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Alpinismo

Dieci anni fa ci lasciava lo scalatore Marco Anghileri: sapeva trovare l’avventura sulle montagne di casa, spesso spostandosi a piedi o in bicicletta

Dieci anni fa la scomparsa delle scalatore lecchese che giocava con le sue montagne. «Stare sulle montagne di casa e vivere queste esperienze è la cosa che più amo - raccontava Marco -. Sono innamorato delle mie montagne e ancora di più di quelle vie che ancora oggi regalano grandi emozioni. Sono qui a portata di mano e ti permettono di vivere giornate intere in quel mondo»

di
Federico Magni
24 febbraio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

«Soprattutto sono curioso. Quelle vie erano diventate una leggenda e io volevo salire e andare a vedere. Toccare con mano le prese e i passaggi con i quali si erano confrontati i primi salitori e spesso l’ho fatto da solo». Marco Anghileri, più conosciuto come Butch, era un personaggio insolito nell’ambiente dell’alpinismo lecchese. Grande talento, una testa formidabile, quasi mai sotto i riflettori, se non per il valore di alcune sue salite: una su tutte, la prima solitaria invernale della “Solleder” sulla Civetta. Volò via il 14 marzo del 2014 mentre stava scalando gli ultimissimi tiri della “Chandelle”, da solo in inverno sulla “Jori Bardill” al Pilone Centrale del Freney al Monte Bianco. Aveva 41 anni e aveva appena inviato un messaggio agli amici e al padre Aldino che lo aspettava: «Sono nel posto più bello del mondo». Sono passati dieci anni da quel giorno, ma il ricordo di quel ragazzo che sapeva trovare l’avventura sulle montagne di casa, spesso spostandosi a piedi o in bicicletta, concatenando vie su roccia e canali in inverno, non è mai sbiadito ai piedi del Resegone.

 

«Stare sulle montagne di casa e vivere queste esperienze è la cosa che più amo - raccontava Marco di quelle esperienze -. Sono innamorato delle mie montagne e ancora di più di quelle vie che ancora oggi regalano grandi emozioni. Sono qui a portata di mano e ti permettono di vivere giornate intere in quel mondo». Erano nati così i grandi concatenamenti. Qualche tempo dopo la scomparsa di Riccardo Cassin, Anghileri, accompagnato da due giovani leve, aveva ripetuto in ventiquattro ore, una dopo l’altra, le sei vie firmate dal pioniere dell’alpinismo, partendo dal Medale di notte e terminando la lunga e massacrante corsa attorno alle Grigne con l’uscita al Pizzo d’Eghen ancora in piena notte. Oppure la ripetizione sempre in una giornata delle tre vie del Det Alippi, il visionario che aprì linee ardite (Forcellino, Costanza, Sasso Cavallo), con Fabio Valseschini. Solo qualche mese dopo, grazie a una lunga coda dell’inverno Anghileri aveva infilato, da solo con piccozze e ramponi, uno dopo l’altro i canali della Grignetta e del Grignone, in un progetto ribattezzato ironicamente da lui stesso “La supercannnaleta“ delle Grigne. Canalone Porta e canalino Federazione (Grigna Meridionale), canale Carbonari (Sasso Carbonari), Canale Ovest (Grignone) e Canale dell’Inglese (Pizzo della Pieve).

 

«Mi piace giocare molto con queste cose -raccontava lo scalatore del gruppo Gamma -. Quando torno a casa dalla Brianza per lavoro e guardo le montagne inizio a immaginare, a fantasticare su possibili linee di salita, se ne potrebbero inventare infinite. Sono convinto che anche Bonatti, quando da Monza partiva per venire a Lecco, guardava le montagne e immaginava dove sarebbe passato. Il traverso al Medale, ad esempio, lì c’è il timbro del “Bonatti con le palle”, è sempre rimasto nella storia». E così l’omaggio al grande Walter: erano le quattro di mattina del 25 giugno del 2013 quando Anghileri inforcò la bicicletta per salire ai Piani d’Erna. A piedi ha raggiunse il Passo del Fo dove ha attaccò la “Bonatti“ che risale la Bastionata del Resegone. Da qui scese di corsa, riprese la bicicletta e pedalando ha raggiunto il rione Rancio di Lecco. Dopo aver risalito la ferrata, attaccò la “Bonatti” al Medale. Terminata la via rimise le scarpe da trekking e lungo il sentiero del Ger raggiunse i Piani Resinelli dove il giorno precedente aveva lasciato il materiale necessario a continuare la sua cavalcata e un’altra bicicletta per arrivare in poco tempo l’imbocco del sentiero che va al rifugio Rosalba. L’obiettivo, a quel punto, erano la ripetizione della via “Bonatti” alla Torre Costanza e a quella dell’Ago Teresita. Centrato. Mancavano solo i Magnaghi. Rimesse le scarpe da trekking, raggiunse i celebri torrioni sul versante est della Grignetta quando erano circa le 19.30 e salì l’ultima via firmata Bonatti, conosciuta come “via Clara”.

 

«Quando ho bisogno di respirare, di assaporare la montagna, vengo in Grignetta. Su queste pareti è stata scritta la storia dell’arrampicata, da Boga a Mauri, Cassin e Bonatti. Ma c’è ancora terreno di avventura. - spiegava del suo legame con quelle cime -. A quarant’anni passati riesco ancora a trovare qualche angolo nascosto perché qui sopra c’è un mondo, un microcosmo. Non mi stanco mai. Le solitarie ormai fanno parte di me, arrivano da sole. Sento il bisogno di starmene un po’ da solo. La mia caratteristica è quella di prendere e stare in giro, che sia una giornata intera, o due o tre. Sento il bisogno di stare da solo, è come il richiamo della foresta».

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