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Alpinismo

Tra i perseguitati del regime fascista che aiutò a espatriare spicca il nome del presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Ettore castiglioni si distinse come alpinista ma, soprattutto, come uomo

Il 12 marzo 1944 muore assiderato oltre Passo del Forno, mentre fuggiva dalla Svizzera

di
Pietro Lacasella
12 marzo | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Non furono pochi gli scalatori che durante la Seconda Guerra mondiale salirono in montagna senza velleità alpinistiche, ma per fuggire dalla morsa troppo rigida della società, la cui stretta era decisamente aumentata durante il Ventennio fascista. Tra essi è doveroso ricordare Ettore Castiglioni, il cui carattere lo spinse a battersi per un mondo più tollerante.

 

Castiglioni nacque in Trentino, nel 1908, e l’ombra dei rilievi lo accompagnerà per tutta la vita. Le montagne non dovettero sforzarsi molto per sedurlo. Così, ancora giovane, crebbe in lui il desiderio di assaporare l’epidermide fragile e rugosa delle Alpi. Aveva un formidabile intuito nel rintracciare il percorso più raffinato tra le pareti più scabrose. Un notevole fiuto lo dimostrò anche nella scelta dei compagni di cordata. Si legò ad esempio al grande Bruno Detassis, con cui salì, nel 1934, lo spigolo sud-est del Sass Maòr; oppure a Vitale Bramani, sulla nord-ovest del Pizzo Badile. In seguito a quell’ascesa Bramani depositò il brevetto di quello che sarebbe poi diventato il famoso marchio di suole Vibram (dalle iniziali di VItale BRAMani).

 

Il pensiero aperto e libero di Castiglioni non poteva certo conciliarsi con l’impostazione severa del regime fascista. Così, nel 1943, lo scalatore trentino decise di mettere a disposizione la sua familiarità con l’ambiente alpino per aiutare il prossimo. D’altronde l’alpinismo ha sempre assorbito i caratteri della società, confermandoli oppure rinnegandoli con fermezza. In questo caso, Castiglioni decise di sfruttare le sue conoscenze per aiutare i perseguitati dai fascisti a sfuggire in Svizzera. Diventò in breve la guida alpina di ebrei e di oppositori politici. Fra i suoi “clienti” (a cui ovviamente il servizio veniva offerto a titolo di favore) spicca il nome del futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Erano viaggi difficili, che richiedevano ore e ore di cammino e di sfibranti tensioni. Tuttavia lo sforzo e la paura venivano largamente ripagati dalla certezza di aver salvato delle vite, dalla convinzione di stare dalla parte giusta.

 

Nel 1944, venne arrestato dagli Svizzeri. Valicò il confine da solo ed è tutt’oggi sconosciuto lo scopo di quel viaggio. Per ragioni pratiche, prima di metterlo in carcere, gli svizzeri gli sequestrarono l’attrezzatura da montagna e lo rinchiusero nella stanza di un albergo. Era marzo e le montagne che lo separavano dall’Italia erano ancora sferzate dalle intemperie invernali. Ciononostante Castiglioni decise di fuggire, servendosi delle lenzuola per calarsi dalla finestra: ramponati calzari di fortuna e intabarratosi con una coperta, sgattaiolò rapido verso l’alto fino a quando le temperature lo costrinsero ad accettare un inesorabile destino. Morì assiderato oltre Passo del Forno. 

 

Mi piace immaginare che, prima di chiudere gli occhi per sempre, sia riuscito a godere di un ultimo tramonto tra le sue amate Alpi, sulle cui vette imparò a distinguersi come alpinista ma, soprattutto, come uomo.

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