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Ambiente

Il cambiamento climatico modifica le interazioni tra specie. Perché deve essere d'insegnamento per noi umani?

Il cambiamento climatico si manifesta anche con effetti indiretti, che nel mondo animale significa, ad esempio, modificazione delle interazioni tra diverse specie, che si trovano a dover convivere laddove prima erano più o meno separate. Uno specchio di ciò che potrebbe accadere anche alla nostra specie, nel futuro delle Terre alte

di
Chiara Bettega
28 maggio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Questa storia ha quattro protagonisti del mondo animale alato: il picchio nero (Dryocopus martius), la civetta capogrosso (Aegolius funereus), l’allocco (Strix aluco) e l’allocco degli Urali (Strix uralensis). Quattro protagonisti che interagiscono tra loro e si trovano a dover fare i conti con il cambiamento climatico. E ci insegnano qualcosa.

 

Quasi come una favola.

 

Nelle favole gli animali rappresentano una trasposizione di vizi e virtù degli esseri umani e le loro vicissitudini servono da monito al lettore, che trova nella conclusione un insegnamento morale. L’educazione civica spiegata attraverso gli animali.

Come in una favola, i protagonisti di questa storia sono gli animali e come in una favola anche il nostro racconto contiene un monito. Non sono però i comportamenti antropomorfi a dettare l’insegnamento finale; gli animali in questa storia fanno gli animali e basta. E’ ciò che accade loro che deve servirci per riflettere sul nostro destino di abitanti, presenti e futuri, delle terre alte.

 

La storia che vi raccontiamo non esce da un libro di Esopo, bensì dalla rivista Global Change Biology, nella quale è stata pubblicata nel 2020 e racconta uno studio al quale parteciparono, tra gli altri, il Museo delle Scienze di Trento, la Fondazione Lombardia per l’Ambiente e le Università di Pavia, Torino e Berna. Lo scenario è quello dell’arco alpino in cui le quattro specie, tutte nidificanti in cavità, sono presenti più o meno diffusamente, ad eccezione dell’allocco degli Urali, presente nella porzione più orientale della catena montuosa.

 

Il picchio nero, l’unica specie diurna del quartetto, può trovarsi al livello del mare come a 2000 metri, limitato però nella sua distribuzione dalla presenza di foreste mature, ben strutturate, con alberi di un certo diametro e presenza di legno morto. Lui è l’ingegnere del gruppo, perché scava con precisione cavità ordinate, ampie e profonde in cui nidificare. L’allocco è “la bocca buona” del gruppo, presente in una gran varietà di habitat, da quelli forestali ai parchi cittadini passando per le campagne coltivate e, quando coincide con il picchio nero, può approfittare delle cavità da lui scavate per farsi il nido. L’omonimo nordico invece, nel suo ramo di distribuzione alpino-dinarica, predilige le foreste miste della media montagna. La meno fortunata del quartetto, almeno per quel che riguarda l’arco alpino, è la civetta capogrosso, per la quale le Alpi rappresentano un rifugio climatico, ovvero quel che rimane della sua distribuzione dall’ultima glaciazione. Questa specie non è esigente solo dal punto di vista termico: per nidificare non è che le vada bene qualsiasi cavità, ma predilige quasi esclusivamente quelle scavate dal picchio nero.

 

Ora che sappiamo qualcosa in più sulle preferenze ambientali dei protagonisti della nostra storia, possiamo già intuire come l’aumento delle temperature che si accompagna, tra gli altri fenomeni, alla crisi climatica, possa influire direttamente sulla distribuzione di queste specie. Ad esempio, l’allocco si sta espandendo verso l’alto, mentre la civetta capogrosso, già “rifugiata” sulle Alpi post-glaciazione, vede la sua distribuzione ridursi sempre più mano a mano che è costretta a salire in cerca di condizioni termiche più favorevoli ed è destinata ad entrare nel gruppo dei rifugiati climatici animali per eccellenza. Lo studio in questione ne prevede una perdita di habitat del 65%, solo per effetto diretto dell’aumento delle temperature.

 

La storia raccontata in questa ricerca è però soprattutto una storia di “sconvolgimenti relazionali”.

 

Le alterazioni ambientali sulle specie e sugli ecosistemi hanno anche effetti indiretti, spesso molto più subdoli perché meno evidenti. Nella nostra storia - che, badate bene, non è l’unica di questo tipo - lo spostamento delle specie come conseguenza diretta dell’aumento della temperatura provoca degli effetti indiretti che agiscono attraverso la modifica delle interazioni tra specie.

Così come “nessun uomo è un’isola”, nessuna specie esiste per sé stessa, ma è il risultato di una complessa rete di interazioni intra- e interspecifiche. Tra le interazioni che più di altre influiscono sulla presenza di una specie in un determinato luogo troviamo la facilitazione, la competizione e la predazione. Nel primo caso, come possiamo già intuire dall’accezione positiva del termine, una specie favorisce la presenza di un’altra specie. Quando invece due specie utilizzano risorse simili (per cibarsi, per riprodursi, ecc.) ecco che possono entrare in competizione per accaparrarsi il meglio. La predazione infine, non ha bisogno di grandi spiegazioni.

 

Come funzionano perciò queste interazioni nel nostro piccolo caso studio alpino? 

Guardate l'immagine (adattata dall'immagine pubblicata nello studio): il picchio nero è il facilitatore per eccellenza, in quanto come abbiamo visto dalle sue cavità dipendono in parte l’allocco e, soprattutto, la civetta capogrosso. L’allocco è uno dei principali predatori di quest’ultima e compete con l’allocco degli Urali sia per i siti di nidificazione che per il cibo (civetta capogrosso compresa), con la differenza che il secondo può predare il primo.

 

 

 

La storia quindi prosegue e ci racconta che lo spostamento nella distribuzione di queste specie come conseguenza del cambiamento climatico ne modificherà le interazioni: allocco e allocco degli Urali si troveranno a dover condividere sempre più spazio, perché entrambi si espanderanno (come già sta accadendo), mentre la povera civetta capogrosso subirà una sempre maggiore pressione predatoria. E se il picchio nero esce piuttosto indenne da queste interazioni cambianti e dall’aumento delle temperature, altre per lui potrebbero essere le sfide (ne parleremo in futuro ma, spoiler, centrano Vaia e bostrico), e dal loro esito dipenderà, ancora una volta, la civetta capogrosso.

 

Nelle favole la morale viene spesso esplicitata nel finale con una frase.

Ciò che accade e accadrà ai protagonisti di questa storia sulle nostre montagne può essere lo specchio di ciò che succederà a noi: la crisi climatica potrà portare a spostamenti da città e pianure verso le montagne (ne ha parlato anche Sofia Farina con Luca Mercalli in una puntata del podcast “Un quarto d’ora per acclimatarsi), provocando nuove interazioni la cui direzione, positiva o negativa, dipenderà da come residenti e “migranti” sapranno comprendersi e collaborare.

 

Meglio pensarci fin d’ora. Prendiamo quindi in prestito il monito per la nostra storia dalla favola esopica della Formica e lo scarabeo: “così coloro che nel momento dell’abbondanza non pensano al futuro, quando i tempi cambiano, debbono sopportare le più gravi sofferenze”.

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