Montagne senza neve: l'aumento delle temperature sta trasformando la nostra idea di inverno
Sono ormai numerosi gli studi scientifici che attestano la diminuzione delle precipitazioni nevose sulle nostre montagne al di sotto dei 2000 metri, realtà che nelle località sciistiche comporta un sempre maggiore affidamento alla produzione di neve tecnica (o artificiale) per la copertura delle piste. Il cambiamento climatico comporta un cambiamento del paesaggio montano e del suo aspetto, con versanti privi di neve anche in pieno inverno sui quali di frequente serpeggiano i nastri bianchi delle piste da sci. Ma possiamo chiamare "montagna" anche questa?
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Con il cambiamento climatico in corso, che provoca tra le altre cose una riduzione delle precipitazioni nevose invernali e dei giorni di gelo o di ghiaccio che permettono il mantenimento della neve al suolo, le stazioni sciistiche delle Alpi e degli Appennini dovranno sempre di più affidarsi all’innevamento artificiale – almeno fino a che le temperature lo consentiranno.
Uno studio condotto da ricercatori francesi e austriaci, pubblicato su “Nature Climate Change” nel 2023 e citato in questo articolo de L’AltraMontagna, ha analizzato la situazione di 2.234 stazioni sciistiche in 28 Paesi europei. I risultati sono allarmanti: senza innevamento artificiale, ben il 53% di queste stazioni sarebbe a rischio elevato di mancanza di neve in caso di un riscaldamento globale di 2°C, percentuale che sale al 98% se l'aumento della temperatura raggiunge i 4°C.
Sempre più spesso, dunque, i versanti montuosi soggetti alla presenza dei comprensori sciistici sono caratterizzati dalla presenza dei nastri bianchi di “neve tecnica” che si snodano tra boschi e prati verdi, e questo accade non solo a inizio stagione ma anche a inverno avanzato – addirittura fino a primavera, come successo sugli Appennini la stagione scorsa.
La montagna che i frequentatori si trovano ormai spesso di fronte, insomma, offre una visione parecchio diversa rispetto a quella che di norma si genera nella mente pensando ai monti d’inverno, da sempre parte dell’immaginario comune al riguardo e tutt’oggi rilanciata dal marketing turistico: montagne ricoperte da un abbondante e uniforme manto di neve, nelle immagini pubblicitarie, contro boschi e prati verdi – d’un verde spento, inevitabilmente – inframezzati da strisce bianche più o meno ampie. Una visione collidente con quella solita “standardizzata”, straniante, e a cui non siamo ancora abituati – almeno non lo sono coloro che le montagne le hanno vissute fino a quando gli inverni sono stati più o meno regolari, cioè fino agli anni Ottanta del Novecento.
Posto che l’innevamento artificiale risulta sempre più necessario alle stazioni sciistiche per sostenere economicamente le stagioni – al netto della diversificazione dell’offerta turistica che tuttavia ad oggi risulta ancora marginale in gran parte delle località – e considerando come il cambiamento climatico sta già influendo anche sulla percezione e sull’immaginario diffusi riguardo le montagne e i loro paesaggi, una domanda (provocatoria ma nemmeno troppo) sorge pressoché spontanea: ma quella sopra descritta, che d’inverno presenta versanti secchi percorsi da nastri serpeggianti di neve artificiale, si può ancora considerare “montagna” per come abbiamo fatto fino a oggi?
Chiaramente tale domanda è da intendersi non in chiave meramente geografica – la montagna sempre tale resta – ma antropologica e concettuale; a qualcuno potrà sembrare una questione di lana caprina, invece genera implicazioni non indifferenti in ottica di futura frequentazione consapevole dei territori montani con notevoli ricadute sugli aspetti pratici e materiali – in primis quelli alla base dell’industria turistica la quale, come accennato, basa molto del proprio marketing e del suo successo su certi immaginari comuni consolidati da tempo. Immaginari e immagini, dei territori montani, che subiscono un dissolvenza a favore di altre immagini, di visioni differenti e pure fuori sincronia temporale – come quando a fine dicembre si sale in montagna e ci si aspetta di vedere la neve e invece ci si trova di fronte i prati: una circostanza ormai frequente, negli ultimi anni.
D’altro canto «Il paesaggio è un costrutto: non va ricercato nei fenomeni ambientali ma nelle teste degli osservatori» (lo rimarcò il grande sociologo svizzero Lucius Burckhardt) e «Noi crediamo in ciò che vediamo» (Verena Winiwarter, storica austriaca grande esperta di immaginario alpino): in base a ciò una montagna come quella che ho descritto poc’anzi non è (più) la montagna che c’era prima, ed è un ambito che inevitabilmente sta costruendo nelle nostre menti un nuovo paesaggio, "non ordinario" (per ora), da vivere e fruire attraverso nuove o diverse modalità rispetto a prima, dunque un nuovo costrutto, nuove percezioni, differenti elaborazioni culturali… una diversa idea di montagna invernale cioè un nuovo immaginario comune, insomma. Al quale inevitabilmente si dovrà adeguare anche tutto ciò che promuoverà la frequentazione di questa “nuova” montagna, sia nella rappresentazione visiva e sia nelle proposte di stampo turistico.
Tale realtà potrebbe generare due conseguenze principali, l’una effetto dell’altra ed entrambi piuttosto paradossali, almeno al momento: l’industria dello sci, costretta sempre più a vivere di neve artificiale e a tracciare i nastri bianchi delle piste sui prati privi di copertura nevosa naturale, sta contribuendo a (ri)disegnare e definire un'apparenza di montagna per la quale lo sci è e sarà sempre più un elemento per molti versi insolito: ciò che si percepisce osservando gli sciatori che scendono una pista di neve artificiale con a fianco i prati, appunto. Qualcosa legato a un’idea e a una dimensione montana che in gran parte non esiste più.
Nel tentativo inevitabile di sopravvivere lo sci "artificializzato" si sta autoemarginando dal paesaggio montano in divenire. La seconda conseguenza, come detto legata alla prima, è che il nuovo immaginario della montagna sempre più priva di neve sta cambiando e muterà sempre più le abitudini di frequentazione e le relative attività. Sulle montagne che anche in pieno inverno si presenteranno prive di neve, con un aspetto più tipico di altre stagioni, probabilmente il pubblico relegherà l’attività sciistica e le altre tradizionalmente invernali al margine dell’immaginario montano, mentre diventeranno preponderanti le attività che non abbisognano della neve per essere praticate.
Stiamo insomma riformulando, gioco forza, la nostra idea di cosa sia la montagna d’inverno, di cosa la caratterizzi e cosa non più, di cosa sia “normale” fare per viverla e frequentarla e di ciò che non lo è più perché ormai fuori contesto. Cambiando le visioni, i panorami, le percezioni, le esperienze, si ridefiniscono le idee, i concetti, le certezze, gli immaginari. Cambieremo anche noi, dunque, quando saliremo in montagna: un adattamento inevitabile che determinerà una nuova relazione con le terre alte e dunque un "nuovo" paesaggio alpino, esteriore e interiore.