A 24 anni dalla scomparsa del fratello, scopre che gli hanno dedicato una via sulle Dolomiti di Brenta: "È stata una grandissima, inattesa e splendida sorpresa"
Il 17 settembre 2000, la guida alpina trentina Franco Corn e Sergio Benigni hanno aperto una nuova via sulla parete Sud-Est della Torre del Brenta per dedicarla all'amico Paolo Pedrotti, mancato un paio di mesi prima. Solo qualche giorno fa, il fratello minore di Paolo, oggi assessore comunale a Trento, ha scoperto l'esistenza di questa via. I familiari: "Anche se è trascorso quasi un quarto di secolo vogliamo rivolgere un enorme 'grazie' a chi ha deciso di ricordarlo così"
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Chi ama la montagna spesso agisce in silenzio. Lo stesso che avvolge chi sale le pareti rocciose in cerca non di un nuovo traguardo da raggiungere, non per sfidare sé stesso, ma per vivere appieno il propria passione.
E allora, in memoria di un amico scomparso, che della montagna amava tutto, si può anche inaugurare una nuova via sulle Dolomiti di Brenta senza dirlo a nessuno, senza farsi alcuna pubblicità, senza quel bisogno spasmodico, tipico invece del presente, di spargere al vento la notizia.
Il 17 settembre 2000 la guida alpina trentina Franco Corn e Sergio Benigni hanno fatto proprio questo, aprendo una nuova via sulla parete Sud-Est della Torre del Brenta per dedicarla all'amico Paolo Pedrotti, mancato un paio di mesi prima a causa di un malore che lo aveva colpito nel sonno.
Una morte improvvisa, arrivata a poche settimane dal suo 31esimo compleanno e dalla nascita della figlia Alessandra.
Ebbene, solo qualche giorno fa, il fratello minore di Paolo, oggi assessore comunale a Trento, ha scoperto l'esistenza di questa via, della quale in pochi erano a conoscenza perché, chi materialmente aveva piantato chiodi e deciso d'intitolarla all'amico scomparso, era già soddisfatto così.
“È stata una grandissima, inattesa e splendida sorpresa - racconta a nome dei familiari -. A farlo sapere è stato il presidente della Sat di Sardagna, a cui la notizia era arrivata dalla sede centrale. Non lo sapevo, così come non ne erano a conoscenza Lorenza, la moglie mio fratello e Alessandra, sua figlia e mia nipote. Anche se è trascorso quasi un quarto di secolo vogliamo rivolgere un enorme "grazie" a chi ha deciso di ricordarlo così. Non ci sarebbe stato un modo più appropriato per farlo”.
Da allora non poche cordate hanno sicuramente percorso la via "Paolo Pedrotti" sulla parete sud est della Torre del Brenta.
Si legge dalla guida: "Il nuovo itinerario presenta una bella arrampicata elegante in parete verticale con roccia buona, fessura e diedro. Ottima anche l'esposizione ai quadranti meridionali che permette l'accesso alla cima senza dover affrontare lo scomodo accesso alle via pareti Ovest e Nord, protette dalla barriera naturale della Vedretta degli Sfulmini, il cui accesso si presenta spesso proibitivo senza adeguate attrezzature da ghiaccio. La via è bene attrezzata nei passaggi più difficili; sono stati usati 5 chiodi tutti lasciati; consigliabile l'uso di protezioni come nuts medi e friends".
E poi via le indicazioni per raggiungere la via, che si trova a circa mezz'ora dal rifugio Alimonta.
All'epoca i colleghi e gli amici della stazione del Soccorso Alpino del Monte Bondone lo hanno ricordato così:
"A Paolo.
Era l'alba del 7 luglio 2000 quando te ne sei andato. Un'alba limpida, calda, d'estate, come tante altre albe dove, con scarponi e zaino in spalla, partivi per lunghe escursioni.
Il 25 luglio avresti compiuto 31 anni e saresti diventato papà. Quanta gioia manifestavi per questo evento, la stessa che si leggeva nei tuoi occhi quando aiutavi qualcuno, quando sdrammatizzavi situazioni a volte difficili, quando riuscivi a "dare". Eri un generoso, allegro, disponibile e sapevi ascoltare, dote molto rara tra i giovani. Anche per questo pensiamo tu sia entrato nel Corpo Volontari del Soccorso Alpino.
E tra i Volontari del Soccorso Alpino ti sei fatto apprezzare da tutti noi.
Ora sei lassù, sulla cima più alta e noi tutti vogliamo ricordarti come un "vero" amico, un "vero" uomo di montagna".
Questa storia, raccontata in un mondo dove l’esperienza sembra trovare concretezza solo nel momento in cui viene condivisa, ha un sapore particolare. Ci insegna infatti che un atto di affetto, una semplice azione simbolica, prende vita non solo quando esposta su un canale social, ma una volta che viene attuata. Una riflessione che non vuole puntare il dito contro la condivisione – anche perché, altrimenti, dovremmo puntarlo anche verso noi stessi che puntualmente rendiamo pubbliche le nostre iniziative –, ma che invece desidera lanciare uno spunto di riflessione: in parete, così come nella più orizzontale quotidianità, ciò che conta non è come appariamo agli occhi della gente, ma quanto appaghiamo la nostra coscienza e la nostra sensibilità.