“Orgogliose di portare la camicia nera”: il Servizio ausiliario femminile e la mobilitazione delle donne nella Repubblica sociale italiana
Fra le novità della Repubblica sociale italiana vi fu anche la mobilitazione delle donne nel conflitto. Nell’aprile del ’44, viste le pressioni provenienti per lo più da giovani universitarie desiderose di vendicare il “tradimento della patria”, nacque così il Servizio ausiliario femminile. Quale fu il suo ruolo? Continua la rubrica “Cos’era il fascismo”
![](https://cdn.ildolomiti.it/s3fs-public/styles/articolo/public/articoli/2022/01/servizioausiliario.png?itok=LSG-Wsg4)
“Benedici le nostre case lontane,/ benedici il lavoro delle nostre giornate,/ accogli, come offerta di redenzione/ per la Patria tradita,/ il sangue degli eroi, dei martiri,/ il pianto delle madri private dei figli,/ il singhiozzante grido dei bimbi/ privati delle madri per/ la sadica ferocia nemica” (dalla Preghiera dell’ausiliaria)
“Noi abbiamo giurato di servire, col nostro sangue, la causa della Rivoluzione fascista: noi siamo orgogliose di portare la camicia nera; per noi emblema abbiamo la «M» rossa. Noi non lo abbiamo giurato alla Patria, ma a Voi, DUCE, perché per noi la Patria siete VOI. Siamo poche a rappresentare Roma, ma che importa? Voi diceste che il numero non conta, ma la qualità. E la nostra fede non è qualcosa che ci guida o ci sostiene, ma è l’essenza stessa della nostra epidermide, del nostro sangue di ogni più piccola cellula. Ma la nostra fede è solamente in Mussolini” (dalla lettera di alcune giovani romane appartenenti al gruppo “Onore e combattimento” inviata a Mussolini, 1 gennaio 1945)
TRENTO. Fra le novità della Repubblica sociale italiana, nel marasma di bande, gruppi autonomi e polizie speciali (QUI l’articolo), vi fu anche la mobilitazione femminile; non la semplice partecipazione delle donne allo sforzo bellico in funzione ancillare, bensì l’impegno diretto, fucile in spalla, ai combattimenti contro le forze partigiane. Questo almeno era l’obiettivo delle migliaia di donne aderenti al Servizio ausiliario femminile, istituito dal governo saloino il 18 aprile 1944.
La pressione esercitata da giovani ragazze affinché si permettesse ciò che fino a quel momento non era mai avvenuto – la partecipazione delle donne italiane a formazioni paramilitari – ebbe finalmente soddisfazione già al principio del ’44, quando la Federazione fascista repubblicana di Milano arruolò aderenti al partito “di sana e robusta costituzione, dai 20 ai 40 anni, che non abbiano figli inferiori ai 14 anni e vogliano servire nel modo migliore la Patria in armi”. Analoga situazione si presentava a Torino, dove una cinquantina di giovani, per lo più universitarie, venne arruolata “tra i camerati dell’esercito repubblicano”, con funzioni dapprima di guardia confinaria e poi di combattenti “equiparate in tutto ai militari, con eguali diritti e doveri” (Mimmo Franzinelli, Storia della Repubblica Sociale Italiana 1943-1945 - QUI un approfondimento sull’Esercito repubblicano).
In una guerra totale contro “sovversivi” e “invasori”, anche le donne decidevano di prestarsi allo sforzo bellico, uscendo così dal tradizionale spazio che la società ed il fascismo assegnavano loro. Per lo più studentesse universitarie, giovani e desiderose di liberarsi dalla sudditanza maschile, accorsero alla mobilitazione lanciata dal segretario del Partito fascista repubblicano Alessandro Pavolini nel marzo del ’44, così come a quella del capo della Xª Mas Junio Valerio Borghese, che istituì a La Spezia un contingente femminile – a cui aderirono 250 volontarie, tra cui alcune giovanissime.
Nondimeno, la partecipazione femminile al conflitto non vide Mussolini particolarmente entusiasta. La sua visione tradizionalista del ruolo della donna nella società portò così, dopo una prima fase di confusionario entusiasmo, ad una regolamentazione del reclutamento femminile, sfociato appunto nell’istituzione del Servizio ausiliario femminile nell’aprile del 1944. Aperto a “donne di nazionalità italiana, di razza ariana, che diano serie garanzie circa capacità al servizio cui chiedono di essere adibite e che siano di età comprese tra i 18 e i 45 anni”, il Saf finì grosso modo per spegnere l’ardore bellicista delle volontarie, relegandole – non senza malumori – a mansioni di natura impiegatizia, infermieristica, propagandistica e domestica, come la preparazione del rancio o le pulizie della caserma (Franzinelli).
Continua lo storico Franzinelli: “Le ausiliarie rappresentano l’avanguardia delle donne fasciste, politicizzate e mobilitate per la salvezza della patria. L’attivismo fuori dalle mura domestiche, in un contesto di guerra civile, le smarca dal tradizionale modello dell’«angelo del focolare» (che rappresentò – durante il regime – il destino di gran parte delle donne), ma in sostanza ne ripropone le caratteristiche, trasferendole dall’ambito domestico a quello militare”.
Al di là delle scollamento fra le aspettative delle volontarie ed il ruolo ritagliato per loro dal governo, la realtà del conflitto finirà per scompaginare le carte, esaudendo in parte il loro desiderio di imbracciare il fucile e partecipare alle operazioni antipartigiane, fossero i rastrellamenti o le sevizie nei confronti dei prigionieri. Scrive la storica Cecilia Nubola in Fasciste di Salò: “Riferirsi alle donne di Salò sempre e solo come ausiliarie, pronte a fornire conforto e aiuto materiale nelle retrovie, è una percezione che non corrisponde pienamente alla realtà dei fatti e che porta con sé la necessità di negare l’evidenza: la presenza di donne armate al fianco degli uomini nella bande e nei reparti combattenti della Rsi. Significa oscurare la presenza femminile nelle azioni di guerra e nella quotidiana battaglia contro i partigiani e contro qualsiasi forma di dissidenza, fatta anche di delazioni, rastrellamenti, arresti, torture; significa misconoscerne l’identità, le scelte operate in piena consapevolezza, il loro contributo alla ‘causa’ fascista”.
Affidato il comando alla fascista della prima ora Piera Gatteschi Fondelli, insignita del grado di generale di brigata, il Saf poté contare a inizio luglio ’44 su 1016 aderenti, salite a quasi 7000 nell’ottobre dello stesso anno; numeri piuttosto bassi se paragonati alle previsioni del governo repubblicano, instancabilmente impegnato nell’opera di propaganda.