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Ambiente

Milano Cortina 2026 non sarà la prima Olimpiade "davvero sostenibile". Né dal punto di vista economico, né da quello ambientale

Le Olimpiadi Milano Cortina 2026 sono state decorate dagli organizzatori con la medaglia alla sostenibilità. "Saranno le prime Olimpiadi davvero sostenibili", così è stato detto. Una verità che tuttavia non supera il livello promozionale, perché la realtà dei fatti ci presenta una situazione che di sostenibile – sia dal punto di vista ambientale che da quello economico – ha ben poco

di
Cesare Lasen
06 febbraio | 13:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

I grandi eventi sportivi, e tra essi le olimpiadi in particolare, assumono un ruolo socioeconomico e culturale che investe molti ambiti oltre a quello strettamente collegato alle competizioni. Nel caso di Cortina d’Ampezzo l’assegnazione di gare nelle principali discipline di sport invernali, frutto di una lunga trattativa (assai più politica che sportiva) con Milano, e le province autonome di Trento e Bolzano, e solo dopo la discussa emarginazione del Piemonte, è stata preceduta dall’assegnazione dei campionati del mondo di sci alpino, poi ritardati di un anno per gli effetti del covid19.

 

Se le risultanze sportive e di immagine hanno soddisfatto le attese di promotori e organizzatori, gratificati dalle ricadute pubblicitarie e dalla convinzione di aver favorito lo “sviluppo sostenibile” (?), non di meno si sono aperti fronti polemici che hanno coinvolto non solo, com’era intuibile, le principali associazioni di tutela ambientale, ma hanno alimentato un serrato dibattito tra i portatori di interesse, le associazioni di categoria, gli amministratori politici, tecnici ed esperti e tra essi anche vari economisti. Come spesso ribadito in varie sedi queste olimpiadi Milano-Cortina sono state presentate come un fiore all’occhiello per quanto concerne il contenimento delle spese, il risparmio energetico, la riduzione degli effetti dovuti al cambiamento climatico. Dalle cifre che si leggono e spuntano si evince, al contrario, una lievitazione della spesa pubblica che preoccupa sempre più i singoli cittadini, anche coloro che per gli eventi sportivi nutrono apprezzabili simpatie. Questa è, a tutti gli effetti, la principale preoccupazione quando si vanno poi a compiere le scelte decisive da calare nella realtà, sia che si tratti della pista da bob (il vertice della polemica), piuttosto che del villaggio olimpico, dei parcheggi, delle circonvallazioni.

 

Le cifre attualmente risultanti, comprendendo opere accessorie che altrimenti non avrebbero mai visto la luce, superano i 5 miliardi di euro e sarebbe oggettivamente difficile sostenere che esse siano scarsamente impattanti e che non vadano a intaccare il patrimonio naturalistico e aumentino il consumo di suolo. Queste sono le vere risorse del pianeta, non riproducibili. Autorevoli associazioni hanno dimostrato con i loro dossier gli effetti relativi agli interventi in termini di disboscamenti, di arginature, di estensione di piste, di nuova antropizzazione in un ambito di rilevante pregio caratterizzato da un Parco Naturale Regionale (peraltro ottimamente gestito finora dalle Regole) e dall’inserimento nella lista del patrimonio naturale mondiale dell’UNESCO. Essere riusciti, grazie all’intervento dei residenti, a scongiurare la costruzione del villaggio olimpico, nelle aree prative umide di Campo, è un modesto successo, ma preoccupa il solo fatto che si sia tentato di giustificare la localizzazione asserendo che si sarebbe trattato di ricorrere a strutture mobili da togliere a fine evento. Un esempio di analfabetismo ecologico che non necessita di commenti.

 

Solo per richiamare un altro intervento con effetti deleteri intrinseci e non potenziali, si annovera la circonvallazione a nord verso Fiames (con molti tratti in galleria da scavare) e sotto il Pomagagnon, nel quale la sola movimentazione di terreno (a prescindere da problemi geologici di rilevantissima portata, ammonterebbe a circa 1300000 metri cubi di materiali. Tornando alla pista da bob, più che gli aspetti connessi all’oggettivo impatto ambientale, il dato eclatante riguarda il costo (ordine di grandezza 120 milioni) per un impianto molto scarsamente utilizzato e la cui gestione sarebbe insostenibile per qualsiasi ente pubblico. Ma la storia non è finita nonostante le decisioni assunte dalla Fondazione Milano-Cortina in data 30 gennaio. Vero che l’offerta dell’unica ditta concorrente è inferiore a 90 milioni di euro, ma vi sono le preoccupazioni sui tempi e, da quanto si evince, anche una valutazione del CIO che non sarebbe comunque favorevole a tale nuova costruzione. Per segnalare la complessità del tema e della scelta vi sarebbe in ballo anche una sorta di commissariamento governativo verso la stessa Fondazione. La telenovela non è certamente conclusa.

 

A margine di questi dati che non richiedono specifici commenti, sarebbe questa l’occasione preziosa per ripensare ai modelli di sviluppo. Il turismo invernale può contare solo sull’industria dello sci? Senza contributi pubblici quanto sarebbero sostenibili alcuni interventi? Si legge che con nuovi impianti a fune si ridurrebbe il traffico automobilistico. Ne siamo certi? Ci sono previsioni attendibili riguardo all’innalzamento termico e ai rischi connessi a nevicate che appaiono sempre meno probabili e sufficienti? Sono domande che dovrebbero interessare anche i fautori di uno sviluppo tradizionale del territorio montano, fondato su schemi che, come minimo, vanno considerati superati. In proposito si è a conoscenza di progetti che mirano a collegare le principali aree sciistiche attraverso nuovi impianti e caroselli che intaccherebbero aree appartenenti al sistema Natura 2000. Osservazioni di metodo e di merito sono state formulate dalla Fondazione Dolomiti Unesco sul nuovo piano neve in fase di elaborazione da parte della Regione del Veneto. Verosimilmente, con più equilibrio e trasparenza, si potrebbe evitare l’incancrenirsi di situazioni sconcertanti verso direzioni che procedono in netta antitesi in rapporto alle esigenze di salvaguardia del pianeta e riduzione della perdita di biodiversità.

 

Del resto la scommessa dell’inserimento dei 9 siti seriali che formano le Dolomiti quale patrimonio naturale (per l’unicità della bellezza paesaggistica e l’integrità e importanza della storia geologica) dell’umanità -UNESCO- si giocava sulle due premesse/condizioni: la tutela dei valori che erano stati definiti nella dichiarazione universale (che prevede anche un no esplicito a nuovi impianti) e un progetto di comunicazione e diffusione di tali valori favorendo la partecipazione dei vari soggetti coinvolti nella gestione. Per chi frequenta responsabilmente la montagna non ci dovrebbero essere equivoci nel valutare l’attuale situazione.

 

(In copertina i trampolini olimpici di Pragelato, realizzati per Torino 2006. Costati 34,3milioni di euro, sono fermi dal 2008)

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