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Ambiente

Le migrazioni verticali causate dal cambiamento climatico non vanno in una sola direzione: il caso del Tajikistan

Oggi, a Cop29, l’organizzazone internazionale per le migrazioni ha presentato un documento dedicato alle migrazioni negli ambienti montani legate al cambiamento climatico. Tra i casi studio, c'è anche il Tajikistan, un paese che sta puntando molto sul portare la montagna e la criosfera all'interno del negoziato. Raccontiamo una storia che arriva dalle sue montagne e in particolare dalla catena del Pamir

di
Diario da Cop29
20 novembre | 13:32

Siamo cresciuti misurando lo scorrere del tempo grazie a un sistema basato sugli eventi celesti (il calendario gregoriano) e forse senza immaginare modalità alternative per farlo, eppure ce ne sono alcune particolarmente affascinanti, come quella degli abitanti delle alte terre del Pamir - una catena montuosa che si trova, per la maggior parte, nel Tajikistan. Gli abitanti del “tetto del mondo” (così sono conosciute le montagne del Pamir, dato che la maggior parte di esse supera abbondantemente i 4000 metri di quota) hanno imparato a misurare il passare del tempo attraverso indizi ambientali che venivano poi connessi al corpo umano, in un processo di connessione di quest’ultimo con le stagioni e i ritmi delle loro relazioni ecologiche.

 

Tradizionalmente, nei villaggi della catena del Pamir, c’era un hisobdon (colui che calcola il tempo) che teneva traccia degli indizi dell’ambiente circostante e guidava poi i contadini nel comprendere quando avviare attività come la semina, l'aratura, il raccolto e gli eventi culturali.

 

Essenzialmente, ci sono dei momenti dell’anno che vengono associati a specifiche parti del corpo. Il conteggio solitamente inizia con la primavera: si parte dalla pianta o dall'unghia del piede e si sale verso l’alto, e dopo essere passati per alcune tappe fondamentali come la caviglia, lo stinco e il ginocchio, l'arrivo del tempo al cuore solitamente coincide con l'equinozio di primavera. Il conteggio passa poi per il petto e la gola fino alla testa: qui, si ferma per un chilla, un periodo di tempo caratterizzato da una minore attività agricola. Quando si osservano i nuovi segnali delle stagioni che cambiano nell’ambiente circostante, il conteggio riprende al contrario, scendendo lungo il corpo.

 

Questo modo di misurazione lo scorrere del tempo, che a noi può sembrare assurdo, è legato al modo in cui queste comunità percepiscono e vedono il mondo: il sole si trova nell'intestino, quindi quando gli abitanti del villaggio vedono valanghe o cambiamenti nei modelli di precipitazione, dicono che è “come un rigurgito nello stomaco”, mentre quando il sole si trova nella “bocca sorridente”, si suppone che fioriscano gli albicocchi.

 

Forse inquadrare meglio il contesto che queste comunità abitano può aiutare a comprendere questa completa connessione dei loro componenti con l’ambiente naturale: le montagne del Pamir. Queste, dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco, ospitano 1530 ghiacciai oltre che un lungo elenco di specie endemiche e protette. Insieme al Karakorum, le montagne del Pamir costituiscono, per l’Unesco, la "migliore area per studiare il cambiamento climatico in atto", anche perché comprendono la metà delle cime più alte del pianeta.

 

E in effetti, il motivo per cui si è tornati a studiare i calendari degli abitanti del Pamir, sono proprio gli effetti del cambiamento climatico che i suoi abitanti stanno sperimentando.

 

Nella regione si assiste a uno scioglimento sempre più rapido delle nevi e dei ghiacciai e all'innalzamento del livello dei fiumi. Contemporaneamente, il carattere e l'intensità delle precipitazioni sono cambiati: ciò che prima cadeva sotto forma di neve ora cade sotto forma di pioggia e, invece di essere distribuita nell'arco di 30 giorni, la pioggia può arrivare tutta in una volta. Questo insieme di elementi fa sì che alle alte quote si verifichino grandi frane o l'esplosione di laghi glaciali, e che più in basso, i terreni agricoli risultano spesso allagati e i raccolti della frutta siano continuamente scombussolati dalle temperature anomale.

 

Queste modifiche così sostanziali hanno essenzialmente sballato così tanto i calendari ecologici degli abitanti di queste terre da renderne impossibile l’utilizzo: ora però le comunità locali brancolano nel buio, prive di punti di riferimento, facendo enorme fatica a pianificare le attività agricole e culturali.

 

Chiaramente, gli effetti devastanti del cambiamento climatico su una regione come quella delle montagne del Pamir in Tajikistan, non si ferma qui: il paese è stato identificato da un rapporto della Banca Mondiale come il più vulnerabile in tutta l’Europa e l’Asia centrale, e i suoi abitanti si trovano ad affrontare la combinazione di questi nuovi rischi e dell’isolamento della regione in cui abitano.

 

Uno studio presentato oggi a Cop29 da parte dell’Iom (l’organizzazone internazionale per le migrazioni) ha scelto proprio il Tajikistan come caso studio per parlare della mobilità umana nelle aree montane dovuta al cambiamento climatico.

 

Nel rapporto si legge che dal dialogo con quasi duemila famiglie in diverse regioni del paese, emergono dei diffusi disagi psicologici legati agli ingenti danni ai terreni agricoli, ai pascoli, alla case mancanza di acqua potabile e per l’agricoltura, alla perdita di raccolti e perdita di reddito. Le famiglie che abitano in contesti prettamente rurali hanno raccontato di una diminuzione nella qualità e nella disponibilità dei pascoli e di difficoltà di accesso al foraggio e risorse idriche per gli animali.

 

Per questo motivo, come viene spiegato nel rapporto, una strategia chiave ad essere utilizzata dai popoli delle terre alte analizzate è la migrazione per lavoro, che va a unirsi alle evacuazioni e agli spostamenti.

E così, mentre noi, nell’arco alpino, parliamo di migrazione verticale (di chi può permetterselo) per sfuggire alle ondate di calore e ai livelli di inquinamento ingestibili (per dirne due), dall’altra parte del mondo la migrazione segue una traiettoria opposta, e porta popoli abituati da millenni a respirare aria sottile a migrare verso le basse quote.

l'autore
Diario da Cop29

Questo spazio è dedicato al racconto della Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si svolge dall'11 al 23 novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian. Sofia Farina seguirà i negoziati sul posto per L'AltraMontagna, portando i lettori nel mondo dei negoziati climatici, guidandoli alla scoperta delle questioni più stringenti per i leader del pianeta (e non solo)

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