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Un sindacalista, un militare in carriera, un giornalista e un capo dei reduci: chi erano i quadrumviri fascisti della marcia su Roma

Da dove provenivano i quattro capi militari nominati da Mussolini per la presa del potere fascista? Qual era stato il percorso di Michele Bianchi, Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi e Emilio De Bono, quadrumviri della marcia su Roma? Prosegue, nell’anno del centenario, la rubrica “Cos’era il fascismo”

Foto tratta dal web
Di Davide Leveghi - 09 ottobre 2022 - 10:33

TRENTO. Il giorno 18 ottobre 1922, a dieci giorni dall’avvio delle manovre che avrebbero portato il fascismo al potere, i “quadrumviri del fascismo” si riunivano a Bordighera per definire il piano d’azione in vista dell’imminente marcia. L’attacco decisivo del partito-milizia allo Stato, ventilato già in passato quando il movimento non era che un’elitaria avanguardia del nazionalismo italiano (QUI l’articolo), prevedeva due fasi: l’accerchiamento ed infine la partenza per la capitale.

 

La volontà dei fascisti di giungere al potere tramite la forza era cosa nota a autorità e opinione pubblica, perché mai nascosta dalla pomposa retorica fascista (QUI l’articolo). Cominciata attorno alla metà d’ottobre, l’organizzazione vera e propria della marcia fu nondimeno segreta, stabilita in diversi incontri predisposti da Mussolini, in compagnia non solo della dirigenza del partito e delle squadre, ma anche di rappresentanti del Regio esercito.

 

Fu in una di queste, il 16 ottobre a Milano, che il capo del Pnf nominò i comandanti dell’imminente azione militare, passati alla storia come i “quadrumviri”. Nome dal “sapore” latino – il quadrumvirato era un collegio composto da 4 magistrati – il quadrumvirato era composto dal segretario del partito (nato nel novembre 1921 dallo scioglimento del movimento dei Fasci italiani di combattimento, QUI l’articolo) Michele Bianchi, dall'ufficiale dell'esercito Emilio De Bono e da due influenti capi dello squadrismo, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi. Ma chi erano, nello specifico, i quadrumviri della marcia su Roma?  

 

Michele Bianchi, così come Mussolini, affondava le radici del suo impegno politico nel socialismo massimalista. Calabrese della provincia di Cosenza, socialista rivoluzionario, da giovane aveva intrapreso la carriera nel Partito socialista italiano dedicandosi all’attività giornalistica sull’Avanti!. Attivo nel movimento sindacale, allo scoppio della Grande Guerra s‘era schierato con l’interventismo rivoluzionario, virando poi sempre più verso posizioni nazionalistiche. Fu così che, nel marzo del 1919, anche il Bianchi partecipò all’adunata di piazza San Sepolcro a Milano con cui nacque ufficialmente il movimento dei Fasci italiani di combattimento (QUI l’articolo).

 

Eletto nel comitato centrale al momento della trasformazione del movimento in partito, nel novembre 1921, Bianchi divenne ne divenne primo segretario. Uomo di fiducia di Mussolini, tollerato da gran parte del partito perché considerato innocuo, fu affiancato nella sua segreteria da 4 vicesegretari, Achille Starace (QUI l’articolo), Attilio Terruzzi, Giuseppe Bastianini e Giovanni Marinelli, andando così a comporre la cosiddetta “oligarchia” che s’occupava di ogni aspetto organizzativo, coagulando nondimeno importanti interessi particolari.

 

Figura centrale di coordinamento fra partito e squadre, verso cui aveva mostrato sempre un atteggiamento favorevole, Bianchi svolse un ruolo molto importante nella fase pre-insurrezionale. Dopo la marcia, infine, entrerà nel governo, ricoprendo delle cariche istituzionali.

 

Decisamente più noto era stato il percorso di vita di Italo Balbo (QUI già descritto). Giornalista dal passato repubblicano, volontario di guerra con gli Alpini e Ardito, si distinse come abile capo dello squadrismo agrario padano, assoluto protagonista del fascismo emiliano-romagnolo. Segretario provinciale del Fascio ferrarese, proprio in questa zona caratterizzata dal grande radicamento del movimento socialista Balbo fu in grado di scardinarne forza e certezze, orchestrando azioni e spedizioni decisive come quella dei 40mila disoccupati del maggio ’22.

 

Squadrista intransigente, Balbo avverserà con forza il patto di pacificazione coi socialisti voluto dal presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi e accettato dalla dirigenza del Pnf (QUI l’articolo); figura carismatica e adorata dalla camicie nere, vivrà in costante rapporto di ammirazione e odio con Benito Mussolini, spaventato dal suo grande ascendente sui fascisti.

 

Da dove arrivavano, infine, gli altri due quadrumviri? La storia di Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi si intreccia strettamente a quella del Regio esercito italiano. Di carriera militare il primo, volontario decorato nella Grande Guerra il secondo, i due restanti capi militari della marcia su Roma avrebbero concluso la loro militanza fascista con il voto favorevole all’ordine del giorno Grandi del 25 luglio 1943, con cui Mussolini venne deposto dalla guida del Paese e si pose di fatto fine alla dittatura durata vent’anni (QUI un approfondimento).

 

Emilio De Bono, lombardo di Cassano d’Adda, proveniva come detto dal mondo militare. Di famiglia saldamente irredentista, dopo l’esperienza da volontario nella guerra coloniale in Eritrea raggiunse i gradi di ufficiale frequentando la scuola di guerra e i corsi di abilitazione per l’ingresso nello Stato maggiore dell’esercito. Da ufficiale, quindi, partecipò entusiasticamente alla Grande Guerra, ottenendo diversi riconoscimenti.

 

Avvicinatosi alla politica nelle tribolate fasi immediatamente successive alla fine del conflitto, manifestò più volte le sue posizioni nazionaliste e conservatrici, simpatizzando infine apertamente per il fascismo. Iscritto al Fascio del suo paese natale nel luglio ’22, grazie alla sua vicinanza a De Vecchi fu coinvolto nella stesura del nuovo regolamento della milizia fascista; nell’ottobre, infine, fu nominato quadrumviro, risultando il principale ufficiale dell’esercito in servizio implicato nelle manovre sovversive dell’insurrezione fascista.

 

L’amico Cesare Maria De Vecchi, piemontese di Casale Monferrato, proveniva invece non tanto dalla carriera militare quanto dal movimento dei reduci. Tenente d’artiglieria e capitano degli Arditi decorato, già nell’aprile del ’19 s’era apertamente schierato con i fascisti, iscrivendosi al movimento. Di posizioni monarchiche e conservatrici, sarà protagonista delle azioni squadristiche in Piemonte, in particolare della sanguinosa marcia su Novara del luglio 1922 (QUI ne parliamo).

 

Vicino al presidente del Consiglio Facta, De Vecchi coordinerà dalle sale del Viminale l’azione repressiva nel corso del disastroso sciopero legalitario dell’agosto ’22 (QUI l’articolo). Nonostante la sua posizione “moderata” rispetto ai più oltranzisti dello squadrismo, di fronte alla feroce strage compiuta dai fascisti torinesi nel dicembre del ’22 (QUI l’articolo), a marcia già effettuata e fascismo al potere, rivendicherà con forza: “Mi prendo personalmente tutte le responsabilità politiche e morali di quanto successo”.

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