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Ambiente

L’aumento della temperatura cancella le storie climatiche conservate nel ghiaccio

I ghiacciai sono le vittime per eccellenza del cambiamento climatico antropogenico. Con il ghiaccio che fonde non perdiamo solamente una preziosa fonte d’acqua dolce, ma anche informazioni climatiche e ambientali che sono naturalmente conservate nel ghiaccio di ghiacciaio. L’aumento della temperatura sta cancellando interi archivi climatici naturali, a rivelarlo un recente studio pubblicato su Nature Geoscience

di
Giovanni Baccolo
02 febbraio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

I ghiacciai sono enormi depositi di precipitazioni atmosferiche. Quando specifiche condizioni sono rispettate, lo spessore dei ghiacciai conserva in maniera ordinata la successione di nevicate che si sono susseguite negli ultimi decenni, secoli, o addirittura millenni. Tra i cristalli di neve e ghiaccio si nascondono una moltitudine di informazioni climatiche e ambientali che attraverso analisi chimiche e fisiche abbiamo la possibilità di leggere e interpretare, ricostruendo la recente storia climatica e atmosferica.

Per accedere a questo scrigno di dati utilizziamo le carote di ghiaccio, ovvero dei cilindri di ghiaccio che metro dopo metro attraversano l’intero spessore di un ghiacciaio. Sulle Alpi sono pochi i ghiacciai adatti per questo tipo di studio. Il motivo è presto detto: i ghiacciai sulle Alpi sono per la maggior parte temperati, ovvero si trovano allo stato di fusione e al loro interno contengono una piccola percentuale di acqua allo stato liquido. Gli scienziati preferiscono rivolgere l’attenzione ai ghiacciai cosiddetti freddi, dove nemmeno di estate la temperatura raggiunge il punto di fusione. L’assenza di acqua di fusione garantisce la miglior conservazione dei record climatici. Sulle Alpi i ghiacciai di questo tipo si contano sulle dita delle mani. Si trovano essenzialmente nelle regioni sommitali dei massicci più alti, in particolare Monte Rosa e Monte Bianco. Gli altri ghiacciai sono invece ampiamente intaccati dalla fusione, almeno durante l'estate.

Un recente studio pubblicato su Nature Geoscience, condotto da ricercatori del Paul Scherrer Institut in collaborazione con l'Università Ca’ Foscari di Venezia e l’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha mostrato che le cose stanno però rapidamente cambiando. L’aumento di temperatura rende sempre più frequente la fusione estiva anche ad alte quote. Questo ha ovviamente un forte impatto sulla massa dei ghiacciai: l’aumento dei tassi di fusione porta infatti a bilanci di massa dei ghiacciai negativi e alla netta scomparsa di ghiaccio anno dopo anno. Tuttavia, lo studio pone l’attenzione su un aspetto diverso: la conservazione delle informazioni climatiche all’interno dei ghiacciai. Il ghiacciaio preso in esame è quello di Corbassière, nei pressi della cima del Grand Combin (4314 m di quota, sul confine italo-svizzero nelle Alpi Pennine).

 


Margit Schwikowksi del Paul Scherrer Institut, mostra una carota di ghiaccio proveniente dal ghiacciaio di Corbassière. Sono evidenti le lenti di ghiaccio compatto dovute alla fusione estiva. Fotografia di Scanderbeg Sauer.

I ricercatori hanno confrontato due carote di ghiaccio prelevate a distanza di due anni l’una dall’altra nella stessa area del ghiacciaio (2018 e 2020). L’analisi dei dati ha evidenziato che nella parte superficiale del ghiacciaio sono bastati due anni per degradare i segnali chimico fisici conservati nel ghiaccio, in particolare quelli legati alle sostanze solubili, come solfati e nitrati. La cosa davvero sorprendente è che il ghiacciaio preso in esame si trova a oltre 4000 metri, dove ci si aspetterebbe un’ottima conservazione delle informazioni climatiche. Gli autori evidenziano che la frequenza degli eventi di fusione sta però aumentando anche ad alta quota, andando a intaccare irrimediabilmente la capacità del ghiaccio di conservare preziose informazioni. Un’altra testimonianza di ciò è data dalla presenza all’interno delle carote di ghiaccio di numerose lenti di ghiaccio compatto, completamente prive di bolle d’aria. Quando la superficie innevata di un ghiacciaio va in fusione, l’acqua liquida prodotta percola attraverso la porosità della neve. Se ci si trova ad alta quota, come in questo caso, l’acqua liquida non può fare molta strada, andando a rigelare non appena entra in contatto con strati di nevato più freddo, magari risalenti all’inverno. Il veloce rigelo produce nella stratigrafia evidenti strati di ghiaccio compatto, le lenti di ghiaccio appunto. Il movimento di acqua liquida all'interno della stratigrafia, nonostante coinvolga spessori ancora limitati, ha comunque un effetto deleterio sulla conservazione delle informazioni climatiche, causando la redistribuzione delle specie chimiche maggiormente solubili.

Seppur sporadici, gli eventi di fusione possono cancellare le informazioni un tempo conservate dai ghiacciai, anche alle quote più alte. Sembra quindi che la tendenza di riscaldamento in atto sulle Alpi, metterà a repentaglio la possibilità di studiare il clima del recente passato utilizzando i ghiacciai e le carote di ghiaccio.

Con il ghiaccio che fonde stiamo perdendo la memoria ambientale della Terra.

 

In apertura: una veduta aerea del ghiacciaio di Corbassière, in alto a destra si nota il campo dove è stata effettuata la perforazione. Fotografia di CNR, Ca’ Foscari University/Riccardo Selvatico

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