.

 

Ho letto il libro nell’arco di tempo tra il prima, il durante e il dopo l'alluvione in Emilia Romagna, dove in 48 ore sono caduti 350 millimetri di pioggia, a distanza di poco più di un anno da quella del 2023. Mentre agosto terminava con il record del “tredicesimo mese su quattordici in cui la temperatura media globale aveva superato 1,5 gradi in più rispetto ai livelli preindustriali” e successivamente dal Bolognese alla Romagna la gente tornava a tremare (certo, non solo a causa delle piogge più che intense, ma anche di decenni di consumo di suolo e scelte politiche poco lungimiranti), io leggevo frasi del tipo “il climatismo è un virus ideologico che contagia destra e sinistra” (p.11), “Si, certo, il clima del pianeta cambia ed è sempre cambiato.” (p. 17), “dobbiamo prepararci a fronteggiare un attacco senza precedenti al nostro stile di vita, al modello occidentale.” (p. 16) o “come è chiaro a uno studente di tredici anni [la CO2, ndr] non è un inquinante” (p.15), “semmai deve essere considerata il nutrimento fondamentale delle piante, senza morirebbero” (p. 47). 

 

In quei giorni mi sono interrogata spesso su come avrei potuto descrivere il libro di Porro se qualcuno me l’avesse chiesto e forse una risposta esauriente non l’ho ancora trovata. Di fatto, ci sto ancora rimuginando. Tuttavia, senza entrare troppo nel merito dei contenuti, un po’ alla volta si stanno delineando alcuni punti che credo fondamentali.

Intanto in questi giorni, mentre scrivo, l’Emilia Romagna è di nuovo sott’acqua. La quarta volta, in neppure due anni.

 

 

Una questione di metodo

Una piccola illuminazione mi è arrivata a metà ottobre, quando ascoltando l’ultima puntata del podcast Areale, Ferdinando Cotugno intervistava Giulio Betti, meteorologo e climatologo del CNR nonché divulgatore. Nel passaggio per me illuminante Betti spiegava la differenza tra spiegare e raccontare. Secondo Betti, spiegare scientificamente i fenomeni complessi legati al clima e all’atmosfera è porsi un po’ come il professore di fronte agli studenti, o lo scienziato davanti ai suoi pari. Invece bisognerebbe, come dice lui, “shiftare verso una modalità più narrativa”, per rendere tematiche estremamente complesse più digeribili e comprensibili “a chi non ha i mezzi scientifici per comprenderle”. E’ un lavoro duro quello del climatologo, ma è forse ancor più duro quello del climatologo divulgatore.

 

Fatta questa premessa, contestualizzo brevemente il libro di Porro. Si tratta di un saggio suddiviso in tre parti, due strettamente scientifiche, la terza economico-politica, in cui, come recita il sottotitolo “gli scienziati smontano, con dati reali, i dogmi dell’allarmismo climatico”. Porro fa da collante tra i vari capitoli, condendo con buone dosi di polemica e faziosa sicurezza le argomentazioni portate dagli scienziati coinvolti (che a loro volta devo dire non si risparmiano).

I mini-saggi di Porro, ma soprattutto gran parte dei capitoli delle prime due parti (“I modelli climatici sono imprecisi: escludono variabili fondamentali” e “CO2 e disastri naturali: esiste una correlazione? Cosa dice la letteratura scientifica”), sono una sorta di lezione accademica in cui si spiega, anziché raccontare, non solo perché l’emergenza climatica non esiste (“World Climate Declaration. There is no climate emergency”, manifesto sottoscritto da circa millenovecento studiosi che, appunto, negano l’esistenza di un’emergenza climatica) ma anche perché si può contestare tutto ciò che ruota attorno all’argomento.

 

Ammetto che più volte, durante la lettura, mi sono trovata in difficoltà tra grafici, numeri e citazioni, presentati per smentire tutte, ma proprio tutte, le argomentazioni riguardanti la crisi climatica. Se già può essere difficile credere che si possa davvero sostenere il contrario di tutto, il metodo utilizzato per farlo non aiuta affatto e sembra piuttosto usato di proposito per impedire qualsiasi replica, a meno di non essere esperti climatologi. Il lettore medio ma anche chi, come la sottoscritta, si occupa di scienza e ricerca in settori diversi dalla climatologia, troverà spesso complicato districarsi in questa demolizione delle certezze sostenute dalla maggior parte della comunità scientifica.

A tal proposito, il libro di Porro ha la propria tesi demolitrice anche sul consenso degli scienziati e questo è forse uno degli aspetti che più mi hanno colpito, perché ormai la quasi unanimità nel considerare l’origine antropica dei cambiamenti climatici sembrava assoldata. Porro sostiene che la tesi del 97% di consenso, da lui definita la “bufala del 97%” (p.25), sia frutto di un solo lavoro del 2009, del quale ne descrive i punti deboli, tra cui il fatto che questa percentuale sarebbe riferita ad un esiguo campione di poco più di tremila scienziati. Alquanto perplessa, ho fatto una piccola ricerca online e a partire da un contenuto del blog climalteranti.it (nel quale vi consiglio di curiosare, se siete interessati a saperne di più sul clima che cambia) ho scoperto l’esistenza di almeno altri nove lavori che tra il 2004 e il 2021 dimostrerebbero l’esistenza di un consenso tra il 91 e il 100% nella comunità scientifica; inoltre, il consenso aumenterebbe all’aumentare del grado di competenza in ambito climatico degli intervistati.

Insomma, quel cherry picking (letteralmente “raccolta di ciliegie”, ovvero raccogliere informazioni e fonti in base alle nostre convinzioni) che lo stesso Porro - a ragione - condanna (p. 36) viene da lui utilizzato per sostenere la propria argomentazione.

 

Il linguaggio è tutto

Una delle cose che più mi hanno disturbato nella lettura de “La grande bugia verde” è il tono della narrazione. Per fare un parallelismo “sonoro”, più volte durante la lettura mi è sembrato di trovarmi in mezzo al traffico di una metropoli: clacson, motori, voci, aerei che mi passano sopra la testa. Oppure, se preferite, a sopportare un fischio continuo e assordante. In ogni caso, disarmonico.

Ho trovato spesso, durante la lettura, aggettivi screditativi e toni supponenti e canzonatori. Toni che possono essere giustificati solo dalla debolezza delle nostre argomentazioni.

Riporto giusto qualche passaggio a titolo di esempio e ne lascio a voi il giudizio.

 

La propaganda climatista è favolosa e gode dei migliori copy che esistano al mondo. «Abbiamo un solo pianeta, non sprechiamolo» si dice sempre. Il venerdì si manifesta con allegria ai Friday’s for future e la madrina di questa battaglia è stata individuata in una piccola e fragile ragazzina che nessuno ha il coraggio di rimettere al suo posto. Che sarebbe poi la scuola.” (p. 47)

 

“Usate questo libro per farvi delle domande. Così come ve le fate quando sentite un comizio di un politico, quando ascoltate il sermone di un prete, o la proposta di vendita di un immobile da parte di un agente. Ecco, come in questi casi, vi chiediamo di accendere il cervello, di esercitare il vostro spirito critico. E’ ciò che la stampa, i politici, i burocrati, gli amici al bar hanno da tempo smesso di fare sulle questioni che riguardano il clima. Un cervello globale in stand by.” (p. 11)

 

Contrariamente a quanto strombazzato da varie organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU” (p. 73)

 

Eppure le campagne catastrofiste continuano imperterrite, con i soloni della verità indiscussa sempre protagonisti sulla scena mediatica.” (p.84)

 

 

La trappola dell’autorevolezza

La carriera di un ricercatore si misura soprattutto attraverso le pubblicazioni su riviste con peer review (revisione paritaria), che è anche uno degli aspetti attraverso i quali si può stabilire il grado di autorevolezza di uno scienziato in un determinato campo.

Nel libro di Nicola Porro l’autorevolezza degli autori viene spesso, giustamente, attribuita con l’affermazione “ha all’attivo oltre xx lavori tra pubblicazioni scientifiche e presentazioni a conferenze internazionali”.

Si ma, in quali campi?

Se il libro fosse stato scritto interamente da Porro, non ci sarebbe molto su cui discutere a riguardo: è un giornalista che fa il suo lavoro di giornalista e si affida a varie fonti. Quando però vengono coinvolti “autorevoli specialisti”, come recita il risguardo di copertina, ci si aspetta che chi scrive sia effettivamente uno specialista del settore. Capita invece che, ad esempio, il capitolo relativo al ruolo dell’uomo sul clima venga redatto da un professore di geologia, oppure un professore di energetica esperto di fisica nucleare si è occupato di quello che smentirebbe l’aumento di disastri naturali globali. Non sempre insomma esiste una corrispondenza reale tra l’argomento trattato in un determinato capitolo e l’effettiva esperienza di ricerca in quell’ambito da parte di chi l’ha scritto.

Un altro esempio è dato dal manifesto contro l’emergenza climatica che ho menzionato sopra, firmato da “scienziati riconosciuti e di altissimo profilo” (p.27). Scorrendo la lista dei firmatari, la parola “climatologia” compare solo 24 volte. Senza voler mettere in dubbio l’autorevolezza nei rispettivi campi di indagine di chi ha firmato, è giusto però specificare che di oltre 1900 firmatari poco più dell’1% sembra occuparsi di climatologia. 

 

 

Per finire, un po’ di decompressione

Torniamo indietro al momento in cui acquisto il libro di Porro. Per controbilanciare e riprendermi un po’ dallo shock, ci aggiungo “Primavera ambientale”, del giornalista Ferdinando Cotugno, che leggo subito dopo aver terminato "La grande bugia verde".

Le due letture mi hanno portata in altrettanti mondi agli antipodi, dai quali sono uscita proprio come se ci fossi stata fisicamente, a questi antipodi. Cotugno mi è servito da camera iperbarica, una decompressione necessaria a farmi tornare nel mio universo e a togliermi quel fischio assordante alle orecchie, fatto di velata arroganza. Leggere Cotugno, pur nella gravità dei concetti espressi, è stato come immergersi in un bosco e ritornare a respirare aria fresca.

 

Tirando le somme di questa non recensione, vi invito ad esercitare il vostro diritto a leggere qualsiasi cosa e quindi leggerveli entrambi, questi due libri. Che siate a favore di una o dell’altra parte, fa bene viaggiare su altri binari, almeno per un po’. Giusto per vedere come ci si sente. Potete sempre avvalervi del diritto di non finire il libro.

Una mia ultima, personale, considerazione.

Da una parte c’è un giornalista che si occupa un po' di tutto , ci dice “toc tooc” (dall’immagine di copertina del libro) e ci chiede di “accendere il cervello”. Dall’altra c’è un altro giornalista che si occupa di clima, ecologia e politica e ci dice che il giornalismo ha “un senso se riesce a essere un mestiere di cura, degli altri e del mondo”.

 

Non so voi, ma io sto con il secondo.

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