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Quando i militari “aprirono le porte” all’assalto dell’Avanti!: l’esordio dello squadrismo e i fatti del 15 aprile 1919

Il 15 aprile 1919, ai margini di una manifestazione delle sinistre contro la violenza poliziesca, una colonna di fascisti, futuristi e Arditi semina il panico in città, assaltando infine la sede milanese dell’Avanti!. Fu l’esordio clamoroso dallo squadrismo, supportato dalla connivenza delle forze armate. Continua la rubrica “Cos’era il fascismo”

Di Davide Leveghi - 17 aprile 2022 - 11:29

Un colpo di rivoltella, due, tre, venti, trenta. Sassi, randelli volanti e randellate precise, A noi, a noi, Arditi! Il cordone dei carabinieri si divide, scompare […] Noi, tutti in piedi. Poi, di slancio, a passo di corsa, contro i nemici. Si sbandano; molti, presi dal terrore, si appiattiscono a terra […] Le revolverate, che ormai hanno un crepitare continuo di fucileria, fanno echeggiare Via Dante. Ci fermiamo davanti al Teatro Eden, vittoriosi. La battaglia è durata un’ora” (Da La Battaglia di Via Mercanti il 15 aprile 1919 prima vittoria del Fascismo, di Filippo Tommaso Marinetti)

 

Tutto quello che avvenne all’Avanti! fu spontaneo movimento di folla, movimento di combattenti e di popolo stufi del ricatto leninista. Si era fatta un’atmosfera irrespirabile. Milano vuol lavorare. Vuole vivere. La ripresa formidabile dell’attività economica era aduggiata da questo stato d’animo di aspettazione e di paura specialmente visibile in quella parte di borghesia che passa i suoi pomeriggi ai caffè invece che alle officine. Tutto ciò doveva finire. Doveva scoppiare. È stato uno scoppio climaterico, temporalesco. A furia di soffiare l’uragano si è scatenato. Il primo episodio della guerra civile ci è stato” (“Non subiamo violenze!”, da Il Popolo d’Italia del 18 aprile 1919)

 

TRENTO. “Lo squadrismo primigenio esordì clamorosamente a sole tre settimane dalla nascita del fascismo”. Comincia così la ricostruzione operata dallo storico Mimmo Franzinelli, nel suo Squadrismo. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, dell’assalto all’Avanti! del 15 aprile 1919. L’episodio, incastonato in un ruolo di prim’ordine nella mitologia fascista, rappresentò infatti il primo atto della tragedia che il Paese avrebbe vissuto negli anni a venire, l’entrata in scena sul palcoscenico nazionale dello squadrismo.

 

Il movimento dei Fasci italiani di combattimento aveva preso compiutamente forma solamente il 23 marzo ’19, agglomerando attorno al carisma di Benito Mussolini, ex socialista cacciato dal partito perché passato all’interventismo, reduci della Grande Guerra, futuristi e giovani decisi a rinnovare un Paese in preda alla conflittualità sociale e in mano ad una classe dirigente liberale ormai incapace di leggere il presente (QUI l’articolo). La parabola dei Fasci, nondimeno, consumava la fase diciannovista fra scoppi eclatanti di violenza ed enormi fracassi politici, su tutti quello delle elezioni dell’autunno ’19.

 

È in questa fase, dunque, che si inserisce l’episodio dell’assalto all’Avanti!, il principale quotidiano socialista, del 15 aprile 1919. Tutto cominciò con uno sciopero di protesta organizzato dalle sinistre contro le violenze poliziesche di due giorni prima in piazza Garigliano, a Milano. In tutta Italia, sono giorni molti caldi: il 10 aprile, a Roma, una carica della cavalleria disperde un corteo socialista, vietato dall’autorità pubblica. Durante la sera, i nazionalisti rispondono con una contromanifestazione, arrivando a scontrarsi con anarchici e socialisti.

 

Gli antefatti dello sciopero milanese del 15 aprile, invece, si svolsero il giorno 13: in piazza Garigliano si tiene un comizio socialista, in cui intervengono le forze dell’ordine. Il commissario di Pubblica sicurezza, ad un certo punto, ordina di aprire il fuoco sulla folla. L’operaio Giovanni Gregotti viene colpito alla testa da un proiettile, diversi altri manifestanti rimangono feriti. In città si proclama lo sciopero di 24 ore.

 

Sul palco della manifestazione, tenutasi all’Arena, si susseguono diversi interventi, tra cui quelli dei socialisti Luigi Repossi, fra i fondatori nel ’21 del Partito comunista d’Italia, e di Claudio Treves, deputato del Psi. Tutto fila liscio, fino a quando dal comizio non si stacca un corteo d’anarchici diritto in Piazza del Duomo. Fra via Mercanti e via Dante, però, scoppia il finimondo: una colonna di oltre 200 uomini, ex ufficiali, Arditi, futuristi, fascisti, capitanati fra gli altri dal poeta Marinetti, seminano il panico a pistolettate. Sul terreno rimane la giovane Teresa Galli, molti altri rimangono feriti.

 

La tattica utilizzata contro gli anarchici è di tipo militare. La piazza viene occupata e qui si medita d’alzare l’asticella della violenza. Inebriati dal successo, gli assalitori si mettono a marciare verso la sede dell’Avanti!, in via San Damiano, dove i militari hanno dato vita a un cordone di sicurezza. Al suo interno, tipografi e redattori si sono barricati, aspettando da un momento all’altro l’attacco. Una fucilata, all’improvviso, parte dalle finestre della redazione, diretta verso gli assalitori. Invece che gli assedianti, però, il proiettile raggiunge l’elmetto del soldato Martino Speroni, uccidendolo sul colpo.

 

I militari posti a presidio dell’Avanti! a quel punto aprono un varco: lasciano passare gli assedianti e la situazione, definitivamente, precipita. Entrati nella sede, gli assalitori si lasciano andare alla più feroce brutalità. Distruggono i macchinari, gettano i mobili per strada, picchiano selvaggiamente redattori e tipografi. Due socialisti, Pietro Bogni e Giuseppe Lucioni, vengono uccisi. La sede del giornale viene data alle fiamme e resa praticamente inutilizzabile. Tornati in strada, la colonna di Arditi, reduci, fascisti e futuristi canta “L’Avanti! non è più”, portando alla sua testa l’insegna lignea del giornale.

 

Dopo diversi tafferugli in giro per la città, alla sera gli assedianti, inquadrati militarmente, marciano verso via Paolo da Cannobio 35, dove si trova la sede de Il Popolo d’Italia. Inneggiano a Mussolini e gli consegnano l’insegna dell’Avanti!. “Noi dei Fasci non abbiamo preparato l’attacco al giornale socialista – scriverà il fondatore del fascismo – ma accettiamo tutta la responsabilità morale dell’episodio”.

 

Due giorni dopo, il giornale mussoliniano racconta così l’assalto all’Avanti!: “Altri dimostranti riescono ad abbattere il portone di ferro e ad invadere anch’essi tutte le stanze della redazione, della direzione, dell’amministrazione, della libreria, della tipografia, ecc., accingendosi alla completa distruzione di quanto vi trovano e gettano ogni cosa nel Naviglio. Quando la devastazione è finita, qualcuno dei dimostranti appicca il fuoco perché le fiamme compiano l’opera. Tutto ciò si è svolto con una eccezionale rapidità e quando la polizia, ricevuti i rinforzi, si slancia al contrattacco, dell’ex redazione non resta più che il ricordo”.

 

A Roma, dove si trova l’altra sede dell’Avanti!, la cronaca della violenza si imbatte nella censura. Il giornale esce con ampi riquadri bianchi, a coprire gli articoli che narrano quanto avvenuto nella capitale economica del Paese. Il 18 aprile, i due leader dell’assalto, il poeta Marinetti e il capitano degli Arditi Ferruccio Vecchi, minacciano un secondo round in caso di reazione. Su un manifesto affisso per la città, campeggia la scritta minatoria: “Non provocheremo ma se saremo provocati aggiungeremo qualche mese ai nostri quattro anni di guerra, per annientare la baldanzosa delinquenza di quei gloriosi imboscati e prezzolati che non hanno il diritto di fare la rivoluzione”. La risposta socialista, al di là di diverse manifestazioni nelle piazze del Paese, non fu certo delle più accese, alimentando con la sua passività la spavalderia fascista.

 

Quale fu, invece, la reazione delle autorità? Già nelle immediate ore seguenti all’assalto, il ministro della Guerra Enrico Caviglia, tenente generale del Regio esercito, raggiungeva Milano, convocando all’Hotel Continental i due capi della colonna, Marinetti e Vecchi. Lodate per le violenze antisocialiste, le squadre d’azione hanno così l’appoggio dei vertici militari. L’ispettore generale di Pubblica sicurezza Giovanni Gasti, intanto, dà avvio alle indagini sul comportamento delle forze dell’ordine. “Contro gli ufficiali dimostranti, i cordoni di carabinieri e soldati (per il rispetto e la subordinazione, in quel caso non dovuta, ma pur nondimeno sentita, verso superiori), non opposero una resistenza ad oltranza, né fecero uso della forza muscolare con la quale avrebbero avuto ragione di una folla costituita da elementi borghesi, e si limitarono ad una opposizione dinamica conclusivamente se non inizialmente passiva”.

 

La presenza di ufficiali fra i dimostranti, dunque, avrebbe fermato i militari a presidio della sede dell’Avanti! dall’intervenire. Per “subordinazione”, per “rispetto”, “sentito ma non dovuto”. La connivenza fra forze dell’ordine, forze armate e neonato fascismo, trovò il suo primo avvelenato frutto, inaugurando una stagione – che seppur con qualche eccezione – aprì la strada all’avvento del regime.

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