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Alpinismo

Dal Cai alla Rai: "Ecco la prima spedizione tutta al femminile sul K2", ma non è vero. Ecco perché

“La prima spedizione al femminile alla seconda montagna più alta del mondo” è stata annunciata e ripresa dai mass media negli scorsi giorni, ma a esser precisi non si tratta né di una spedizione tutta al femminile (è guidata da un uomo) né della prima (una spedizione polacca di sole donne, anche la guida, per 69 giorni aveva tentato l’impresa ben 42 anni fa)

di
Sofia Farina e Pietro Lacasella
18 marzo | 19:15
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

“La prima spedizione al femminile alla seconda montagna più alta del mondo” è stata annunciata e ripresa dai mass media negli scorsi giorni, ma a esser precisi non si tratta né di una spedizione tutta al femminile (è guidata da un uomo) né della prima (una spedizione polacca di sole donne, anche la guida, per 69 giorni aveva tentato l’impresa ben 42 anni fa).

 

In occasione del settantesimo anniversario della prima ascensione del K2, la cui vetta fu raggiunta nel 1954 dalla squadra italiana guidata da Ardito Desio, il Club alpino italiano ha promosso una spedizione composta da quattro atlete italiane, Federica Mingolla, Silvia Loreggian, Anna Torretta, Cristina Piolini, e da quattro pakistane, Samina Baig, Amina  Bano, Nadeema Sahar, Samana Rahim, accompagnate dalla cardiologa specializzata in alta quota Lorenza Pratali, e diretta da Agostino Da Polenza. Da Polenza è il quarto italiano ad aver raggiunto la vetta della seconda montagna più alta del mondo dopo Achille Compagnoni e Lino Lacedelli nel 1954, e Reinhold Messner nel 1979. In quella stessa spedizione del 1983, il giorno successivo rispetto a Da Polenza salirono in vetta anche Sergio Martini e Fausto De Stefani.

 

Il lancio del progetto - del quale è attualmente in corso la prima uscita “conoscitiva” sul Monte Bianco tra le compagne di cordata - è stato accolto con enorme interesse dai media nazionali. A raccontare quella che è stata definita “la prima spedizione femminile sul K2” sono grandi testate (vedi ad esempio qui, qui, quiqui, qui), ma anche realtà editoriali di carattere più minuto. Lo stesso presidente del Cai Antonio Montani, come riporta l’agenzia di stampa Dire, dà per certo questo primato: “È una grande soddisfazione. È un’occasione di celebrazione dei settant’anni della spedizione di Desio, anche di fare qualcosa di nuovo: la prima spedizione tutta femminile a questa montagna che rimane una delle montagne più difficili al mondo”.

 

Nessuno sembra avere dubbi: sarà la prima spedizione femminile su K2! Ma é vero?

 

Alessandro Filippini, giornalista che ha per anni scritto di alpinismo per la Gazzetta dello Sport, oltre che autore di film e libri sulla storia dell’alpinismo, punta il dito sulla narrazione adottata negli ultimi giorni dai principali portali di informazione: “A proposito di K2, non mi pare che tanti si dedichino a correggere gli errori storici che sono stati commessi in questi giorni parlando e scrivendo della spedizione ‘femminile’ organizzata dal Cai e pubblicizzatissima dalla Rai. Quindi ci tengo a fare la puntualizzazione che mi pare più importante. Una puntualizzazione storica”.

 

Inesattezze, quelle storiche, individuate e segnalate non solo da Filippini, ma anche da Luca Calvi, che ha curato la traduzione di numerosi libri di alpinismo e storia di alpinismo, che ha invitato “giornalisti ed assimilabili” a riportare i fatti e le notizie con maggior precisione: “Parlare di Ardito Desio che arriva in vetta oppure di spedizione dei soli Compagnoni e Lacedelli, non rende onore né alla storia, né a voi, ma tanto meno alla professionalità e al mestiere”

 

Ad ogni modo, Filippini informa che quella organizzata dal Cai non sarà “la prima spedizione completamente femminile al K2”.

 

“Quella presentata in pompa magna in questi giorni anche in tv NON è la prima spedizione tutta femminile alla seconda montagna della Terra” - ha scritto in un post pubblicato su Facebook - “Pensavo che questa puntualizzazione fosse doverosa da parte degli organizzatori, ma l’ho attesa invano. Al contrario, ho sentito affermare che si tratta di una prima volta…” 

 

Come fa notare Filippini, la prima spedizione femminile al K2 risalirebbe addirittura a 42 anni fa: “Fu una spedizione polacca e a volerla fortemente era stata Wanda Rutkiewicz, che teneva particolarmente a dimostrare che anche in montagna le donne non dovevano necessariamente dipendere dagli uomini”.

 

La spedizione del 1982

 

Racconta il giornalista che: “Wanda Rutkiewicz doveva essere anche la capo spedizione (quindi, allora anche questo ruolo era previsto e in effetti fu al femminile…). Purtroppo per lei, non aveva avuto il tempo per recuperare dall’incidente di cui era stata vittima sull’Elbrus e quindi non poté prendere parte alla scalata lungo lo Sperone Abruzzi. Tuttavia, pur dovendo ancora camminare con le stampelle, ostinatamente si trascinò per tutto il lungo trekking sul ghiacciaio del Baltoro, allora assai più difficoltoso di oggi, e riuscì a raggiungere il campo base”.

Wanda Rutkiewicz, nata nel 1943, nel 1986 fu la prima donna ad arrivare in vetta al K2, attraverso lo Sperone Abruzzi. Prima della sua tragica morte sul Kangchenjunga nel 1992 arrivò a scalare ben otto 8000. Nel suo personale resoconto della spedizione, partita il 28 giugno, che si può leggere integralmente qui, Rutkiewicz racconta che “fino al 1982, 17 uomini, ma nessuna donna, avevano scalato il K2”. 

 

Dalle pagine del suo diario emerge forte l’interesse della popolazione del posto verso la spedizione tutta femminile: “Avevamo pensato che un gruppo di alpinisti composto solo da donne avrebbe potuto essere accolto con sospetto o intolleranza in questo Paese maomettano, dove il posto della donna nella vita pubblica è completamente diverso rispetto ai Paesi occidentali. Ma siamo state accolte con ospitalità e le nostre abitudini sono state trattate con rispetto. Siamo state spesso invitate nelle case dei funzionari di Islamabad e Skardu e in quelle dei nostri portatori nei loro piccoli villaggi di montagna. Siamo state anche invitate a un ricevimento presso il Club alpino pakistano dal suo presidente generale”.

 

A causa dell’infortunio, Rutkiewicz “dovette cedere il comando a una compagna - chiarisce Filippini - si trattava di un’altra alpinista molto esperta, Halina Kruger-Syrokomska, che però alla seconda settimana di operazioni sfortunatamente fu vittima di un’embolia e il 30 luglio 1982 morì a campo 2”. 

 

Grazie all’aiuto di altre spedizioni presenti sul posto, Halina Syrokomska fu riportata al campo base del K2. Racconta Rutkiewicz, sempre nel suo resoconto: “Halina aveva un’esperienza alpinistica di più di 20 anni e aveva ricoperto un ruolo cruciale nell’organizzazione e nell’esecuzione di numerose ascese difficili. Questa volta l'esercizio e la quota devono aver causato un deterioramento fatale. Ma non siamo state abbandonate alla nostra sfortuna: ogni spedizione che era lì con noi si è offerta di aiutarci. Dopo diverse ore di scambi con gli austriaci, la spedizione messicana-polacca e anche con Reinhold Messner ho preso la mia decisione: avremmo portato la salma di Halina al campo base e l’avremmo sepolta ai piedi del K2 in un luogo di sepoltura che aveva già una sua storia. Infatti, Mario Puchoz era stato seppellito lì nel 1954 e c’era una targa che commemorava Nick Estcourt, ucciso da una valanga nel 1978. Volevamo che Halina avesse una vera tomba, che fosse accessibile anche a non alpinisti, e magari a sua figlia”. 

 

L’ascesa ricominciò il 4 agosto, in condizioni atmosferiche ancora favorevoli, e farlo non fu una decisione semplice per il team, come racconta Rutkiewicz: “Durante questi giorni abbiamo sentito profondamente l'assenza di Halina; ci ha lasciato in modo così silenzioso e improvviso che a volte non riuscivamo a credere che se ne fosse andata. L'idea di morte in montagna è molto diversa. Quasi tutti noi l'abbiamo affrontata e ognuno di noi ha conosciuto pericoli e rischi in montagna”.

 

Nei giorni che seguirono, però, le condizioni meteorologiche peggiorarono notevolmente: “Ad altitudini superiori ai 7000 metri il vento soffiava a 40-50 nodi e la temperatura era di 30 gradi sotto zero”. Si era creata “una zona di morte in cui nessun essere umano aveva possibilità di sopravvivere”. 

 

“Più volte diversi membri della spedizione hanno tentato di salire più in alto, ma hanno dovuto ritirarsi rapidamente. Ci sarebbero bastati dai dieci ai quattordici giorni di bel tempo, ma durante i 69 giorni trascorsi in montagna, l'unico bel tempo l'abbiamo avuto nelle prime tre settimane. Nel corso della nostra permanenza abbiamo atteso invano un cambiamento in meglio. Il 16 settembre abbiamo abbandonato ogni speranza di raggiungere la cima”, racconta Rutkiewicz.

 

L’altezza maggiore raggiunta da parte della spedizione fu quella di 7100 metri, toccata il 7 agosto da Christine De Colombel, Krystyna Palmowska e Anna Czerwinska.

 

Filippini conclude citando i nomi di tutte le “componenti di quella ‘rivoluzionaria’ ma sfortunata spedizione: Anna Czerwinska, Anna Okopinska, Danuta Wach, Marianna Stolarek, Krystyna Palmowska, Jolanta Maciuch, Ewa Panejko-Pankiewicz, Christina De Colombel, Aniela Lukaszewska e Alicja Bednarz”.

 

Questo elenco di nomi fornisce lo spunto per un’ulteriore considerazione sulla narrazione che diverse e prestigiose realtà divulgative hanno finora fatto dell’impresa. A differenza di quello del Cai, non sono pochi, ad esempio, i comunicati stampa che mettono l’accento sulla parola “donne” senza indicare il nome e il cognome delle protagoniste dell’esperienza. Inevitabilmente sorge il dubbio che si utilizzi il termine “donna” per obiettivi diversi dalle reali esigenze informative: “donna” rischia così di diventare un formidabile grimaldello; uno strumento per ottenere maggiore visibilità. Insomma, se si desidera davvero fare di questa spedizione un simbolo di emancipazione femminile, capace di arricchire il terreno culturale seguendo un’ottica egualitaria, è necessario prestare attenzione anche a questi importanti dettagli.

 

“L’impresa eccezionale - cantava Lucio Dalla - è essere normale”. Ecco, la più grande conquista di questa spedizione di carattere più celebrativo che alpinistico, può essere quella di contribuire a rendere normale una dinamica che ancora oggi, nel 2024, fa notizia: un gruppo di sole donne che scala una montagna. Questo obiettivo va al di là dell’effettivo raggiungimento della vetta e il Cai - associazione anche a trazione culturale - deve farsi promotore di una rinnovata sensibilità che dalla cima del K2 scenda tra le sezioni diramate in modo capillare nella penisola.

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