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Ambiente

Al suo interno c'è una grotta per i turisti, accorciata di anno in anno dal caldo estivo. Un racconto fotografico del Ghiacciaio del Rodano

Il ghiacciaio del Rodano sta vivendo una trasformazione drammatica e irreversibile. La sua agonia è monitorata e documentata da più di dieci anni da Alessandra Meniconzi, una fotografa svizzera cresciuta a stretto contatto con queste montagne. Attraverso le sue immagini, Meniconzi non si limita a immortalare la bellezza fragile del ghiaccio, ma mira a denunciare lo stato attuale del gigante bianco e a stimolare delle azioni volte alla sua protezione

di
Sofia Farina
10 dicembre | 18:30
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Il ghiacciaio del Rodano sta vivendo una trasformazione drammatica e irreversibile. La sua agonia, riflesso dei cambiamenti climatici in corso, è monitorata e documentata da più di dieci anni da Alessandra Meniconzi, una fotografa svizzera cresciuta a stretto contatto con queste montagne. Attraverso le sue immagini, Meniconzi non si limita a immortalare la bellezza fragile del ghiaccio, ma mira a denunciare lo stato attuale del gigante bianco e a stimolare delle azioni volte alla sua protezione. 

 

Il ghiacciaio del Rodano è uno dei più noti e visitati ghiacciai delle Alpi svizzere, situato nel cantone del Vallese, nella parte sud-occidentale della Svizzera. Si trova ai piedi del massiccio del Dammastock, vicino al passo della Furka, ed è la sorgente del fiume Rodano, che scorre attraverso la Svizzera e la Francia fino a sfociare nel Mar Mediterraneo. 


Fotografia: © Alessandra Meniconzi (www.alessandrameniconzi.com)

Attorno agli anni '70, la lingua del ghiacciaio arrivava all’altezza del Belvedere, e fino al 2007 copriva intrramente il lago. Facendo un passo indietro, e andando a studiare documenti storici, scopriamo anche che nel XIX secolo e fino all'inizio del XX secolo, il ghiacciaio si estendeva nella regione delle sorgenti del Rodano fino al fondovalle prima di Gletsch, spingendosi talvolta fino alle porte del Grand Hotel Glacier du Rhône.

 

Oggi, la realtà è ben diversa: la lingua glaciale si ritrae rapidamente, lasciando dietro di sé un paesaggio spoglio e frammentato. I dati sono impietosi: il ghiacciaio fonde a un ritmo accelerato, si stima che la sua lunghezza sia arrivata a circa 7 chilometri e che la sua superficie attuale sia pari a 16 chilometri quadrati, con gravi ripercussioni sull'intero ecosistema.

 

La riduzione della massa glaciale sta già avendo delle conseguenze a valle, e in particolare sul fiume Rodano, importante fonte per l’approvvigionamento idrico di agricoltura e comunità, non solo in Svizzera, ma anche in Francia. Le proiezioni indicano che entro il 2055 la disponibilità d'acqua estiva potrebbe ridursi drasticamente, portando con sé conflitti e difficoltà nella gestione delle risorse idriche.

 

Il ghiacciaio del Rodano, la cui fronte è facilmente raggiungibile con una breve camminata dalla strada del Passo della Furka, e quindi tramite mezzi privati o pubblici, negli anni, si è affermato come meta per un turismo decisamente non alpinistico. Infatti, previo pagamento di un economico biglietto di ingresso, si può percorrere un semplice e breve sentiero informativo, che si snoda sulla roccia, che porta all’ingresso di una grotta scavata nel ghiaccio. Questa viene ricostruita ogni anno dal 1870, è lunga circa 100 metri e al suo interno c’è una passerella in legno su cui poter camminare.

 

Tuttavia, questa tradizione diventa sempre più complessa da mantenere: la grotta è oggi una fragile testimonianza del suo passato, accorciata di anno in anno e minacciata dal caldo estivo. Anche i teli di geotessile, stesi da centri di ricerca e università svizzere per rallentare la fusione, sono solo un palliativo temporaneo, un tentativo disperato di preservare l’impossibile.


Fotografia: © Alessandra Meniconzi (www.alessandrameniconzi.com)

Per Meniconzi, ogni visita al ghiacciaio è un ritorno a un luogo dell’anima, ma anche un confronto doloroso con la realtà: "Quello che un tempo era un paesaggio di bellezza eterna, oggi è il simbolo della fragilità e della vulnerabilità del nostro pianeta" afferma la fotografa.

 

Nata e cresciuta a Lugano, Alessandra Meniconzi ha sempre coltivato una connessione profonda con l’ambiente montano: dopo aver lasciato una carriera nel design grafico per seguire la passione per la fotografia, ha documentato le culture indigene e i paesaggi remoti, spesso minacciati dai cambiamenti climatici e dallo sviluppo umano.


Fotografia: © Alessandra Meniconzi (www.alessandrameniconzi.com)

Il suo lavoro spazia dai deserti asiatici alle terre ghiacciate dell’Artico, ma il ghiacciaio del Rodano rappresenta una ferita personale e un richiamo alla sua infanzia tra le Alpi. "Tornare qui ogni anno è diventata una missione: catturare ciò che stiamo perdendo e creare una testimonianza visiva che possa smuovere le coscienze" spiega.

 

Le fotografie di Meniconzi non sono solo opere artistiche, ma anche strumenti di sensibilizzazione, che mirano a stimolare un senso di urgenza, raccontandoci di un ecosistema che sta scomparendo sotto i nostri occhi, ma anche della possibilità di agire per salvare ciò che resta.


Fotografia: © Alessandra Meniconzi (www.alessandrameniconzi.com)

"Documentare il ritiro dei ghiacciai è il mio modo di preservarne la memoria, ma anche di lanciare un appello: dobbiamo cambiare il nostro rapporto con il pianeta, prima che sia troppo tardi" conclude la fotografa.

 

Ogni metro di ghiaccio che scompare è una perdita per le generazioni future: le immagini di Meniconzi catturano questa trasformazione, rendendo il paesaggio in crisi, un monito potente per il futuro.

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