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Alpinismo

Tre anni senza Cala Cimenti: l’alpinista che ha saputo oliare gli ingranaggi di un'attività che a volte si prende troppo sul serio

Tre anni fa, a causa di una valanga, ci lasciava l’alpinista torinese Carlalberto "Cala" Cimenti. Lo ricordiamo con una breve recensione del suo libro "Sdraiato in cima al mondo"

di
Pietro Lacasella
08 febbraio | 11:02
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Il libro "Sdraiato in cima al mondo" si apre in Pakistan. Dopo aver scalato e sciato il Nanga Parbat (8126 m.), l'alpinista torinese Carlalberto "Cala" Cimenti decide di affrontare l'inviolato Gasherbrum VII (6.955 m) con l'amico Francesco Cassardo. La salita, per nulla scontata, procede senza contrattempi. Ma, sulla strada del ritorno, un urlo strozzato rompe il silenzio: Francesco, nel tentativo di sganciare gli sci, perde l'equilibrio precipitando per oltre 600 metri.

 

Riesce miracolosamente a scampare alla morte, tuttavia le operazioni di salvataggio, ostacolate dall'apparato burocratico pachistano, richiedono a Cala e alla moglie Erika (che, dall'Italia, le sta coordinando) una commovente dimostrazione di amicizia e di amore.

 

Il libro si sviluppa senza inciampare nella retorica eccessivamente eroica che da sempre accompagna le avventure in montagna. Lo spirito genuino e ironico di Cala, infatti, ci ricorda che alla fine l'alpinismo è soltanto un retaggio infantile, un gioco. Finché si continuerà a giocare con l'immaginazione e l'entusiasmo di un bambino e fino a quando i sogni illumineranno il futuro, ci sarà la possibilità di svincolarsi dagli schemi e di conservare un briciolo di libertà.

 

In estrema sintesi questa è la trama del libro "Sdraiato in cima al Mondo". Cimenti ci ha lasciati l'8 febbraio 2021, tre anni fa, tradito da una valanga. Questa recensione, sebbene molto breve, speriamo serva a mantenere vivo il ricordo di un alpinista che è riuscito a portare un po' di leggerezza al movimento alpinistico; che ha saputo oliare gli ingranaggi di un'attività che a volte si prende troppo sul serio.

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