Corsi e ricorsi climatici: perché il cambiamento climatico non fa parte di un ciclo
Tutti abbiamo sentito parlare dei cicli del clima o climatici che dir si voglia. Spesso però, il concetto di ciclicità viene utilizzato a sproposito per interpretare il cambiamento climatico in atto. Il clima del passato è realmente dominato dall’alternanza di oscillazioni semi-regolari. Eppure, la condizione in cui versa oggi il sistema climatico non è spiegabile alla luce della ciclicità naturale
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
La scoperta delle glaciazioni
Per secoli gli abitanti della regione alpina e pedemontana avevano notato curiosi e giganteschi massi sparsi qua e là. Ai più attenti osservatori non era sfuggito che talvolta la loro composizione non aveva nulla a che fare con la geologia dei luoghi dove essi venivano rinvenuti. Un bel masso erratico lo si può ammirare nella fotografia qui sotto. La cosiddetta roccia delle Marmotte è un frammento di granito del Monte Bianco, ma si trova a decine di chilometri dal massiccio. Chi lo ha portato fin lì? La questione degli erranti inizialmente non attirò molta attenzione, perché in realtà non era difficile spiegare simili stranezze. Il diluvio universale, l’epocale alluvione descritta nell’Antico Testamento e presente nella mitologia di tante culture, spiegava perfettamente l’esistenza dei massi anomali.
Le catastrofiche piene che secondo la tradizione avevano dato il via al diluvio universale, avrebbero potuto facilmente distribuire massi di grandi dimensioni anche molto lontano dal loro luogo di origine. Tutto sembrava tornare e nessuno si preoccupò troppo degli erranti o erratici. Così venivano, e tuttora vengono chiamati, i massi la cui origine geologica è diversa da quella del contesto in cui si trovano.
Nuovi dubbi emersero tra la fine del diciottesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo. Il faro dell’illuminismo cominciò proprio allora a scandagliare gli anfratti del sapere dove rimanevano dense ombre a limitare la comprensione dei fenomeni naturali. Gli erratici e il diluvio universale furono tra questi. Il sopravvento del metodo scientifico, accompagnato da una migliore conoscenza della geologia, rese evidente l'improbabilità che i massi erratici fossero realmente stati trasportati dal diluvio universale.
È difficile stabilire chi per primo propose la teoria alternativa, poi riconosciuta come valida, sull’origine dei massi erratici. Variegati personaggi la formularono più volte in luoghi diversi e in modo indipendente: cacciatori di camosci, esploratori, ingegneri, naturalisti. Questi profondi conoscitori degli ambienti alpini avevano notato che talvolta, nei dintorni dei massi erratici, si rinvenivano segni simili a quelli inferti sul paesaggio dai ghiacciai. In quei luoghi però, di ghiacciai non c’era traccia. Massi trasportati per decine di chilometri, striature delle rocce, strutture simili a morene. Solo ipotizzando che in un lontano passato i ghiacciai fossero molto più estesi di quanto non lo fossero allora, diventava possibile dare un senso a tali osservazioni. Fu così che si iniziò a mormorare di una grande glaciazione che in passato aveva riempito le valli fino a raggiungere le pianure che circondano l’arco alpino.
La nuova teoria spiegava il mistero dei massi erratici. Gli erranti erano stati trasportati dal flusso dei ghiacciai, attraversando intere vallate e talvolta raggiungendo la regione pedemontana.
Inizialmente le personalità più in vista della geologia non riconobbero la validità di questa ipotesi. All’epoca una delle teorie più in voga era l’uniformitarismo, che descriveva l’evoluzione della Terra come lenta e graduale. Riuscire a conciliare tale visione con un episodio improvviso di espansione glaciale non era semplice.
Chi riuscì per primo a dare consistenza scientifica alla teoria sulla grande glaciazione fu il naturalista svizzero Louis Agassiz (1807-1873). Egli portò numerose e solide evidenze a supporto di un’imponente glaciazione che avrebbe coinvolto i territori alpini in tempi remoti. Nel 1837 presentò pubblicamente le sue ricerche, dando il via a un vivace dibattito. Secondo Agassiz la glaciazione non aveva coinvolto solamente le Alpi, egli trovò le tracce di antichi ghiacciai anche in Scozia e Nord America, dove non vi era alcuna traccia di ghiacciai, oggi così come ai tempi del naturalista elvetico. Per giustificare le sue scoperte su quelle montagne, Agassiz immaginò che la Terra avesse a un certo punto attraversato un periodo freddo, favorevole allo sviluppo di enormi ghiacciai in grado di inglobare intere catene montuose.
Stava nascendo la consapevolezza che il clima non è qualcosa di statico, ma è anzi estremamente dinamico. In questo suo dinamismo, esso ha avuto un ruolo fondamentale nello scolpire la superficie della Terra. Lo stesso Agassiz definì i ghiacciai "gli aratri di Dio", a sottolineare la capacità dei ghiacciai di modellare la superficie della Terra attraverso avanzate e ritiri.
Mettere insieme i pezzi del puzzle
Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, man mano che la neonata glaciologia progrediva grazie allo studio dei ghiacciai esistenti, i geologi continuavano a osservare le tracce lasciate dagli antichi ghiacciai descritti inizialmente da Agassiz. Le scoperte si accumulavano di anno in anno. L’entusiasmo era grande, ma nessuno riusciva a mettere ordine tra tutti quei dati. La teoria della grande glaciazione invece che diventare più robusta, sembrava sempre più confusa e caotica. Ci pensarono due geologi tedeschi a mettere finalmente ordine: Albrecht Penck (1858-1945) ed Eduard Brückner (1862-1927). Nel 1909 pubblicarono un poderoso trattato che raccoglieva tutto ciò che era stato scoperto a riguardo degli antichi ghiacciai delle Alpi. Il titolo dell’opera fu “Die Alpen im Eiszeitalter”, ovvero “Le Alpi durante l’epoca glaciale”.
Il risultato più importante che ottennero fu l’individuazione di quattro distinte epoche glaciali. I ghiacciai sulle Alpi non erano avanzati verso le pianure una volta soltanto. L’espansione dei ghiacciai era avvenuta almeno quattro volte, intervallata da periodi climaticamente più caldi. Dalla più antica alla più recente, le quattro glaciazioni identificate furono chiamate Gunz, Mindel, Riss e Würm, utilizzando i nomi delle valli lungo le quali trovarono per prime le loro rispettive tracce. Queste nuove evidenze favorirono nuovi studi e ricerche, volti a identificare le cause delle oscillazioni del clima. Periodi freddi durante i quali i ghiacciai avanzano coprendo una parte significativa dei continenti, sono seguiti da periodi contraddistinti da un clima più mite, durante i quali i ghiacciai si ritirano fino a occupare solo le regioni sommitali dei massicci più rilevati. Rimaneva da capire quale fosse il motore responsabile di tali oscillazioni climatiche.
La teoria astronomica del clima: i cicli di Milanković
Già sul finire del diciannovesimo secolo qualcuno aveva timidamente proposto che le oscillazioni del clima necessarie a spiegare le glaciazioni, fossero in qualche modo legate ai fenomeni astronomici. Lo studioso che però riuscì per primo a indagare in modo rigoroso la questione, fu il matematico e climatologo serbo Milutin Milanković (1879-1958), il quale analizzò in modo approfondito il movimento della Terra rispetto al sole, identificando tre oscillazioni capaci di influenzare il clima della Terra:
- quella dell'eccentricità dell’orbita della Terra intorno al sole, con un periodo di 100000 anni
- quella dell’inclinazione dell’asse di rotazione, con un periodo di 41000 anni
- la direzione verso cui l’asse di rotazione è puntato rispetto alle stelle fisse (precessione), con un periodo di 25700 anni
Queste periodicità non modificano la quantità totale di energia solare in arrivo sul pianeta, ma influenzano la sua distribuzione nel tempo e nello spazio. In altre parole, la variazione di questi parametri orbitali modifica la stagionalità del clima, rendendola periodicamente più o meno estrema. Oggi sappiamo che l’innesco di un’epoca glaciale è legato soprattutto alla quantità di radiazione solare in arrivo alle alte latitudini dell’emisfero settentrionale durante la stagione estiva. Quando l’insolazione estiva della regione artica scende sotto a una certa soglia, i ghiacciai polari settentrionali iniziano a svilupparsi, avviluppando la Groenlandia, l’arcipelago artico canadese, il nord America e ampie porzioni dell’oceano artico. Contemporaneamente anche i ghiacciai disseminati sulle catene montuose dell'emisfero boreale avanzano con decisione perché la fusione estiva si riduce, aumentando l’accumulo della neve invernale anno dopo anno. Superata una certa soglia, il clima della Terra subisce un ulteriore raffreddamento a causa dei tanti ghiacciai che riflettono l’energia solare verso l’esterno del pianeta. La glaciazione può così propagarsi anche ad altre regioni del pianeta e infine all’emisfero australe.
Il climatologo serbo sviluppò questi studi negli anni 1920, ma le sue idee impiegarono decenni per essere accettate. Il problema era che alla sua epoca datare i fenomeni geologici in modo assoluto era difficile e nessuno riusciva ad assegnare un’età precisa alle famose glaciazioni descritte da Penck e Brückner. Tutto cambiò negli anni 1970, quando nuove tecniche e strumenti di calcolo permisero di individuare le principali periodicità insite nel sistema climatico e le tracce lasciate da esse sul paesaggio. Le evidenze combaciavano perfettamente con i risultati ottenuti da Milanković. Oggi sappiamo ad esempio che l'ultima glaciazione, definita da Penck e Brückner -quella definita Würm- terminò 12,000 anni fa, raggiungendo il suo picco più freddo 20,000 anni fa. La glaciazione Riss risale invece a circa 150,000 anni fa, mentre quella chiamata Mindel a 270,000 anni fa. Più complicata la datazione della glaciazione Gunz, che è oggi ritenuta un insieme di diverse glaciazioni avvenute in alcune centinaia di migliaia di anni. Lo studio della paleoclimatologia ha infatti chiarito che le glaciazioni non sono state solamente quattro, ma molte di più. Fu grazie a questi studi che nacque il concetto di ciclicità del sistema climatico di cui si sente spesso parlare. I cicli del clima prodotti dalle oscillazioni astronomiche prendono il nome di cicli di Milanković. La storia del clima è una sinfonia che segue metriche ben precise, scandite dai parametri orbitali che descrivono i movimenti reciproci tra il sole, la Terra e gli altri pianeti del sistema solare. Per concludere questa breve immersione nella storia della climatologia, è però doveroso fare un’ultima precisazione.
Il cambiamento climatico non fa parte di un ciclo
Uno degli argomenti che con maggior frequenza viene portato a supporto delle teorie che non riconoscono il ruolo antropogenico nell’attuale cambiamento climatico, è proprio la ciclicità del clima. Secondo gli scettici, il cambiamento climatico non sarebbe altro che l’espressione delle oscillazioni descritte da Milanković. Stando alla loro visione, il clima sta cambiando perché è suo mestiere farlo. C'è un fondamento in questa affermazione? Sì, ma c’è anche qualcosa di profondamente sbagliato.
Il fatto che il sistema climatico sia qualcosa di dinamico è assodato e supportato da un'infinità di evidenze, a partire da quei famosi massi erratici da cui tutto è cominciato. Grazie agli studi paleoclimatici, sappiamo che negli ultimi 800.000 anni la Terra è stata coinvolta da 8 glaciazioni, intervallate da periodi interglaciali come quello attuale. Il ritmo di tale alternanza è stato piuttosto regolare e ha seguito un periodo di circa 100.000 anni per ciascun ciclo. Tra periodi glaciali e non glaciali la temperatura media planetaria è variata all’incirca di 10°C. Facendo una media un poco rozza, ma sicuramente efficace, possiamo dedurre che i cicli climatici nelle ultime centinaia di migliaia di anni hanno prodotto variazioni di temperatura dell’ordine di 1°C ogni 10.000 anni. Si tratta sicuramente di una semplificazione, ma ai fini di questa chiacchierata possiamo prenderla per buona. Questo dato ci permette infatti di comprendere l’anomalia di quanto sta accadendo oggi. Il cambiamento climatico attuale ha visto la temperatura della Terra aumentare di oltre 1°C in pochi decenni, una variazione decine di volte più veloce rispetto a quella indotta dai famigerati cicli climatici naturali.
Chi sostiene che il cambiamento climatico fa parte dei cicli naturali del sistema climatico, tralascia questa seconda parte del discorso. Che lo faccia per scarsa consapevolezza o con cognizione di causa poco importa, sempre di un errore si tratta.