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Consiglio provinciale, dalla doppia preferenza al doppio senso: rimandati a gennaio

Oggi si chiude la tre giorni di discussioni sulla doppia preferenza di genere con un nulla di fatto. Vincono ostruzionismo e battute “ineleganti". Si va verso il compromesso

Di Donatello Baldo - 06 ottobre 2016 - 08:18

TRENTO. Tre giornate intere buttate al vento. Le prime due sicuramente, quella di oggi non si sa ma è quasi certo. Il Consiglio provinciale sta discutendo della legge sulla doppia preferenza ma tutti sanno che in questa tornata non si deciderà nulla. Tutto rimandato al 2017.

 

Sono troppi gli emendamenti, impossibile superarli senza la mossa del cavallo. Una mossa che, come detto precedentemente, può essere tecnica o politica. Tecnica se il presidente Bruno Dorigatti decide di non accettare emendamenti puramente ostruzionistici. Politica se si accetta il compromesso: invece che due preferenze, come prevede il testo, tre preferenze con una soltanto destinata a un genere diverso dalle altre.

 

Una soluzione che sembra ormai data per certa, quest'ultima. Resiste il Pd, ma tutto il resto della maggioranza sembra orientato a cedere. Bezzi dice mai e poi mai, il principio della parità non si tocca, ma non sappiamo se prevarrà il principio sacrosanto o se a vincere sarà la soddisfazione di vedere la maggioranza ancora una volta sconfitta.

 

Perché, questo è chiaro, se passa la mediazione sarà una debacle. Una sconfitta per le donne rappresentate nel comitato Non ultimi e per il Pd che su questa legge ha investito tantissimo in termini politici, e personali per quanto riguarda la promotrice Lucia Maesti.

 

Ma forse è meglio che il consiglio si chiuda oggi. Forse così c'è il tempo di pensare attentamente alle mosse da fare, forse Ugo Rossi capirà che un altro scivolone sul tema dei diritti sarebbe meglio evitarlo, che rimanere una delle ultime regioni per numero di donne in politica non potrà mai essere un onore. Forse è meglio chiudere oggi anche per non vedere un'Aula, quella di questi giorni, che assomiglia a una classe di studenti che aspettano solo che squilli la campanella. Tanto la lezione è la stessa, non c'è nulla da imparare. Nel senso che tanto non c'è nulla da decidere, si va a gennaio. Si sta seduti per l'ostruzionismo, nulla più. Nessun accordo all'orizzonte, nessuna soluzione che si avvicini.

 

Per giocare ancora con la metafora scolastica, ieri il consigliere Gianfranco Zanon (quello dell'emendamento Zanon, quello che ha proposto le citate tre preferenze) ha cercato di imparare il concetto di “quota rosa”. Ha provato a farsi entrare in testa la lezione ma non ci è riuscito. Per lui una preferenza da destinare alle donne sarebbe “quota rosa”. Ha provato la consigliera-professoressa (sempre per restare immersi nel mondo della scuola) Donata Borgonovo Re a spiegare la questione: “Io ero in giunta, e sono in consiglio, non per una quota assegnata dalla legge alle donne ma perché ho raccolto più di diecimila preferenze”. Ma Zanon nulla, non capisce, anche se lui di preferenze ne ha raccolte meno di duemila. “La 'quota rosa' è un numero di posti assegnati alle donne per legge – suggerisce sottovoce l'assessora Sara Ferrari al consigliere – qui non c'entra nulla”. Niente da fare, lui a prescindere la chiama ”quota rosa”.

 

Poi il dibattito ha provato ad evolversi in politica. “Non accetto lezioni da chi di donne non ne ha eletta nemmeno una”, ha detto rivolta alla minoranza l'assessora alle Pari opportunità. Replicando così alle opposizioni che hanno sottolineato fin dall'inizio che la maggioranza quando c'è un problema in giunta rimuove una donna: è successo con l'ex assessora Borgonovo Re in Provincia e con Marika Ferrari in Comune a Trento. Rimuovere una donna. Nel dibattito è stato usato il verbo “trombare”, poco elegante. Allora si è detto “silurare”, e giù risate: la correzione – come a scuola – è arrivata dai banchi dell'Upt. Il consigliere Mario Tonina divertito corregge il collega: “Non si dice silurare, non si può”, anche questo termine si presta alle ambiguità.

 

Forse, veramente, è meglio chiudere. Si è passati dalla doppia preferenza al doppio senso: “Perché è più meglio. Almeno fa ridere”.

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