Come saranno i “boschi di Vaia” tra vent’anni? Una risposta osservando le foreste svizzere colpite, esattamente 25 anni fa, dalla tempesta Lothar
Il 26 dicembre di 25 anni fa la tempesta Lothar scaraventò a terra milioni di alberi in Svizzera, in particolare sull’Altopiano centrale. Com’è il bosco ora? Conoscerlo attraverso la testimonianza dei ricercatori del Wsl ci aiuta ad immaginare il futuro delle nostre foreste colpite da Vaia e dall’epidemia di bostrico
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Come saranno le aree colpite dalla tempesta Vaia tra vent’anni? Difficile prevederlo, soprattutto nell’attuale scenario di cambiamento climatico. C’è però chi, non lontano da noi, ha vissuto qualcosa di simile ormai 25 anni fa e oggi può raccontarci come sono cambiati i boschi a seguito della distruzione causata da una grande tempesta di vento.
La tempesta Lothar ha scaricato la sua enorme potenza sull’Europa Centrale e sulle Alpi occidentali il giorno di Santo Stefano del 1999. Il vento ha raggiunto, in alcune località, i 250 km/h. Numerosi schianti da vento hanno interessato i boschi della Foresta nera, in Germania, i boschi francesi, ma anche le foreste della Svizzera. In questo solo Paese sono caduti a terra, in un solo giorno, 14 milioni di metri cubi di legno, ben più dei circa 10 milioni atterrati dalla tempesta Vaia.
La maggior parte dei danni si è verificata sull'Altopiano centrale. La tempesta Lothar ha imperversato soprattutto nelle foreste di abete rosso utilizzate principalmente per la produzione di legname, ma anche nei boschi di protezione diretta da frane e valanghe, che hanno subito danni pesanti. Negli anni successivi, soprattutto dopo la stagione calda e secca del 2003, la propagazione del bostrico e di altri coleotteri ha colpito altri 10 milioni di metri cubi, aumentando il danno di due terzi rispetto a quello degli schianti da vento.
Dinamiche identiche in boschi molto simili a quelli del nord-est colpiti da Vaia nel 2018 e poi dal bostrico negli anni seguenti. Per questo è interessante conoscere quanto pubblicato di recente dai ricercatori del Wsl - L'Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio, che hanno raccolto in un articolo le loro riflessioni a 25 anni dalla tempesta.
Alcune prime e interessanti considerazioni riguardano l’osservazione della rinascita di un bosco diverso dal passato, più naturale e resiliente.
“In molte grandi aree colpite dal vento sono ricresciuti alberi alti in media dai 10 ai 20 metri”, si legge nell’articolo. “Nell'Altopiano, però, a seconda delle caratteristiche del suolo e della vegetazione iniziale, ci sono anche aree in cui i rovi o la felce aquilina hanno rallentato a lungo la crescita dei giovani alberi, o in cui non prosperano le specie arboree desiderate, ma ad esempio il nocciolo. Dove la tempesta aveva abbattuto molti abeti rossi, per lo più piantati a quote più basse, si sono sviluppate naturalmente foreste miste di latifoglie ricche di specie.
“Grazie a Lothar”, scrivono i ricercatori (ribaltando la visione comune dei disturbi naturali come negativi a prescindere), “molte foreste si sono arricchite nella struttura, creando nuovi habitat per molte specie animali e vegetali. La diversità degli insetti è praticamente esplosa dopo la tempesta, come dimostra un nostro studio durato 20 anni. Il numero di specie rare nelle aree sottoposte a tempesta è risultato superiore di un terzo rispetto alle foreste non danneggiate”.
“L'abete rosso non è originario dell'Altopiano centrale, è stato piantato in passato modo estensivo per la produzione di legname”, continuano i ricercatori. “Questa specie non è solo suscettibile alle tempeste invernali e al bostrico, ma soffre anche il caldo e la siccità. Oggi sta diventando molto più raro, come dimostra l'Inventario Forestale Nazionale (IFN) realizzato dal WSL. Al contrario, molte specie arboree decidue considerate più resistenti al clima, come le querce, il ciliegio, l'acero di monte e l'acero riccio, sono ricresciute naturalmente nelle zone colpite dalle tempeste”.
Una seconda, importante considerazione riguarda i lavori di ripristino delle aree colpite.
“Come hanno dimostrato diversi studi, una tempesta è un'opportunità per la biodiversità, ad esempio per gli insetti”, spiegano i ricercatori del Wsl, “per preservarla e promuoverla, solo una parte dell'area dovrebbe essere ripulita dal legname danneggiato. Un mosaico di aree sgomberate e non sgomberate dalla tempesta e di foreste intatte è lo scenario migliore dal punto di vista della biodiversità. Il legno morto, in particolare, è un habitat prezioso che è diventato più comune a causa dell'aumento degli eventi estremi negli ultimi anni (tempeste, siccità, bostrico)”.
Un terzo tema cruciale è il ruolo svolto, nelle foreste di protezione diretta dalla caduta di massi o valanghe, dal legno atterrato dal vento.
Secondo Peter Bebi, ricercatore esperto di boschi di protezione: “I tronchi e le zolle radicali lasciate sui versanti hanno contribuito alla protezione contro le valanghe e la caduta di massi per un tempo sorprendentemente lungo. La protezione contro i rischi naturali i danni di Lothar è stata così meno grave del previsto”. Prima di questa esperienza, si spiega nell’articolo, quasi nessuno avrebbe pensato di non ripulire i boschi di protezione dopo le tempeste. Oggi, al contrario, i servizi forestali sono più consapevoli e possono valutare quando è opportuno lasciare a terra tutto il legname danneggiato, quando sgomberarlo solo parzialmente e quando combinarlo con la piantagione di alberi e altre misure di protezione.
Insomma, 25 anni dopo Lothar i boschi dell’Altopiano centrale si mostrano oggi non solo più naturali e maggiormente ricchi di biodiversità, ma anche più resistenti e resilienti nel contesto del cambiamento climatico. Grazie al meticoloso e continuo lavoro dei ricercatori del Wsl svolto in tutti questi anni, oggi i gestori forestali svizzeri hanno strumenti di conoscenza preziosi per applicare una selvicoltura più vicina alle dinamiche naturali, capace di trovare un equilibrio tra le necessità produttive e quelle di conservazione della biodiversità. Con la tempesta, insomma, non è arrivata solo distruzione, ma anche preziose lezioni per la gestione forestale del futuro.
Non gestire meno, ma gestire più e meglio sarà la chiave per vincere le sfide forestali dei prossimi decenni, come indicato anche in un passaggio di Sottocorteccia, il primo libro targato L’AltraMontagna che ha indagato l’epidemia di bostrico dopo la tempesta Vaia in Italia: “Per creare boschi più naturaliformi in un territorio come il nostro, antropizzato da millenni, serve molta più presenza attiva degli esseri umani, serve più gestione. Occorrono interventi selvicolturali di bassa intensità, ma molto frequenti nel tempo. Quindi servono strade, servono tecnici ben preparati, servono imprese, servono filiere del legno, servono politiche mirate di finanziamento e aiuto a proprietari e gestori, insomma… serve vita in montagna! Tutto il contrario dell’abbandono”.