Gli alberi ci salveranno? Assorbono davvero il 31% di carbonio in più di quanto pensassimo, come ha scritto il Corriere?
Sul Corriere della Sera è apparso un articolo intitolato: “Ci salveranno le piante: mangiano anidride carbonica più di quanto pensassimo”. Ma è davvero così? L'analisi di Alessio Collalti, primo ricercatore del Cnr e responsabile del Laboratorio di modellistica forestale
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Negli scorsi giorni è rimbalzato sui social un articolo del Corriere della Sera, a firma di Paola d’Amico, intitolato: “Ci salveranno le piante: mangiano anidride carbonica più di quanto pensassimo”.
L'articolo cita uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature che, sulla base di un nuovo modello sviluppato dalla Cornell University, indicherebbe come la quantità di CO2 rimossa dall’atmosfera tramite la fotosintesi, quindi ad opera delle piante, sia stata finora fortemente sottostimata.
I ricercatori, attraverso un nuovo modello che traccia il movimento del solfuro di carbonile dall’aria ai cloroplasti delle foglie, hanno stimato che alberi e foreste potrebbero assorbire circa il 31% in più di anidride carbonica dall’atmosfera di quanto si pensasse in precedenza.
Questo, come scritto anche nell’articolo del Corriere e ben evidenziato dal titolo, porterebbe a pensare ad un ruolo ancora più importante di alberi e foreste per la mitigazione della crisi climatica, promuovendo così, a maggior ragione, le politiche di rimboschimento globale talvolta descritte come salvifiche per far fronte al climate change. Si pensi ad esempio alla proposta di piantare “mille miliardi di alberi”, siglata addirittura all’interno del G8 ma molto criticata da ricercatori ed esperti in quanto irrealizzabile e, comunque, non così impattante in termini di mitigazione rispetto a quanto descritto a gran voce dai promotori.
Tuttavia, come ha spiegato a L’AltraMontagna Alessio Collalti, primo ricercatore del Cnr e responsabile del Laboratorio di Modellistica Forestale, l’articolo del Corriere arriva a conclusioni affrettate, non spiegando con precisione i nuovi dati portati dall’articolo apparso su Nature.
“L'articolo parla innanzitutto di "stime fatte 40 anni fa". E non è vero”, spiega Collalti. “È vero che il modello biochimico più utilizzato nella sua forma più generale è quello di Farquhar, Von Caemmerer e Berry del 1980. Ma in quel modello, utilizzato anche nel nostro laboratorio, c'è una tale fondatezza scientifica che è assai riduttivo dire che non funzioni più. È stato infatti utilizzato, parametrizzato e calibrato da tantissimi (e lo è tuttora): dire che sia sbagliato… è sbagliato! Le stime globali, se confrontate con questo nuovo modello, danno valori diversi e sicuramente molto interessanti. Vero è che gli ecosistemi tropicali, ad esempio, hanno sempre mostrato di essere zone particolarmente difficili sia da misurare che da modellare”.
Ma il punto chiave è relativo alla maggior capacità di alberi e foreste di assorbire CO2. “Anche se fosse dimostrato che tutte le foreste fotosintetizzano il 31% in più di quanto noto finora”, sottolinea Collalti, “potrebbe non cambiare però molto nel bilancio netto utile alle politiche di mitigazione, perché 31% di carbonio sequestrato in più durante la fotosintesi significa, al netto, più respirazione autotrofa, il processo metabolico delle piante che riemette in atmosfera parte della CO2 assorbita, e che rappresenta sempre, più o meno, il 50% della fotosintesi”.
In pratica, il nuovo studio parla di una nuova stima, validata solo su alcuni siti (quindi non ancora scientificamente solida per tutto il pianeta) relativa alla cosiddetta “GPP”, la produzione primaria lorda di carbonio da parte delle piante. Si tratta quindi del carbonio lordo che entra attraverso la fotosintesi, non di quello che resta al netto della respirazione. L’articolo apparso su Nature, infatti, non parla in alcun modo delle implicazioni di questa nuova stima sulla “NPP”, cioè la produzione primaria netta di carbonio da parte degli ecosistemi terrestri.
Gli alberi, insomma, da soli non ci salveranno, nonostante questa nuova stima. Ci possono aiutare, indubbiamente, ma non possono rappresentare in alcun modo il “silver bullet”, il “proiettile d’argento” con cui sconfiggere il riscaldamento globale. Oltre a ridurre drasticamente la deforestazione, a tutelare e ad incrementare la superficie forestale mondiale, è necessario innanzitutto ridurre le emissioni di gas climalteranti. Solo così sarà possibile frenare l’avanzata della crisi climatica.