In Svizzera si fa fatica a produrre neve artificiale: troppo caldo, bisogna salire a 3500 metri. Storia di un rapporto di dipendenza
La neve artificiale è un porto sicuro in cui rifugiarsi in caso di assenza di precipitazioni nevose ma, considerata la riduzione e la discontinuità provocate dall'emergenza climatica, sta diventando un porto dal quale tante stazioni sciistiche rischiano di non uscire più
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il rapporto di dipendenza tra industria sciistica e neve artificiale è ormai evidente a tutti gli appassionati di sport invernali. Come riportato dal recente numero dedicato alle Alpi della rivista The Passenger, nella stagione 2021-2022 il 90% delle piste che si snodano sulle Alpi italiane (dove possiamo vantare 4991 chilometri di piste) è stato innevato artificialmente.
In Austria, dove i chilometri di piste sono 7207, il 70%;
in Svizzera, dove i chilometri sono 6801, il 54%;
in Francia, dove i chilometri sono 8493, il 39%;
in Germania, dove i chilometri sono 615, il 25%.
La neve artificiale è quindi un porto sicuro in cui rifugiarsi in caso di assenza di precipitazioni nevose ma, considerata la riduzione e la discontinuità provocate dall'emergenza climatica, sta diventando un porto dal quale tante stazioni sciistiche rischiano di non uscire più.
Ciononostante non bisogna dimenticare la voracità di questa pratica, affamata sia di acqua (per innevare artificialmente un ettaro di pista - si legge sempre in The Passenger - con uno strato di 30 centimetri sono necessari 1000 metri cubi di acqua, quasi la metá di una piscina olimpionica), che di energia (sempre per un ettaro di pista con uno strato di 30 centimetri servono 2000-7000 chilowattora, pari al fabbisogno energetico annuo di una famiglia italiana di quattro persone).
È quindi un circolo vizioso: per sopperire alle trasformazioni provocate dai cambiamenti climatici continuiamo ad avvalerci degli stessi mezzi che i cambiamenti climatici li stanno provocando.
Sarebbe tuttavia scorretto condannare lo sci senza prima fare una riflessione di carattere sociale: questa pratica è infatti riuscita a garantire maggiori benefici e maggiori sicurezze a molte località montane. Rappresenta tutt'oggi la locomotiva economica invernale delle Alpi e intere valli vengono da essa trainate. Se, in questa fase di transizione, l'industria sciistica può ancora avere una funzione attiva per la trama socio-economica dei territori che beneficiano degli impianti esistenti, allo stesso tempo risultano difficili da giustificare gli interventi (spesso supportati da fondi pubblici) indirizzati ad ampliarla: significa alimentare una dipendenza economica con un settore estremamente sensibile all'aumento delle temperature.
A evidenziare questa fragilità, sempre The Passenger informa che su Alpi e Appennini si contano 260 impianti dismessi, 177 temporaneamente chiusi e 93 aperti a singhiozzo.
Inoltre, nonostante la tecnologia abbia fatto dei passi importanti per rendere più efficienti le tecnologie finalizzate all'innevamento artificiale, non sempre si presentano le condizioni per tingere di bianco, sfruttando lance e cannoni, i versanti ancora brulli. È quanto ad esempio riporta Meteo Svizzera (in data 23/10/2024): oltre a informare che "nelle ultime due settimane, le temperature in montagna sono state particolarmente miti per la stagione" e che "abbiamo anche assistito a una successione di masse d'aria marittimo-subtropicali, sempre piuttosto umide", aggiunge che "dal 7 ottobre, a eccezione di alcuni giorni, si è dovuto salire fino all'altitudine della stazione Jungfraujoch, cioè oltre i 3.500 metri, per trovare condizioni che permettessero di produrre neve artificiale, un'altitudine decisamente troppo elevata per la maggior parte delle stazioni sciistiche".
Nel 2023, si legge nel report Nevediversa2024 di Legambiente, il ministero del Turismo ha destinato 148 milioni di euro alle società proprietarie degli impianti di risalita per ampliamenti, ammodernamento, innevamento artificiale, a fronte di 4 milioni destinati all'ecoturismo.
Uno squilibrio notevole su cui bisognerebbe iniziare a riflettere per immaginare un turismo invernale più aderente agli scenari climatici che si stanno delineando.