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Ambiente

Centinaia di cannoni sparano contemporaneamente sulle piste (VIDEO). Cosa sono i "giorni-neve"? Perché sono preziosi per l'industria sciistica?

Nonostante in cielo splenda il sole, sono arrivati i cosiddetti “giorni-neve”. La neve artificiale è un porto sicuro ma, considerata la riduzione e la discontinuità provocate dall'emergenza climatica, sta diventando un porto dal quale tante stazioni sciistiche rischiano di non uscire più

di
Pietro Lacasella
15 novembre | 11:45
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Un vero e proprio arsenale. Predisposti sui pendii con le bocche rivolte verso il cielo, nelle ultime settimane centinaia di cannoni erano in attesa del segnale per iniziare a trasformare l’acqua in neve. Ma il segnale, in questo autunno particolarmente tiepido, sembrava non arrivare mai.

Ora (finalmente) le temperature hanno deciso di adeguarsi alla stagione e, nonostante il cielo sia privo di nuvole, sono arrivati i cosiddetti “giorni-neve”, ovvero quelle giornate perfette per l’innevamento artificiale delle piste da sci.

 

Scrive Marco Albino Ferrari in Assalto alle Alpi: “Le giornate in cui la temperatura rimane costantemente sotto i -2C° vengono chiamate in gergo ‘giorni-neve’ e nei fondivalle se ne contano circa dieci a inverno. In quel tempo ristretto va prodotta la maggior quantità di neve possibile. Per questo occorre accumulare grandi scorte d’acqua per averle subito a disposizione. Il freddo va colto al volo. E non bastano più i vecchi bacini né i vecchi (piccoli) tubi di pompaggio”.

 

Così le piste si annunciano con alti ciuffi bianchi. Non scendono dal cielo, sembrano piuttosto formarsi nelle viscere della terra, come geyser ghiacciati.
Avvicinandosi, compaiono le prime lance e i primi cannoni. Sfruttano il freddo per ammonticchiare cumuli di neve artificiale sulle piste, mentre in alto splende il sole.

 

Il rapporto di dipendenza tra industria sciistica e neve artificiale è ormai evidente a tutti gli appassionati di sport invernali. Come riportato dal recente numero dedicato alle Alpi della rivista The Passenger, nella stagione 2021-2022 il 90% delle piste che si snodano sulle Alpi italiane (dove possiamo vantare 4991 chilometri di piste) è stato innevato artificialmente. 

 

In Austria, dove i chilometri di piste sono 7207, il 70%; 

in Svizzera, dove i chilometri sono 6801, il 54%;

in Francia, dove i chilometri sono 8493, il 39%;

in Germania, dove i chilometri sono 615, il 25%.

 

La neve artificiale è quindi un porto sicuro in cui rifugiarsi in caso di assenza di precipitazioni nevose ma, considerata la riduzione e la discontinuità provocate dall'emergenza climatica, sta diventando un porto dal quale tante stazioni sciistiche rischiano di non uscire più. 

 

 

 

 

 

 

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Ciononostante non bisogna dimenticare la voracità di questa pratica, affamata sia di acqua (per innevare artificialmente un ettaro di pista - si legge sempre in The Passenger - con uno strato di 30 centimetri sono necessari 1000 metri cubi di acqua, quasi la metá di una piscina olimpionica), che di energia (sempre per un ettaro di pista con uno strato di 30 centimetri servono 2000-7000 chilowattora, pari al fabbisogno energetico annuo di una famiglia italiana di quattro persone).

 

È quindi un circolo vizioso: per sopperire alle trasformazioni provocate dai cambiamenti climatici continuiamo ad avvalerci degli stessi mezzi che i cambiamenti climatici li stanno provocando.

 

Sarebbe tuttavia scorretto condannare lo sci senza prima fare una riflessione di carattere sociale: questa pratica è infatti riuscita a garantire maggiori benefici e maggiori sicurezze a molte località montane. Rappresenta tutt'oggi la locomotiva economica invernale delle Alpi e intere valli vengono da essa trainate. Se, in questa fase di transizione, l'industria sciistica può ancora avere una funzione attiva per la trama socio-economica dei territori che beneficiano degli impianti esistenti, allo stesso tempo risultano difficili da giustificare gli interventi (spesso supportati da fondi pubblici) indirizzati ad ampliarla: significa alimentare una dipendenza economica con un settore estremamente sensibile all'aumento delle temperature.

 

Nel 2023, si legge nel report Nevediversa2024 di Legambiente, il ministero del Turismo ha destinato 148 milioni di euro alle società proprietarie degli impianti di risalita per ampliamenti, ammodernamento, innevamento artificiale, a fronte di 4 milioni destinati all'ecoturismo.

Uno squilibrio notevole su cui bisognerebbe iniziare a riflettere per immaginare un turismo invernale più aderente agli scenari climatici che si stanno delineando.

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