Le risorse naturali sono un bene primario
Per presentare L'AltraMontagna, il curatore del portale Pietro Lacasella ha intervistato i componenti del comitato scientifico.
Qui di seguito l'intervista a Cesare Lasen.
Per presentare L'AltraMontagna, il curatore del portale Pietro Lacasella ha intervistato i componenti del comitato scientifico.
Qui di seguito l'intervista allo studioso naturalista Cesare Lasen.
Il concetto di sostenibilità è sorretto da tre pilastri: quello ecologico, quello economico e, infine, quello sociale.
Non è tuttavia semplice trovare un equilibrio tra le esigenze antropiche e quelle naturali. Qual è a tuo parere il percorso culturale da seguire per costruire delle comunità più sostenibili?
Anzitutto è necessario essere consapevoli (convinti) che le risorse naturali sono un bene primario non riproducibile e che non può continuare a essere consumato e, come afferma il pontefice nella Laudato si’, depredato, senza che le conseguenze si ripercuotano negativamente sul piano sociale (penalizza i più poveri) e anche economico (si prova ancora a raschiare il barile per ragioni di profitto a breve termine e senza pensare alle future generazioni). Si può tener conto degli approcci positivi che per secoli hanno garantito, specie tra le popolazioni montane, un equilibrio che assicurava la durevolezza delle risorse.
Quali sono i principali vantaggi che la società contemporanea può trarre da parchi nazionali, boschi vetusti e riserve integrali?
I parchi sono aree speciali in cui si concentrano risorse naturali che meritano di essere conservate e anche valorizzate, attraverso forme di fruizioni che non erodano il capitale. Sono uno strumento e non la finalità. In essi si possono sperimentare, promuovendo la ricerca scientifica e coinvolgendo gli attori locali, delle buone pratiche di gestione da esportare poi all’intero territorio, anche non protetto. Parco laboratorio e non vincolo burocratico o, peggio ancora, luna park.
Le riserve integrali sono lembi di territorio molto speciali nei quali, a fronte di valori naturalistici di altissimo livello, si lascia che gli ecosistemi evolvano naturalmente senza interventi umani se non l’opportuno controllo della variazione dei fattori ecologici e dei dati scientifici. Un campione in bianco di straordinaria importanza per capire cosa sta avvenendo, e non solo per il cambiamento climatico in atto.
I boschi in generale, cioè la copertura forestale, rappresentano il tipo di habitat più articolato e complesso, la massima espressione delle potenzialità di un territorio (laddove non vi siano fattori limitanti, tipo aridità e basse temperature, che ne impediscano lo sviluppo). Premesso che forniscono servizi ecosistemici di valore straordinario che solo raramente sono riconosciuti e che le utilizzazioni producono legname di fondamentale importanza per le nostre attività e al quale non sarebbe ipotizzabile rinunciare totalmente, i boschi più naturali, nei quali da vari decenni non si interviene e che presentano caratteristiche di diametro, altezza, struttura, biodiversità e altri parametri ben definiti, sono considerati vetusti (in mancanza di quelli totalmente vergini, chiamati anche Urwald nella letteratura germanofona). La loro importanza è fondamentale, oltre che per la ricerca scientifica, per il paesaggio, per il loro immenso valore spirituale in un contesto ecologico in cui la Natura si esprime, senza interferenze e condizionamenti, secondo i principi della naturale co-evoluzione del rapporto clima-suolo-vegetazione.
Molti parchi nazionali sono segnati da una marcata contraddizione: se da un lato spingono verso la conservazione, dall’altro possono richiamare forme di turismo in alcuni casi incompatibili con gli equilibri ambientali e sociali (come sappiamo, infatti, all’interno dei confini dei parchi nazionali italiani spesso si contano numerosi centri abitati). Anche in questo caso, esiste un punto di convergenza tra esigenze naturalistiche, abitative e turistiche?
Il problema è noto e, come spesso si verifica, viene affrontato in modi differenti dai vari attori. Il tema è complesso ma, nella sostanza, risolvibile a livello pianificatorio serio, nel senso che non rimanga sulla carta.
All’interno di un parco si possono individuare aree a diversa vocazione: riserve integrali appunto, riserve generali od orientate, in cui prevalga ancora la Natura con eventuali interventi minimali che non implichino nuovo consumo di risorse, aree a destinazione agrosilvopastorale in cui sia lecito svolgere attività di agricoltura, allevamento e prelievi di legname ma con regole che garantiscano la durevolezza delle risorse nel tempo evitando fenomeni di degrado e, infine, anche piccole aree destinate alla promozione e allo sviluppo in cui si concentrano piccoli centri abitati e servizi essenziali per garantire la fruizione senza che essa stravolga gli assetti ecologici.
Studioso degli aspetti naturalistici dei territori, in particolare delle montagne dell’area dolomitica e prealpina. Autore di varie pubblicazioni scientifiche e divulgative, relatore in convegni e conferenze, membro di comitati di redazione e commissioni di valutazione. Ha svolto vari incarichi istituzionali tra i quali la presidenza del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi ed è attualmente componente del comitato Scientifico della Fondazione Dolomiti-Unesco. Si occupa di temi legati alla conservazione della Natura e dell’ecologia applicata.