Mentre in Florida si abbatte l'uragano Milton, in Europa arriva Kirk: una spiegazione di questi fenomeni tra disinformazione, dati e influenza antropica
In questi giorni siamo bombardati da immagini drammatiche dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei mentre gli uragani Milton e Kirk compiono i loro tragitti lasciando dietro di sé una inquantificabile devastazione. Oggi Milton e l'ormai ex-uragano Kirk si stanno abbattendo, rispettivamente, sulle coste della Florida sul centro Europa. Diverse regioni alpine, italiane e non, sono in allerta
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
In questi giorni (o forse dovremmo dire settimane) siamo bombardati da immagini drammatiche dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei mentre gli uragani Milton e Kirk compiono i loro tragitti lasciando dietro di sé una inquantificabile devastazione. La giornata di oggi è caratterizzata dall’arrivo di Milton sulle coste della Florida e della coda di Kirk (definita ormai un ex-uragano) sul centro Europa, e in particolare, in diverse regioni alpine.
Facciamo chiarezza sui termini
Uragani, tornado, tifoni, cicloni, monsoni: per gli “addetti ai lavori” e i meteo-appassionati questi termini indicano chiaramente dei fenomeni diversi tra loro, ma non è scontato che tutti sappiano distinguerli e non di rado capita di sentirli utilizzati come se fossero interscambiabili per parlare di eventi meteorologici molto intensi. Può allora tornare utile fare un po’ di ordine mentale, se non altro per essere tutti consapevoli di come descrivere in modo scientificamente corretto ciò che sta succedendo in questi giorni.
Gli uragani, i cicloni e i tifoni sono in realtà lo stesso fenomeno: grandi tempeste tropicali che si formano al di sopra delle superfici oceaniche. La differenza, identificata dai diversi nomi che li contraddistinguono, è determinata dall’area in cui si formano. In particolare, gli uragani si formano sull’Oceano Atlantico e nella parte nord-est dell’Oceano Pacifico, i tifoni si formano nella parte nord-ovest dell’Oceano Pacifico, mentre il sud del Pacifico è dove si sviluppano i cicloni. Un dettaglio interessante è che i cicloni, trovandosi nell’emisfero australe, a differenza dei tifoni e degli uragani, ruotano in direzione opposta.
Con “tornado” ci riferiamo a delle colonne di aria rotanti che si formano invece sulla terraferma. Questi sono molto comuni negli Stati Uniti, ma si verificano anche in altre aree del mondo. Infine, i monsoni sono dei venti stagionali che si sperimentano molto nel sud dell’Asia (dove impattano fortemente attività come l’agricoltura) e che cambiano direzione due volte all’anno e portano delle grandi quantità di precipitazione.
L’uragano Milton in Nord America
Dopo solo due settimane dal transito di Helene, l’uragano più violento mai registrato ad essersi abbattuto sulle coste della Florida, lasciando dietro di sé più di 230 vittime e danni complessivi stimati a 47.5 miliardi di dollari, la stessa regione sta affrontando in queste ore un nuovo fenomeno di elevatissima intensità: l’uragano Milton. Questo si è abbattuto sulle coste dello stato della Florida nelle prime ore del 10 ottobre come uragano di categoria 3 (ed è stato poi declassato a categoria 2 e 1, con venti oltre i 140 chilometri orari, con il passare del tempo), ma nelle ore precedenti (e per diverse ore) era stato classificato come di categoria 5. Per provare a farsi un’idea della violenza del fenomeno in atto, basti sapere che i suoi venti hanno raggiunto i 285 chilometri orari prima di costeggiare la costa della penisola dello Yucatan.
Gli effetti del suo passaggio, chiaramente, sono ancora difficili da valutare, essendo il processo in atto. Tuttavia, sempre per comprendere l’entità del fenomeno, sappiate che quasi 3 milioni sono rimaste senza elettricità, più di 100 abitazioni sono state completamente distrutte e nei giorni precedenti l’impatto sono stati emessi ordini di evacuazione in 15 contee della Florida che contano un totale di 7.2 milioni di abitanti.
Come divulgatori, risulta necessario un chiarimento importante, che lasciamo fare alle parole di Matteo Miluzio, astrofisico e divulgatore molto noto con la pagina "Chi ha paura del buio": "A differenza di quanto viene scritto sui quotidiani, non è stata la tempesta dle secolo, visto che non è certo il solo uragano di questa potenza a impattare la terraferma. È stato sicuramente un uragano tra i piú potenti in Atlantico, ma ha rispettato perfettamente le previsioni (a riprova della bontá delle stesse)".
L’ex uragano Kirk in Europa
Mentre gli Stati Uniti affrontano la potenza di Milton, l’ex-Uragano Kirk, che era partito dalle coste dell’arcipelago di Capo Verde (addirittura) il 27 settembre, sta portando maltempo sul continente europeo, con allerte rosse e arancioni in diverse province italiane, molte delle quali situate lungo l’arco alpino.
Kirk, dopo aver sfiorato le Bermuda e aver raggiunto la categoria 4 con venti a oltre 210 chilometri orari, l’uragano ha perso intensità durante il suo passaggio a Nord delle Azzorre, dopo il quale ha cambiato rotta, puntando verso est e quindi verso l'Europa.
Il vasto vortice depressionario sta attraversando il continente nella zona centro-settentrionale e ha già lasciato danni ingenti in Spagna e in Portogallo, dove 300.000 persone sono rimaste senza corrente oltre a mandare in tilt il traffico aereo. In queste ore invece, oltre all’Italia, anche Svizzera, Francia e Germania si preparano a venti forti (fino a 150 chilometri orari) e piogge copiose che potrebbero determinare alluvioni e smottamenti.
“È probabile che Kirk provochi impatti significativi a causa dei forti venti e delle forti piogge nelle regioni citate. Gli impatti del vento includono danni agli alberi e ai tetti, interruzioni di corrente, strade e linee ferroviarie bloccate - ha spiegato il meteorologo Lars Lowinski a Euronews Green -. Poiché gli alberi sono in piena vegetazione, gli impatti di questa tempesta di vento in Francia, Svizzera e Germania saranno più elevati rispetto a quelli di tempeste di vento altrettanto forti in inverno’.
Il ruolo del cambiamento climatico: le ondate di calore marino
Consapevole del rischio di apparire monotematica, purtroppo, anche in questo caso non possiamo fare a meno di parlare di cambiamento climatico. In meno di due settimane due feroci uragani (Helene e Milton) si sono formati nel Golfo del Messico, dando avvio a una temibile stagione nel continente americano.
E cosa c’entra il cambiamento climatico? Ebbene, gli uragani richiedono una serie di “ingredienti” per realizzarsi, ma gli esperti concordano sul fatto che uno in particolare ha spinto queste tempeste verso nuovi limiti: il calore dell’oceano. Infatti, le acque del Golfo del Messico hanno iniziato a superare i massimi storici di temperatura quest'estate, ma nelle ultime settimane si è assistito a un'ulteriore ondata di calore - quella che viene definita come una “ondata di calore marino” che ha fornito ulteriore carburante alle tempeste.
La forza di una tempesta dipende in larga misura dalle condizioni atmosferiche al di sopra e dal calore degli oceani al di sotto. L'aria secca, ad esempio, può indebolire una tempesta. Un oceano estremamente caldo può aggiungere più energia a una tempesta, aumentando la velocità del vento e le precipitazioni. Se l'acqua calda è necessaria per gli uragani, le ondate di calore marino - periodi di temperature oceaniche anormalmente elevate - aggiungono ulteriore potenza.
“Le ondate di calore marine sono come i mostri del futuro” ha spiegato Soheil Radfar, ricercatore dell'Università dell'Alabama in un’intervista al The Washington Post. Radfar e il suo team lavorano da anni su questo tipo di fenomeni e hanno recentemente scoperto che le tempeste tra il 1950 e il 2022 avevano maggiori probabilità di intensificarsi rapidamente durante un'ondata di calore marino rispetto ai periodi senza ondate, se anche le condizioni atmosferiche erano favorevoli: “Il fattore più importante è l'elevata temperatura superficiale del mare” ha spiegato Radfar.
Il punto fondamentale è che il calore degli oceani è aumentato a livelli record negli ultimi decenni a causa dei cambiamenti climatici provocati dall'uomo, e il motivo è semplice: gli oceani, che coprono più del 70% della superficie terrestre, assorbono la maggior parte del calore in eccesso. E le ondate di calore marine, secondo le analisi di Climate Central, sono da 400 a 800 volte più probabili in un contesto di cambiamento climatico.
Radfar ha stimato che Helene, grazie all’ondata di calore marino in corso, aveva l'80% di probabilità di subire una rapida intensificazione, e per Milton questo processo è stato ancora più evidente. Secondo i ricercatori infatti questo aveva il 150% di probabilità in più di intensificarsi rapidamente durante un'ondata di calore.
Pioggia torrenziale (anche) di disinformazione
Questa settimana Milton ha letteralmente lasciato gli scienziati a bocca aperta: il meteorologo John Morales ha iniziato a soffocare durante la trasmissione parlando della rapida evoluzione del fenomeno, la scienziata Jennifer Francis ha definito “folle” l'improvviso calo di pressione della tempesta e il meteorologo Eric Webb ha detto che il tasso di intensificazione è “a dir poco leggendario”, per citarne alcuni.
Allo stesso tempo, professionisti del settore negli Stati Uniti (e non solo) hanno lanciato messaggi di denuncia circa la disinformazione sistematica su queste tematiche che caratterizza e ha caratterizzato la comunicazione circa il cambiamento climatico e i suoi effetti.
Ricercatori di tutto il globo hanno passato decenni ad avvertire che il surriscaldamento globale avrebbe portato a un aumento di eventi meteorologici estremi come Milton, ma la diffusione di queste informazioni è stata complessa e poco efficace in un ambiente mediatico frammentato e caratterizzato da aggressive ondate di disinformazione.
“Questa è di gran lunga la peggiore disinformazione (per un evento meteorologico) che abbia mai visto nella mia carriera”, ha dichiarato Katie Nickolaou, meteorologa televisiva di lunga esperienza per Cbs, commentando come i social media siano diventati un ambiente ostile per gli scienziati.
Morales, fondatore di ClimaData, ha detto che è difficile mettere in guardia le persone da eventi meteorologici estremi quando queste credono così profondamente nelle loro esperienze di vita: “C'è un peso immenso nel pensare: “Beh, vivo qui da 30 anni e non è mai successo niente del genere”. È nella natura umana pensare così, ma questa mentalità è costata molte vite nel corso degli anni”.