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Il primo squadrismo e il “1919 fascista”: la parabola di Arditi e futuristi nei Fasci italiani di combattimento

Nei primi due anni di vita del fascismo, futuristi e Arditi formarono l’ossatura del movimento. I Fasci di combattimento, fondati da Benito Mussolini nel marzo 1919, univano infatti la temerarietà dell’azione politica futurista con l’assuefazione alla violenza dei reduci, opponendo un sovversivismo alternativo a quello che guardava a Mosca. Prosegue la rubrica “Cos’era il fascismo”

Di Davide Leveghi - 27 marzo 2022 - 14:00

Rappresentate la mirabile giovinezza guerriera dell’Italia! Il balenio dei vostri pugnali e lo scrosciare delle vostre bombe farà giustizia di tutti i miserabili che vorrebbero impedire il cammino della più grande Italia! Essa è vostra! Voi la difenderete! La difenderemo insieme! Fiamme nere, rosse, di tutti i colori, a chi l’onore? A voi!” (dal discorso celebrativo della fine della guerra, Milano 10 novembre 1918, Benito Mussolini)

 

Dopo Vittorio Veneto io predicai la necessità per ogni combattente di diventare un cittadino eroico. Infatti nel famoso 1919 fascista ci trasformammo tutti in cittadini eroici per difendere la nostra integrità di interventisti colle bombe e il revolver” (Filippo Tommaso Marinetti, da Futurismo e Fascismo, 1924)

 

TRENTO. All’origine di tutto vi fu la Grande Guerra: il movimento dei Fasci italiani di combattimento nasceva nel turbine del dopoguerra italiano, affondando le proprie ragion d’essere nella “violenza rigeneratrice” delle trincee. Le fila del primo fascismo, infatti, contavano su futuristi e Arditi, fautori di una politica immaginata come scontro fisico e sottomissione del nemico.

 

Il 23 marzo 1919, in piazza San Sepolcro a Milano, nasceva ufficialmente il movimento dei Fasci italiani di combattimento (QUI l’articolo). L’attivismo dei fascisti, però, aveva già preso forma nella convergenza fra reduci, giovani e ufficiali decisi ad affrontare con le armi il sovversivismo rosso, filobolscevico, neutralista, internazionalista. La guerra fu pertanto la fucina di un attivismo intercettato dal movimento mussoliniano, aggressivamente nazionalista ed imperniato su immaginari e modelli organizzativi militari.

 

Come noto, il primo programma fascista conteneva diverse istanze sociali, ammiccando a un mondo reducista desideroso di veder trasformata una realtà politica ormai stantia; quella liberale e ottocentesca, esclusiva ed anacronistica di fronte alle grandi trasformazioni prodotte dal conflitto. Queste istanze, nondimeno, verranno accantonate di fronte alle sonore sconfitte elettorali del movimento fascista, a cui s’accompagnò la frammentazione in rivoli sempre più piccoli ed ininfluenti dell’arditismo.

 

Sono gli anni, come detto, delle grandi proteste operaie, del sovversivismo massimalista che agita fabbriche e campagne, alimentando paure ed angosce della borghesia e delle classi dirigenti. È in questo contesto che lo squadrismo muove i suoi primi passi, prendendo forma come fenomeno e mentalità, attingendo a piene mani dagli slogan e dalla mitologia dannunziana. La violenza squadrista è dapprima esercitata da un’élite, da un’avanguardia di pochi temerari, sprezzanti delle masse, smaniosa di venire alle mani. Fu nell’estate del ’20, poi, che la violenza politica salì di livello, trasformando lo squadrismo in un fenomeno di massa.

 

Alla fonte, dunque, ci furono D’Annunzio e il fiumanesimo. Scrive a riguardo lo storico Mimmo Franzinelli, in Squadristi: “Fraseologia bellicista e slogan dannunzianeggianti avrebbero condizionato il rapporto capo-gregari nel movimento degli ex interventisti rivoluzionari. Il richiamo alla guerra fu, prima ancora che nei metodi d’azione, nella volontà di proseguirne l’«opera di redenzione». Determinante, a tale riguardo, l’esperimento fiumano, attraverso cui non soltanto passarono giovani presto distintisi nelle squadre fasciste, ma dal quale la massa delle camicie nere trasse ispirazione per rituali e mitologia”.

 

Smobilitati con l’ultima riforma dell’esercito, i reparti d’assalto confluirono così nella fila del neonato movimento fascista, che poté contare, da par suo, sia sui reduci ormai tornati alla vita civile – ma incapaci di ritornare alla quotidianità dell’anteguerra – sia sugli ufficiali che rimasero in armi. Nel fascismo, infatti, costoro vedevano la difesa della patria contro l’internazionalismo socialista, profondamente impregnato d’antimilitarismo.

 

A riguardo, scrive ancora Franzinelli: “La violenza non era da una parte solo, poiché laddove un Ardito, o anche un ufficiale dell’esercito, si trovava da solo in quartieri popolari o borgate rosse veniva insultato e svillaneggiato, nonché percosso se accennava a una reazione: l’antimilitarismo delle sinistre incolpava i graduati dei lutti bellici. Di simili episodi, abbastanza frequenti nei grandi centri urbani, beneficiò indirettamente il fascismo in termini di popolarità e di adesioni fra gli ufficiali”.

 

L’esordio della convergenza fra fascismo nascente, futuristi e Arditi ebbe luogo ancora prima del fatidico marzo ’19. L’11 gennaio, infatti, un manipolo di facinorosi interveniva al Teatro della Scala di Milano durante una conferenza dell’ex ministro intervista democratico Leonida Bissolati, interrompendo ripetutamente il suo discorso sul confine orientale con sbeffeggi e tafferugli. Nemmeno i cattolici, d’altra parte, furono risparmiati dalle botte dei futuristi, più volte sopraggiunti in alcune processioni religiose.

 

In questa fase, ogni azione fascista si limita alle città industriali del Nord. Fra Milano e la Lombardia, Torino e il Piemonte, si concentrano i raid di futuristi, Fasci e Arditi, questi ultimi ormai organizzati in un movimento con aspirazioni politiche. A pochi mesi dal conflitto, l’associazionismo degli ex reparti d’assalto si frantumava in mille pezzi, aprendo così all’ingresso massiccio nel movimento dei Fasci.

 

Battesimo del fuoco dello squadrismo, invece, fu l’assalto al giornale Avanti!, principale pubblicazione socialista, avvenuto a Milano il 15 aprile 1919. Partito come una dispersione violenta di una manifestazione anarchica contro la brutalità poliziesca, l’assalto si concluderà con lo sfregio della devastazione e la consegna a Benito Mussolini, direttore de Il Popolo d’Italia e fondatore dei Fasci italiani di combattimento, di diversi “trofei” rubati nella sede del giornale. Da parte sua, Mussolini commentava entusiasta: “Noi dei Fasci non abbiamo preparato l’attacco al giornale socialista, ma accettiamo tutta la responsabilità morale dell’episodio”.

 

Così com’era avvenuto agli Arditi, anche per i futuristi ogni prospettiva politica venne meno. Nel secondo congresso dei Fasci, tenutosi nel maggio 1920 e caratterizzato dall’abbandono, dopo la sonora sconfitta alle elezioni dell’autunno precedente, del programma sociale, i seguaci di Marinetti abbandonarono il movimento, delusi dalla svolta conservatrice. Per molti di loro, compreso lo stesso leader futurista, questa rottura sarebbe stata ben presto sanata, con l’ingresso entusiasta nella fila del Partito nazionale fascista.

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