Città occupate, assalti e violenze capillari: l’escalation fascista del giugno 1922
Dopo l’occupazione di importanti città come Ferrara e Bologna, il giugno 1922 segnò un ulteriore passo verso la presa del potere da parte fascista. Prosegue la rubrica “Cos’era il fascismo”
TRENTO. Incursioni, devastazioni e soprusi sfacciati e impuniti: il giugno 1922 segna – nel cammino verso la conquista del potere fascista nell’ottobre di quello stesso anno – un’ulteriore tappa in un percorso disseminato di violenze. Lo squadrismo, forte dei successi in città come Ferrara (QUI l’articolo) e Bologna (QUI l’articolo), riprodusse in quel mese un copione già scritto: spedizioni nelle campagne, con devastazioni e uccisioni, scorribande cittadine e occupazione dei gangli del potere.
Ottenuto l’allontanamento di Cesare Mori dal ruolo di prefetto di Bologna, i fascisti inaugurarono il mese sulla coda di quanto avvenuto nel capoluogo emiliano. Preso il controllo del centro, la violenza si diffondeva a macchia d’olio nelle campagne circostanti, da Castel San Pietro a Vergato, da San Lorenzo di Savena a Borgo Panigale. In tutta la provincia, i primi giorni del giugno ’22 furono così caratterizzati da assalti e devastazioni ai circoli e alle sedi socialisti, presentati come sodalizi “sovversivi”.
Ma non solo il Bolognese si trovò al centro di episodi analoghi. Dal Piemonte alla Toscana, le scorribande fasciste si ripeterono con esiti sempre devastanti, inferendo colpi spesso mortali ad un movimento socialista non sempre capace di rispondere. Non fu questo il caso della “battaglia” scoppiata il giorno 11 presso la cooperativa rossa di Camposanto Vecchio, nel Piacentino. Qui, a seguito di un’irruzione fascista, la cittadinanza rispondeva ricacciando le camicie nere. Il ferimento a morte di una di loro produceva nondimeno la ritorsione: il giorno successivo, la Federazione delle cooperative di Piacenza veniva data alle fiamme, così come il circolo dei ferrovieri.
L’uccisione a Piombino, nel corso di un’altra incursione, di un giovane squadrista provocava invece un colpo di mano fascista contro l’amministrazione comunale, costretta a dimettersi – la città veniva a quel punto messa a ferro e fuoco dai fascisti. Il giorno 12, nell’Astigiano, la rappresaglia per il ferimento di una camicia nera scatenava i picchiatori fascisti, che nel giro di una sola ora – a detta del loro comandante Giovanni Passerone, ras di Casal Monferrato – devastavano “10 camere del lavoro, circoli, cooperative, abitazioni di ‘rossi’”. “20 teste rotte – annotava questi nel suo diario – viene inaugurata come arma offensiva e difensiva la frusta da carrettiere”.
Il giorno 16, nell’ambito di una diffusa campagna di occupazione dei centri urbani, fu il turno di Cremona. Dopo lo sgombero da parte delle camicie nere della prefettura, il ras Roberto Farinacci dava avvio alle scorribande cittadine, in cui venne incendiata la casa dell’onorevole popolare Guido Miglioli, sindacalista cattolico con posizioni vicine alla sinistra.
Il giorno 24, a Quartirolo di Carpi, gli squadristi seminavano il panico durante una festa giovanile, irrompendo in una sala da ballo e percuotendo i presenti. Un quindicenne del luogo, in quell’occasione, perdeva la vita sotto i colpi fascisti, mentre 4 ragazzi fra i 14 e i 16 anni riportavano gravi ferite per le percosse.
Quasi sempre impunite, le violenze fasciste trovavano una sponda nel sostegno delle forze dell’ordine. Nonostante degli episodi di resistenza da parte dei carabinieri – che uccidevano ad esempio il segretario politico di un fascio mantovano colpevole di non essersi fermato all’alt mentre si trovava a bordo di un camion – spesso l’uso della forza da parte degli squadristi andava a braccetto con quella dell’Arma – e viceversa.
Il giorno 25, due carabinieri venivano alle mani con un diciottenne di Pergola, in provincia di Pesaro. Il giovane, figlio di un oste socialista, reagiva sfoderando il fucile e ferendo mortalmente un militare. Il commilitone, da parte sua, apriva il fuoco contro il padre del ragazzo, intervenuto per sedare gli animi. L’episodio provocava a quel punto la reazione fascista, che già l’indomani occupava il paese grazie all’afflusso corposo di camicie nere del Perugino e dell’Anconetano.
Un ultimo episodio merita infine d’essere raccontato, a testimonianza della varietà presente anche nel mondo squadristico e della complessità di quegli anni. Il giorno 8 giugno, il prefetto di Venezia scioglieva d’imperio la struttura parallela di “azione antisovversiva” dei Cavalieri della Morte. L’organizzazione, fondata dal fascista dissidente Gino Covre, cacciato dal fascio per disonestà, era stata al centro in quei giorni di scontri con le guardie regie, in cui aveva perso la vita uno di loro. Trafugata la salma dal cimitero cittadino, il cadavere veniva esposto avvolto in un tricolore nella sede del movimento.