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Alpinismo

A quasi settant'anni, effettua l'ultimo intervento come Tecnico di Elisoccorso del Cnsas insieme al nipote aspirante: "Per entrare nel Corpo è necessario riconoscersi nelle persone che hanno bisogno"

Giacomo Giordani, il giorno prima del settantesimo compleanno, ha effettuato il suo ultimo intervento come Tecnico di Elisoccorso del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico insieme al nipote Daniele Barzon, da poco entrato nella grande famiglia del Cnsas come aspirante soccorritore. Un momento simbolico, sebbene del tutto accidentale, che ha in qualche modo saldato un legame che supera i confini della parentela per abbracciare quelli dell’etica civile

di
Pietro Lacasella
31 maggio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Il passaggio del testimone è avvenuto pochi giorni fa, quando Giacomo Giordani, il giorno prima del settantesimo compleanno, ha effettuato il suo ultimo intervento come Tecnico di Elisoccorso del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico insieme al nipote “acquisito” (è nipote della moglie) Daniele Barzon, da poco entrato nella grande famiglia del Cnsas come aspirante soccorritore.

 

Un momento simbolico, sebbene del tutto accidentale, che ha in qualche modo saldato un legame che supera i confini della parentela per abbracciare quelli dell’etica civile. La figura del soccorritore si fa infatti metafora di una propensione comportamentale a cui tutti dovremmo mirare per favorire una società più solidale, dove gli interessi individuali a volte possono essere accantonati per favorire quelli della collettività.

 

“Il 19 maggio ci hanno chiamati per un intervento vicino a Claut e ci siamo trovati ad operare insieme per caso. Non era una cosa preparata”, racconta Giordani a L’AltraMontagna.

 

Giordani ha operato nella delegazione del Soccorso Alpino del Friuli-Venezia Giulia che ha come territorio di competenza la Val Cellina, che interviene nei comuni di Claut, Cimolais ed Erto-Casso. La sua “carriera” di soccorritore è iniziata nel ’72 e, appunto, quello del 19 maggio è stato il suo ultimo intervento come Tecnico di Elissoccorso: questo perché, come ci ha spiegato Giordani, “al compimento dei settant’anni, vieni sospeso – dal punto di vista operativo – da qualsiasi ruolo. Puoi continuare l’attività operativa solo come ‘socio collaboratore’, in quanto dai una mano, ma non sei autorizzato a compiere manovre tecniche”.


Questa coincidenza, l’incontro tra Giordani proprio nella sua ultima uscita con il nipote aspirante, permette anche di fare un bilancio generazionale del Soccorso Alpino. Si sta o meno registrando un quanto mai auspicabile ricambio?

 

“Diciamo che un po’ in tutte le delegazioni di montagna – ci ha spiegato Giordani – c’è difficoltà a trovare ricambio, perché per poter entrare devi avere dei requisiti abbastanza stringenti. Quindi non è facile trovare persone che oltre ai requisiti tecnici abbiano, cosa molto più importante, la disponibilità da dedicare a quest’attività che richiede un impegno di tempo a lungo termine, non è che fai un intervento ogni tanto, e di un certo livello. Quindi, alla fine, diversi di quelli che pensano di poter entrare a far parte del Corpo in realtà un po’ alla volta si rendono conto che non ne hanno le caratteristiche, che non hanno abbastanza interesse, che non hanno abbastanza disponibilità di tempo e motivazione per proseguire un percorso di questo tipo. La cosa fondamentale per entrare è senza dubbio la motivazione”.

 

“L’aspetto più importante da sottolineare – conclude Giordani – è che chi fa parte di questo Corpo, in cui è fondamentale la solidarietà naturalmente, dovrebbe essere una persona che conosce bene l’ambiente montano e che, con l’ambiente montano, ha una certa dimestichezza. Ma soprattutto dovrebbe essere una persona capace di immedesimarsi in chi ne ha bisogno, ricordandosi sempre che potresti essere tu stesso quello che potrebbe avere la necessità di essere aiutato. È necessario riconoscersi nelle persone che hanno bisogno”. Uno slancio empatico fondamentale, dunque, senza il quale è difficile continuare il percorso del soccorritore.

 

Sebbene casuale, il passaggio di testimone tra Giacomo e il nipote Daniele accende in qualche modo un barlume di speranza sulla società contemporanea, tenendo vivi quei valori e quei legami che ci fanno sentire parte di una comunità, ossia di un sistema complesso che non si può ridurre alla mera somma delle sue parti. Perché l’individuo, tutt’oggi, non può svincolarsi da un apparato più ampio, dall’umanità di cui fa parte. Auspichiamo pertanto che, di testimone in testimone, le comunità si salvino dagli spettri della disgregazione.


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