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Ambiente

Gianni Rigoni Stern: "Penso alla tempesta Vaia come a un sospiro pesante di una natura stanca dell’uomo". In quanti sono riusciti a cogliere quel monito?

Sono trascorsi sei anni da Vaia, tempesta che - dicono le stime - ha abbattuto 42 milioni di alberi su una superficie che si estende dalla Lombardia al Friuli. Come se non bastasse, la massiccia quantità di piante danneggiate ha permesso al bostrico (un piccolo coleottero) di passare da specie endemica a specie epidemica. Questi due episodi ci hanno "messo di fronte alla stoltezza della specie umana". Vediamo perché

 

Le fotografie che accompagnano il testo sono di Giuliano Dal Molin

di
Pietro Lacasella
29 ottobre | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Benedetta Vaia. L’articolo che Gianni mi ha piazzato davanti s’intitola proprio così e porta la sua firma.

 

«Benedetta Vaia!» ha ripetuto ad alta voce, come per irrobustire la riflessione. Ha poi aggiunto, con parole simili a quelle che aprivano il pezzo: «Benedetta sì, perché ci ha messo di fronte alla stoltezza della specie umana».

 

«In molti non hanno gradito quel titolo» ha proseguito, lasciando che un delicato sorriso si schiudesse sotto la barba avorio, «ma io penso che i boschi atterrati, i giorni senza energia elettrica, i danni al suolo e alle infrastrutture siano il segno, il messaggio che la natura manomessa ci ha inviato. I cambiamenti del clima sono sotto gli occhi di tutti, anche se qualcuno ancora si ostina a non volerli vedere. La temperatura e le precipitazioni sono cambiate».

 

La casa di Gianni è color albicocca e profuma di legna. L’odore si percepisce sin dalla strada che, con pendenze vertiginose, accompagna al cancello. Quando sono andato a trovarlo mi stava aspettando davanti alla porta, con la sedia rivolta a ovest per godere meglio dei raggi insolitamente generosi e caldi di quella sera d’autunno.


Sul retro della casa incombono i boschi che chiudono a nord la conca centrale dell’Altipiano dei Sette Comuni. Il suo giardino è in buona parte coperto dagli alberi che ha raccolto – forse per seguire l’esempio del padre – durante numerosi viaggi forestali, compiuti per lavoro o per passione: ogni pianta gli ricorda un luogo, un’esperienza, un profumo. Finito l’arboreto inizia il frutteto, con una lunga e ordinata distesa di meli, peri, pruni. La legnaia, alzata con cura a destra dell’uscio, è una sorta di piccolo tempio del legno. Gli stessi interni della casa sono un prolungamento del bosco, così come il tepore che avvolge le stanze, prodotto da una grande stube bianca. «Con questa riesco a scaldare tutta la casa» ha sottolineato con orgoglio, anticipando la mia domanda.

 

Il legno ha accompagnato Gianni per tutta la vita, privata e professionale. Per questo motivo ho ritenuto importante confrontarmi con lui sulle trasformazioni che stanno coinvolgendo i boschi.

 

«Sai» ha detto a un certo punto, con gli occhi seri, «penso alla tempesta Vaia come a un sospiro pesante di una natura stanca dell’uomo». Aveva ragione: Vaia è stata un monito, un invito a rallentare il passo. Ma in quanti sono riusciti a cogliere quell’avvertimento?


I cambiamenti climatici si prestano al linguaggio giornalistico solo quando mostrano il loro volto più arcigno, quando provocano catastrofi o fanno registrare nuovi preoccupanti primati. È il cavallo imbizzarrito a fare notizia, non quello che da anni soffre in silenzio. Saltando da un cataclisma all’altro, la narrazione dei cambiamenti climatici si fa quindi balbuziente. Eppure, le trasformazioni provocate dal surriscaldamento globale hanno uno sviluppo quotidiano. Ma questa quotidianità è impossibile da comprendere se viene raccontata a singhiozzo, alzando i toni e la qualità del dibattito solo quando un determinato avvenimento accade. Pertanto, credo sia necessario aggiornare la riflessione di Gianni: benedetta Vaia, per aver lanciato all’umanità l’ennesimo segnale, ma anche e soprattutto benedetto bostrico - la massiccia quantità di piante danneggiate ha permesso al bostrico (un piccolo coleottero che trova nell'abete rosso le condizioni ideali per soddisfare i suoi fabbisogni riproduttivi) di passare da specie endemica a specie epidemica -, per averci dimostrato che gli effetti a cascata dell’aumento delle temperature non si manifestano solo in modo esplosivo. Le macchie color ruggine si allargano lentamente nel bosco, un albero alla volta, un giorno alla volta.

 

Vaia è il cavallo imbizzarrito, l’epidemia di bostrico quello malato da anni: abbiamo bisogno di sederci accanto a lui per studiarlo con la dovuta calma; per osservare, riflesso nei suoi occhi tristi, il presente climatico che stiamo attraversando.


Ho dunque recuperato una preziosa pubblicazione a cura dell’European Forest Institute che mi aveva portato a conoscenza della connessione tra epidemie di scolitidi e cambiamenti climatici. Mi ero imbattuto per la prima volta in quel documento spinto dalla necessità di farmi una rapida idea del bostrico e delle conseguenze di un’eventuale infestazione. Leggendo quelle notizie in modo frettoloso, ero giunto a una comprensione generica e superficiale del nostro coleottero: ingurgitavo paragrafi senza nemmeno masticare; gli occhi scorrevano rapidi tra le righe, captando parole o frasi distanti tra loro. Di conseguenza, per spingermi oltre l’epidermide, una rilettura era quanto mai necessaria.


Desideravo soprattutto comprendere come mai bostrico e cambiamenti climatici avanzano di pari passo. Passando in rassegna il documento dell’European Forest Institute, ho trovato un breve ma esauriente paragrafo a cui ho sentito l’esigenza di dare un volto schematico. Dopo aver arricchito quelle informazioni con altre, trovate su uno studio pubblicato dal The Ecological Society of America, le ho riassunte con un elenco nel quaderno degli appunti.

 

- L’aumento della temperatura può ridurre la mortalità del coleottero durante l’inverno e ne facilita lo sviluppo consentendogli, ad esempio, di completare più generazioni all’anno. Gli scolitidi sono infatti pecilotermi, quindi la durata e i tempi dei loro cicli di vita sono influenzati dai cambiamenti di temperatura: più fa caldo e più il loro sviluppo accelera. Sulle Alpi il bostrico tendeva a completare una generazione all’anno. La dinamica che ha lasciato tutti un po’ stupiti, nonché preoccupati, è che ora, anche a quote più elevate, il bostrico riesce quasi sempre a portare a termine due generazioni all’anno (in alcuni casi, anche tre), cosa che fino a poco tempo fa faceva in modo sporadico solo a quote più basse, dove l’abete rosso è stato piantato fuori dal suo areale.

 

- Con l’aumento della temperatura cresce la probabilità di eventi meteorologici estremi, di conseguenza si moltiplicano gli “inneschi” (estati molto calde e siccitose, maggiore forza dei venti).

 

- L’aumento della temperatura e il cambiamento dei regimi pluviometrici favoriscono la suscettibilità delle piante, le rendono più vulnerabili, andando a indebolire i loro sofisticati sistemi difensivi. Gli alberi solitamente si difendono dagli invasori mediante la saturazione, con resina, delle cavità scavate dal bostrico; tuttavia, se l’albero ospite è stressato, non riesce a produrre la resina necessaria a respingere i coleotteri, soprattutto quando si verificano colonizzazioni massali. Lo stress degli alberi può essere esacerbato in siti dove c’è competizione per l’acqua e per i nutrienti, come nelle foreste fitte, con alberi di grandi dimensioni, maturi o stramaturi. Inoltre, il bostrico vola attratto dalle sostanze di natura terpenica rilasciate proprio dalle piante indebolite.


Per questi e per altri motivi, proseguiva la pubblicazione, il numero di abeti rossi compromessi dagli scolitidi sta subendo un notevole incremento in tutta l’Europa temperata. A quel punto, come un faro in una notte color inchiostro, sono stato abbagliato dal ricordo di un dato particolarmente sbalorditivo nella sua drammaticità. L’avevo incontrato in un dossier dedicato al bostrico a cura della rivista Sherwood.

 

«Per il primo decennio del xxi secolo» sostenevano Luca Deganutti e Massimo Faccoli, i due autori dell’articolo, «è stato stimato un aumento dei danni da Ips typographus in Europa pari a sei volte quelli registrati nel periodo 1971-1980, e un ulteriore aumento del 764 per cento è previsto per il periodo 2021-2030».


Un’impennata così vertiginosa, spiegava l’approfondimento, potrebbe avere degli effetti devastanti anche sulla quantità di anidride carbonica rilasciata dalla biomassa forestale morta, con conseguenti ripercussioni negative sul clima. Infatti, oltre a interrompere la fotosintesi e quindi l’assorbimento del carbonio da parte dell’ecosistema boschivo, gli alberi compromessi dagli scolitidi, per effetto delle attività dei decompositori che distruggono le sostanze organiche e le trasformano in sostanze inorganiche, immettono co2 in atmosfera. In estrema sintesi, il diffuso disseccamento degli alberi converte le foreste da aree che assorbono co2 ad aree emettitrici del gas climalterante.


Leggendo quelle informazioni, avevo l’impressione di trovarmi di fronte a un cane intento a mordersi la coda. Alimentando l’effetto serra, le crescenti perturbazioni boschive causate dagli scolitidi possono contribuire all’aumento delle temperature che a sua volta, come abbiamo visto, recita un ruolo importante nella diffusione delle epidemie di scolitidi. 

 

Sono quindi tornato da Gianni, con la scusa di restituirgli dei libri che mi aveva prestato.

Ho risalito la rampa quasi verticale che accompagna al suo cancello sotto un acquazzone violentissimo. Chissà come fanno ad arrivare quassù quando nevica, ho pensato, prima di suonare il campanello.


La stube lavorava in un tiepido silenzio. Non abbiamo parlato di Vaia, né di bostrico. Non abbiamo parlato di sciagure ambientali. Ci siamo invece messi a sfogliare un grande libro fotografico dedicato ai volatili che abitano l’Altipiano. Parlare con quell’uomo grande e buono, ascoltare i mille aneddoti sulla sua terra e sul suo vissuto, mi ha in qualche modo tranquillizzato. Gianni, pur definendosi una persona estremamente pragmatica, non riesce a mascherare un affetto smisurato per i paesaggi che lo circondano. Lo si vede dagli occhi. E non potrebbe essere diversamente: prima di salutarlo, ho lanciato uno sguardo alla fotografia di suo padre appesa al muro che accompagna le scale.

Come gli occhi di Gianbattista (Gianni) Rigoni Stern, anche quelli di Mario erano ugualmente profondi, affettuosi e sinceri.

 

Questo testo è un capitolo di Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano, il primo libro targato L'AltraMontagna

 

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