L'impatto dei comprensori sciistici sulla fauna alpina: esistono delle soluzioni per ridurlo?
Quello che per un osservatore poco attento può sembrare un candido manto nevoso, accuratamente ritagliato tra boschi e pendii, per la fauna alpina è un paesaggio in cui vivere tutti i giorni un’avventura alla Indiana Jones. I comprensori sciistici creano diversi livelli di minaccia e impatto, compromettendo la sopravvivenza e la salute di diverse specie di animali strettamente adattate agli ambienti alpini
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Gli ecosistemi montani, sottoposti a profondi cambiamenti dovuti al riscaldamento globale e all’impatto delle attività antropiche, custodiscono una ricca biodiversità, un alto numero di endemismi (specie animali e vegetali uniche al mondo) e di specie vulnerabili. Molti di questi animali si sono evoluti e adattati alla vita d’alta quota, sfruttando ogni risorsa disponibile, per sopravvivere alle condizioni climatiche e ambientali estreme dell’ambiente alpino. In questo contesto si inserisce l’industria dello sci, in continua crescita ed espansione nonostante i costi sempre più proibitivi, l’evidente mancanza di neve e le temperature elevate dovute al cambiamento climatico. Gli studi confermano come l’aumento delle temperature e della pressione antropica stiano spingendo molte specie a salire di quota, con il risultato che i loro areali vanno incontro a contrazione e frammentazione con conseguenze anche a livello di isolamento genetico, che mettono ulteriormente a rischio le loro popolazioni. Ma cosa succede alle specie che resistono in questo scenario così poco favorevole? Cercano di sopravvivere facendo del loro meglio per superare tutte le prove che l’aspro ambiente alpino, il cambiamento climatico e le attività umane mettono loro di fronte.
La pernice bianca, famosa per la sua capacità di cambiare vestito a seconda delle stagioni – presenta un piumaggio bianco candido nei mesi invernali per mimetizzarsi nella neve e uno grigiastro nei mesi primaverili estivi – è oggi considerata in Italia una specie a rischio d’estinzione a causa dei cambiamenti climatici e della conseguente perdita di habitat. Tra le strategie d’adattamento agli ambienti alpini di questa e altre specie di Galliformi, una molto particolare è quella di scavare degli igloo per superare gli inverni più rigidi. Questi rifugi scavati nella neve vengono però spesso schiacciati, danneggiati e disturbati dagli amanti del fuoripista. Il gipeto, estinto sulle Alpi nei primi del Novecento a seguito della persecuzione da parte dell’uomo (si pensava erroneamente che predasse le pecore), deve fare i conti con il disturbo sonoro anche all’interno delle aree protette. Nel 2013, in Val di Pejo, all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio, era stata segnalata la presenza di una coppia di gipeti impegnati nella costruzione del nido; si trattava del primo tentativo di riproduzione in epoca recente noto in Trentino. A causa del disturbo sonoro e delle forti vibrazioni provocate dalle attività di distacco artificiale di valanghe, per mettere in sicurezza le piste da sci della Pejo 3000, la coppia non solo si è allontanata ma, secondo le informazioni raccolte durante il censimento svolto nell’anno successivo, si è probabilmente separata. Il fagiano di monte, specie attualmente ancora cacciabile, deve fare lo slalom tra i cavi degli impianti di risalita e degli ski lift, pena la morte. Diversi studi hanno analizzato l’impatto sui Galliformi alpini (gallo cedrone, gallo forcello, coturnice, pernice bianca, francolino di monte) dovuto alla collisione contro i cavi, concordando che il rischio di mortalità per questo gruppo è molto alto. Queste specie hanno alcune caratteristiche morfologiche ed eco-etologiche particolari, quali il tipo di volo, la posizione degli occhi laterale e una capacità diversa da noi di percepire i colori, che li rende particolarmente sensibili al rischio di collisione con i cavi sospesi.
Può sembrare che l’impatto dello sci alpino sulla fauna selvatica sia legato al solo periodo in cui migliaia di persone solcano la neve e utilizzano gli impianti, ma non è così. Il disturbo e l’impatto delle piste e dei comprensori non sono stagionali, ma perdurano in qualche modo per tutto l’anno. Questo avviene a causa delle trasformazioni permanenti che impianti e piste comportano per l’ambiente alpino. A titolo di esempio, le comunità di invertebrati, attivi per lo più in estate, non hanno vita facile sulle piste da sci: una delle tecniche più utilizzate per la creazione delle piste è il machine-grading, che consiste nella rimozione della vegetazione e dei primi strati di suolo ed è causa di impatti duraturi sulla vegetazione e sulle caratteristiche chimiche e fisiche del suolo. Uno studio ha valutato l’impatto delle piste da sci sulla biodiversità animale, osservando che il numero e la densità degli invertebrati diminuisce significativamente passando dal bosco alla pista da sci. La presenza o, come in questo caso, la scarsità di invertebrati influenza direttamente la composizione e la diversità delle comunità di uccelli con una dieta prevalentemente a base di insetti e altri invertebrati. Le aree interessate dalle piste da sci ospitano in primavera un minor numero di specie, se confrontate alle zone prative naturali dei luoghi vicini. Per i mammiferi i comprensori sciistici rappresentano delle barriere che interrompono la continuità del loro habitat, limitandone i movimenti e la dispersione. Immaginate di essere un quercino (piccolo roditore appartenente alla famiglia dei Gliridi che vive nelle foreste e nelle aree montane) che deve raggiungere il bosco al di là della pista da sci. Per un animale così minuto è un rischio enorme, vorrebbe dire esporsi a diversi predatori e il rischio percepito spesso è così grande da spingerlo a non partire. Immaginatevi ora cosa possa significare essere un quercino intrappolato in un’area di bosco abbracciata da due piste da sci, con risorse alimentari limiate e con una bassa probabilità di incontrare un altro individuo con cui accoppiarsi. Dulcis in fundo, anche i bacini adibiti alla raccolta d’acqua per l’innevamento artificiale costituiscono un pericolo per la fauna, rappresentando delle trappole ecologiche “da manuale” per gli anfibi. Gli adulti, che scambiano erroneamente i bacini per delle pozze d’alta quota, vi entrano per deporre le uova, senza sapere però come uscirne. Lo stesso destino tocca ai girini metamorfosati, sempre che le ovature non vegano prima rimosse dai manutentori.
Viene da chiedersi se davvero vogliamo continuare a piegare le montagne e i loro abitanti sotto il peso delle nostre attività ricreative, o se forse è arrivato il momento di pensare un po' al di fuori dei soliti schemi e ridisegnare in chiave sostenibile la gestione degli impianti sciistici. Esistono già delle soluzioni studiate per ridurre diversi impatti delle piste da sci sulla fauna selvatica, come la creazione di “zone di riposo” all’interno dei comprensori sciistici - ovvero aree di bosco dove è vietato il passaggio, così da non disturbare le diverse specie di galliformi - oppure l’utilizzo di sistemi di visualizzazione per rendere i cavi degli impianti più facilmente percepibili dall’avifauna, riducendo il rischio di collisioni. Nel 2023 sono stati presentati i risultati del progetto Poia birdski, che ha visto collaborare fianco a fianco ricercatori, aree protette e gestori degli impianti per definire e mettere in atto delle strategie di conservazione della fauna alpina all’interno dei comprensori sciistici. Indiana Jones ci insegna che le soluzioni creative ai problemi non mancano mai, bisogna solo trovare la volontà di applicarle.