Dalla pioggia in Brasile alla siccità in Vietnam, il cambiamento climatico colpisce il caffè. Illy: "La legge sulla deforestazione può causare una crisi umanitaria"
Sono diversi i problemi che attraversano il mercato del caffè. La crisi climatica potrebbe dimezzare entro il 2050 i terreni coltivati. Le piantagioni già oggi guardano alle aree più in quota. Il presidente di Illy Caffè e co-chair di Regenerative society foundation, Andrea Illy: "Serve un aiuto internazionale per aiutare i Paesi emergenti"
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il caffè è tra le colture più duramente colpite dagli effetti della crisi climatica. Piogge torrenziali in Brasile e siccità in Vietnam, mentre la Colombia è da qualche anno che accusa un calo della produzione e ha avviato un progetto nazionale di transizione verso un'agricoltura rigenerativa. I tre principali Paesi esportatori non attraversano un momento positivo. E l'Africa, un tempo centrale con le sue piantagioni, ormai da più di 25 anni fatica a riprendere la sua centralità sul mercato.
"Si è verificata la combinazione di due eventi estremi: in Brasile c'è stato El Niño con piogge particolarmente intense, mentre in Vietnam la siccità". A dirlo a L'AltraMontagna è Andrea Illy, presidente di Illy Caffè e co-chair di Regenerative society foundation. "Quest'anno la produzione è stata particolarmente bassa. C'è poi il problema legato al Canale di Suez con i tempi e i costi del trasporto che si sono notevolmente alzati. Non è un periodo particolarmente semplice per la filiera".
Il caffè è tra le bevande più consumate in tutto il mondo ma è anche una pianta delicatissima, coltivata in determinate condizioni ambientali in America Latina, Asia e Africa. Le piantagioni di caffè crescono in aree dove le temperature si mantengono tra i 18 e i 21 gradi con giornate (non troppo) calde e notti più fresche. Per una fioritura ottimale le precipitazioni non devono essere abbondanti e la stagione deve essere piuttosto secca una fioritura ottimale.
E' una coltura particolarmente a rischio in epoca di crisi climatica. La stima è che nel 2050 le zone di coltivazione del caffè potrebbero essere la metà di quelle attuali con conseguenze sulla produzione, la disponibilità e i prezzi. Dall'epidemia Covid al rialzo dei prezzi, il settore affronta ancora un periodo complesso. L'ultimo è stato un anno nero nella produzione, si contano i danni nei due principali Paesi esportatori. Una tempesta perfetta.
E in questo contesto di forte difficoltà si contesta la norma europea, approvata a Bruxelles, sulla deforestazione. In sintesi si vuole contrastare il disboscamento e il degrado forestale imputabili all'Unione europea per far spazio alle produzioni agricole. Una legge che però lascia perplesso l'imprenditore, che da sempre punta sulla sostenibilità e che guida l'unica azienda italiana tra le più etiche al mondo con l'inserimento nell'elenco World's Most Ethical Companies.
"L'obiettivo della norma è nobile e punta anche a tutelare la biodiversità", prosegue Illy. "Ci sono però dei problemi enormi nell'esecuzione di questa norma. Il caffè è stato inserito in modo automatico ma ormai sono decenni che non si deforesta più per far spazio alle piantagioni. Il nodo maggiore è che gli esportatori devono assicurare sostanzialmente la tracciabilità di ogni singolo chicco".
Si rischia, per Illy, di bloccare la filiera con un approccio di Bruxelles puramente normativo. "La produzione è gestita da piccole e micro aziende agricole che non hanno la forza e i mezzi necessari per svolgere questa funzione e che rischiano di uscire dal mercato e cadere ulteriormente nella povertà. Gli esportatori poi dovrebbero aggiornare a mano un database con ogni singolo dato. Le multe per un'eventuale mancata comunicazione arrivano fino al 4% del fatturato e ci sono 12 mesi per mettersi in regola: non c'è ancora il software e non ci sono indicazioni. Si rischia una crisi umanitaria quando per il Green deal e le forti proteste del comparto c'è stata la marcia indietro. Non si capisce perché in questo caso si dovrebbe andare avanti senza modifiche".
Il primo esportatore di caffè è il Brasile, poi Vietnam e Colombia completano il podio. A Bogotà è stato avviato un progetto nazionale di rigenerazione delle piantagioni e, per effetto dell'innalzamento delle temperature, alcuni agricoltori hanno spostato le coltivazioni più in quota come già ipotizzato nel 2014 da un team di ricercatori dell’Università Humboldt di Berlino. La crisi climatica potrebbe modificare, nuovamente, gli scenari e le dinamiche del settore con l'Africa che potrebbe tornare a recitare un ruolo da protagonista per la possibilità di coltivare nuove aree.
"Il continente è stato penalizzato dall'avvento del Vietnam 25 anni fa. Il Paese asiatico è diventato rapidamente il secondo produttore mondiale nel 2002 quando ha inondato il mercato con una sovra-produzione di caffè. Quella situazione ha mandato i prezzi ai minimi storici con ripercussioni in Asia e in America Latina mentre l'Africa è rimasta indietro e non ha mai recuperato. Oggi potrebbe recuperare terreno a patto di modificare la legge europea".
Il costante aggravarsi della crisi climatica ha spinto intanto il Centro nazionale di ricerca finlandese a sperimentare il caffè sostenibile, cioè coltivato in laboratorio, ma caratterizzato da gusto e odore confrontabili con quelli del caffè tradizionale.
"La ricerca e l'innovazione non devono essere fermati ma abbiamo scelto un'altra strada e non investiremo in questa direzione", evidenzia Illy. "Il percorso è quello del miglioramento delle pratiche agronomiche e del rinnovamento delle piantagioni. L'agricoltura rigenerativa, che è replicabile su micro e macroscala, permette di adattarsi e mitigare gli effetti della crisi climatica".
L'agricoltura rigenerativa prevede un equilibrio tra superficie, coltura e costi. "Le piantagioni devono essere rinnovate ogni 10/15 anni, soprattutto in Africa ci sono piante che risalgono all'epoca coloniale: sono più cagionevoli e meno produttive", dice Illy. "In Colombia c'è un programma nazionale per puntare l'agricoltura rigenerativa con un investimento di mezzo milione. Non mancano le conoscenze e la tecnica quanto le risorse: serve un piano di aiuti internazionali per la transizione".
Un abbattimento dei costi per rendere i Paesi produttivi più competitivi e aumentare le marginalità, oggi troppo basse. Prima del laboratorio però, "c'è una fase intermedia. Si può produrre in serra. L'obiettivo in generale deve essere mantenere la biodiversità della produzione perché ogni zona ha il suo gusto, puntare sulla qualità, alzare i prezzi, migliorare le marginalità, troppo basse, e i redditi dei Paesi esportatori", conclude Illy.