Via Balbo a Saone, può ancora esistere una strada dedicata a un gerarca fascista? Tre lettere per riflettere
Nella frazione tionese di Saone c'è una via dedicata al gerarca fascista Italo Balbo. La proposta di cambiare denominazione ha sollevato una grande discussione. Qui di seguito pubblichiamo tre lettere di segno decisamente diverso, di cui quella dello storico Tommaso Baldo, utile a contestualizzare questa figura di rilievo dello squadrismo e del regime
TIONE. Dopo l'appello di Alessandro Giacomini, responsabile trentino dell'Unione atei agnostici e razionalisti, rivolto al sindaco di Tione affinché si ponga mano alla via della frazione di Saone dedicata al gerarca fascista Italo Balbo, le reazioni non sono mancate. “Quando ci verrà posta la questione, valuteremo in da farsi”, aveva dichiarato il sindaco Eugenio Antolini, tenendo a precisare, comunque, di non voler essere accostato in alcun modo all'ideologia che il noto squadrista ed aviatore rappresentò a pieno, prima che il suo astro precipitasse nel deserto libico.
La politica provinciale, da parte sua, ha dato segno di voler mettere mano ad una situazione incompatibile i valori democratici e antifascisti che tengono unito il Paese sotto la Costituzione nata proprio dalla lotta al nazifascismo. Il consigliere del Gruppo Misto Alex Marini ha infatti depositato un'interrogazione alla giunta chiedendo che si facesse luce sulla questione e che si procedesse al più presto alla sostituzione dell'odonimo.
Indubbiamente, il primo passo spetterebbe più che alla giunta provinciale al Consiglio comunale e alla giunta tionesi. Sono loro, infatti, che dovrebbero prendersi carico della questione, cominciando a lavorare per l'eliminazione di una denominazione che è sopravvissuta per decenni ma che non ha, né aveva dal 1945 in poi, più motivo di esistere. Chi era infatti Italo Balbo?
Per rispondere a questa domanda e a quella sull'opportunità di cambiare la denominazione, abbiamo deciso di pubblicare tre lettere, tutte di segno diverso. Dapprima il segretario politico del Patt Simone Marchiori, da saonese, propone un più diffuso lavoro sull'odonomastica comunale. Se va cambiato un odonimo come quello del gerarca fascista Balbo, inconciliabile con la memoria democratica, perché dovrebbero date e nomi di generali italiani a loro volta inconciliabili con le memorie dei cittadini saonesi, che combatterono nella Grande Guerra con indosso la divisa austro-ungarica?
Tale memoria, dice Marchiori, risulta quasi più insopportabile di quella di uno squadrista che, a quanto pare, ha “vissuto” indenne su quella targa fino ad oggi, a prescindere dal colore della giunta a capo del Comune. Se bisogna “sanare” l'odonomastica locale, bisogna fare un lavoro approfondito e più diffuso, in conclusione.
Nella seconda lettera, inviata da Andrea Cipolla e Scaglia Settimo, il punto di vista cambia completamente. Balbo è espressione della “storia italiana” (con l'aggettivo rigorosamente in maiuscolo) e quindi non può essere cancellato. Ma non solo, accanto al suo nome andrebbe aggiunto quello di Norma Cossetto, giovane vittima della violenza politica dell'autunno 1943 in Istria, divenuta celebre per il discutibilissimo film Red Land (Rosso Istria) – discutibilissimo sotto molti profili, soprattutto quello storico – prodotto anche con i soldi pubblici.
L'argomentazione a favore del mantenimento della via dedicata a Balbo, in questo caso, è piuttosto debole. Della storia italiana fanno parte anche Totò Riina e il “mostro di Firenze e i suoi compagni di merende”, ma non per questo meritano un posto tra l'odonomastica. Balbo è stata una figura legata alla pagina più vergognosa della storia italiana, mentre tirare in ballo Norma Cossetto appare più una mossa diversiva che altro. Personaggio esemplare dell'uso politico della storia da parte delle forze d'estrema destra e neofasciste, alla costante ricerca della rivalutazione pubblica, rappresenta una delle principali armi retoriche della narrazione stereotipata e distorta sulle vicende dell'Alto Adriatico. Ella fa parte della storia italiana, in quel contesto, tanto quanto le migliaia di antifascisti slavi uccisi dai Tribunali fascisti, elemento spesso dimenticato nella deriva martirizzante, unidirezionale e nazionalista di cui è preda la retorica sul Giorno del Ricordo.
A conclusione, dunque, lasciamo spazio ad un commento di uno storico, Tommaso Baldo, che "tirando fuori dal cassetto" la memoria della propria famiglia cerca di dimostrare non solo quanto le memorie siano parziali, ma anche quanto quelle ufficiali poco abbiano a che spartire con quella delle comunità locali. A uno storico, pertanto, il compito di spiegare chi fu Italo Balbo e perché, senza se e senza ma, il nome di quella via debba essere cambiato, eliminando una reliquia fascista che sarebbe bene venisse depositata in un museo e non tra le coordinate che regolano la geografia fisica e simbolica del nostro territorio.
Ecco la lettera del segretario politico del Partito autonomista trentino tirolese Simone Marchiori, che pubblichiamo integralmente:
Gentile direttore,
da saonese osservo con curiosità e, ammetto, anche un po' di stupore, la querelle relativa alla presenza nel mio paese di una via dedicata a Italo Balbo. Lo dico subito a scanso di equivoci: il nome di quella via va cambiato senza se e senza ma per ciò che Balbo ha fatto, l'ideologia in cui ha creduto e il periodo storico che ha contribuito a scrivere rappresentano.
Ma la vicenda che è emersa sui giornali mi porta a fare quasi un sorrisino per due motivi molto semplici: il caso politico che qualcuno ha cercato di montare non riporta mai il parere di qualche abitante del paese di Saone. Perché le persone che hanno portato alla ribalta il caso Balbo si sono limitate ad alimentare le polemiche senza andare a fondo della questione? Anzi, e qui arriviamo al secondo punto, ne hanno approfittato per accusare l'amministrazione comunale. Lungi da me dover difendere il sindaco di Tione di Trento, ma la via Italo Balbo è lì da decenni. Su quella via, mentre in comune si alternavano maggioranze civiche, di centro, di centrodestra e di centrosinistra, trovava trova sede la Famiglia Cooperativa Giudicarie (già FC di Saone). Sempre su quella via sorgeva il salumificio che produceva i rinomati salam da l'ai saonesi, sempre lì da qualche anno troviamo la casa ITEA con i suoi otto appartamenti e, da molto più tempo, su via Italo Balbo si affaccia una parte della casa sociale che ospitava prima l'ufficio postale e poi il Comitato Ricreativo (l'equivalente saonese della pro loco).
Che cosa voglio dire con ciò? Che ci si stupisce ora di quella via come se l'intitolazione fosse recente, ma da decenni la targa fa mostra di sé e molti, se non tutti, potevano sapere, visti gli edifici e le società che proprio lì trovano sede, che a Saone ci sono ancora riferimenti ad un gerarca fascista.
Comunque sia, adesso è giunto il momento di fare qualcosa: già nelle scorse legislature, da laureato in storia, membro della commissione cultura e consigliere comunale, avevo informalmente verificato la possibilità di tornare ai vecchi toponimi e alle intitolazioni storiche delle vie saonesi.
Ora il Comune, coinvolgendo la frazione, può procedere in tal senso mettendo in campo un'operazione più vasta, che tolga anche altre intitolazioni cariche di retorica che si scontrano con la storia della nostra terra. Ad esempio via 4 novembre 1918 (giorno della vittoria italiana contro l'Impero austro-ungarico di cui anche Saone faceva parte da secoli), via XXIV maggio 1915 (giorno dell'entrata in guerra del Regno d'Italia contro l'ex alleato austriaco, operazione che ha portato Saone ad essere quasi sul fronte con tutti i pericoli annessi e a dover accogliere centinaia di sfollati della Valle del Chiese), piazza Diaz, che celebrano sì degli eventi e dei personaggi storici importanti, ma che sono in contrasto con i tanti morti che Saone registrò durante la prima guerra mondiale, soldati che avevano combattuto quando indossavano un'altra divisa e non quella italiana.
Quindi, anziché celebrare ciò che qui non è stato, si potrebbe ricordare eventi e persone che devono essere parte integrante della memoria storica del paese. Penso per esempio ai benefattori del “Legato Sale” che hanno messo parte dei loro beni a disposizione della comunità per aiutare i bisognosi, ai saonesi accusati e condannati ai lavori forzati per aver portato in epoca garibaldina delle armi in quella che poi prese il nome di “busa de le armi” (il più famoso di loro era il “Barbavigili”(alias Vigilio Marchiori) pastore errante che faceva la spola dal Brenta alla pianura padana). Oppure ai caduti saonesi di tutte le guerre. O, soprattutto, a don Felice Beltrami, prete giudicariese di Darzo, fondatore della Famiglia Cooperativa e della Cassa Rurale di Saone, due delle prime imprese cooperative del Trentino, uno dei collaboratori più stretti di don Lorenzo Guetti. Una figura da valorizzare e che sicuramente potrebbe essere un più che degno sostituto di Italo Balbo.
In tal senso ho già provveduto ad avanzare la mia proposta al Comune sperando che ora le polemiche sui media lascino spazio ad un'azione concreta dei saonesi e di chi è titolato ad intervenire sulla toponomastica.
Saone, 31 gennaio 2021
Simone Marchiori
Ecco qui, invece, una lettera di senso decisamente contrario, vergata dai già candidato di Casapound Andrea Cipolla e dal già candidato sindaco al Comune di Storo Scaglia Settimo:
L’articolo dove l’ex Segretario dei Laici trentini Alessandro Giacomini chiede a gran voce di “eliminare a manganellate” la targa che segnala una via nel abita di Saone frazione di Tione, mi fa proprio pensare che un popolo senza storia è un popolo senza futuro. La targa in questione è dedicata ad Italo Balbo.
Italo Balbo è stato un politico, generale e aviatore italiano. Iscritto al Partito Nazionale Fascista, fu uno dei quadrumviri della marcia su Roma, diventando in seguito comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e sottosegretario all'economia nazionale.
Giacomini vuole eliminare la storia ITALIANA. Oltre a ricordare un grande aviatore come Italo Balbo, oggi dovremmo iniziare a ricordare anche i Martiri delle Foibe.
Norma Cossetto, istriana nata a Visinada il 17 Maggio 1920 e morta ad Antignana il 5 ottobre 1943, fu una studentessa universitaria italiana uccisa da partigiani jugoslavi nel 1943 nei pressi della foiba di Villa Surani. Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani titini irruppe in casa Cossetto. La studentessa venne portata nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano, dove i partigiani la rinchiusero con altri parenti, conoscenti ed amici. Dopo una serie di trasferimenti, il 30 settembre, il Movimento popolare di liberazione trasferì i prigionieri ad Antignana, dove vennero rinchiusi nell’edificio della locale scuola. Norma, che continuò a rifiutare ogni collaborazione con il Movimento popolare di liberazione, venne poi portata in una stanza a parte dell’edificio, spogliata e legata ad un tavolo, ripetutamente violentata da diciassette aguzzini e, dopo giorni di sevizie, venne gettata ancora nuda nella foiba di Villa Surani, sita alle pendici del Monte Croce, nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del Fuoco di Pola recuperarono la sua salma, sulla quale vi erano ancora evidenti i segni delle torture e delle sevizie subite. L’8 maggio 1949 venne conferita la laurea ad honorem a Norma Cossetto, mentre in tempi più recenti, il 10 febbraio 2011, l'Università degli Studi di Padova e il Comune di Padova, nell'ambito delle celebrazioni per la Giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata, hanno posto nel Cortile Nuovo del Palazzo del Bo una targa commemorativa della morte di Norma Cossetto. Visto l’avvicinarsi del ricordo sui Martiri delle Foibe, è giusto ricordare Norma Cosetto e chiedo all’Amministrazione Comunale di Tione di Trento, di intitolare una targa in memoria, proprio lì, sotto quella di Italo Balbo.
A margine delle proposte riportate nelle precedenti lettere, diamo invece la voce a uno storico, Tommaso Baldo. “Mezzo trentino” e “mezzo ferrarese”, Baldo riflette da studioso del settore rispetto alla parzialità della memoria e alla complessità della questione odonomastica, che da mesi si è riaccesa in tutto il mondo, sull'onda dell'omicidio da parte della polizia di George Floyd. Il collettivo Wu Ming ha lanciato a riguardo sul suo blog Giap una campagna per mappare e poi mettere mano a tutti i toponimi delle città italiane legati al passato coloniale e a quello fascista. Ecco qui la riflessione di Tommaso Baldo:
Senza dubbio è vero che la via intitolata ad Italo Balbo è lì da molti decenni e probabilmente a questo ha contribuito il fatto che stiamo parlando di un paese trentino che non ha conosciuto le spedizioni punitive guidate dal gerarca fascista, di un ambiente del tutto diverso dai paesi emiliani, veneti e romagnoli che videro la sua ascesa ai danni di braccianti e mezzadri, ricacciati a colpi d’arma da fuoco, incendi e manganellate nella condizione di semi-schiavitù da cui avevano cercato di uscire attraverso anni di scioperi e lotte durissime.
Quell’intitolazione è sopravvissuta fino ad ora proprio perché a Saone era qualcosa di “esotico” di cui probabilmente nessuno sapeva il vero significato. Infatti un conto è sapere vagamente che Balbo è stato un gerarca fascista, altra cosa è sapere che uno dei propri bisnonni ha dovuto bersi l’olio di ricino, che la propria bisnonna ha dovuto nascondere per vent’anni il ritratto di Matteotti in un armadio o che la famiglia della propria nonna ha rischiato di morire di malaria grazie alle condizioni di vita a cui l’avevano condannata i proprietari terrieri che hanno finanziato Balbo e i suoi squadristi. Queste cose possono essere nella memoria di chi come me è per metà ferrarese, ma non in quella del “saonese medio”.
Oggi la questione della via intitolata a Balbo è emersa grazie al fatto che sta facendosi discorso pubblico una riflessione storiografica (relativamente recente) su cos’è stato il colonialismo italiano. In un post sul blog “Giap” il collettivo di scrittori bolognesi Wu Ming ha svolto una mappatura delle vie dedicate ai protagonisti di quelle vicende e questo ha spinto ad interrogarsi sull’odonomastica presente nella nostra regione. Insomma la narrazione storica è fatta di diverse fasi e i tempi in cui diventa discorso pubblico sono spesso lunghi e dettati anche dalle vicende di attualità.
Per il resto concordo completamente con quanto scrive Simone Marchiori, in merito al rimuovere i nomi delle vie che celebrano la vittoria italiana nella grande guerra, ovviamente tenendo presente i contesti, la memoria trentina non è quella friulana o veneta, spesso dipende banalmente da quale esercito costringeva al profugato i propri bisnonni e bisnonne.
Personalmente essendo mezzo trentino e mezzo ferrarese ho avuto dei bisnonni su entrambe i fronti e forse si sono anche letteralmente sparati addosso, visto che erano entrambi sul fronte trentino. Nessuno dei due ha “vinto” alcunché nel 1918, sono tornati a casa più poveri di prima, dopo aver visto morire amici e parenti. Nessuno dei due è stato “liberato”, anzi, di lì a pochi anni il regime fascista ha tolto al mio bisnonno trentino la possibilità di ricordare in pubblico il fatto di esser stato un Kaiserjäger e al mio bisnonno emiliano quella di dire che quella guerra era stata un’inutile massacro (oltre che togliere ad entrambe la possibilità di lottare per migliore le proprie condizioni di vita).
Quelle vie intitolate al 3 novembre 1918 o al 24 maggio 1915 in Trentino dal mio punto di vista sono anch’esse un simbolo coloniale, perché il colonialismo dell’Italia “nazione” (cioè dell’Italia del Re, dei proprietari terrieri e degli industriali, della media borghesia “istruita” ecc.) non ha colpito solo etiopi, libici, eritrei e somali, ma anche sloveni, croati e sudtirolesi, anzi potremmo dire che ha colpito allo stesso modo tutte le povere Italie operaie e contadine, socialiste, anarchiche e cattoliche, mandate al massacro in guerre di aggressione che nulla centravano con i loro interessi e la loro libertà.
Come scrisse Giacomo Matteotti nel maggio 1915: “Lavoratori che fate? Toglietevi il cappello! Passa la patria […], passa la rovina, passa la guerra. E voi date ancora la vostra carne martoriata”.
Gli arredi urbani (lapidi, monumenti, ecc.), così come l’odonomastica non sono illustrazioni su un libro di storia, ma strumenti per costruire l’immaginario collettivo, per sancire “l’egemonia culturale” di una o dell’altra parte. Se una comunità decide di rimuovere quei nomi messi a celebrare la “gloria militare” di uno Stato per mettere al loro posto quelli di chi ha fatto del bene al proprio Paese (ad esempio fondando una cooperativa) penso sia un atto di de-colonizzazione finalizzato a liberarci di identità imposte e ancora funzionali solo a chi specula diffondendo l’odio tra la gente comune.
Aggiungo che come si è aperto un dibattito pubblico sul colonialismo italiano, occorrerebbe aprirlo in maniera altrettanto radicale sulla Grande Guerra. Ad esempio domandandosi se non fu quella a segnare il vero inizio del fascismo. La propaganda martellante nelle scuole e in tutta la società, l’arresto degli oppositori, la censura, cominciano nel 1915. Giacomo Matteotti venne confinato in una caserma in Sicilia nel 1916. Nel febbraio 1915 aveva scritto su “Critica sociale” che i lavoratori italiani avrebbero fatto meglio a prendere le armi contro chi li voleva portare al macello anziché contro gli austroungarici esprimendo una visione che di fatto anticipava gli obiettivi e le pratiche che saranno poi quelli della resistenza (Si veda l’articolo Contro la guerra: dal punto di vista del nostro partito, a pag. 146-148 della raccolta dei suoi articoli). Un piccolo esempio di come repressione e resistenza siano cominciati ben prima che Mussolini iniziasse a concionare dal famoso balcone e di come la vera guerra sia sempre stata quella tra l’Italia “nazione” e le tante Italie della povera gente. Direi che la possiamo definire una guerra di liberazione anti-coloniale che prosegue tutt’ora con i mezzi delle guerre “ibride” del XXI secolo, e quindi anche con la contesa dell’immaginario e del discorso pubblico.
Andrea Cipolla e Scaglia Settimo difendono l’intitolazione della via a Italo Balbo definendolo “politico, generale e aviatore italiano”, peccato dimentichino di dire che è stato l’organizzatore delle squadre fasciste che terrorizzarono buona parte della Val Padana. Basta leggere quanto scrive lui stesso nel suo Diario 1922. Ecco cosa scrive ad esempio in merito all’incendio della sede delle cooperative socialiste di Ravenna, il 28 luglio 1922: “Abbiamo compiuto quest’impresa con lo stesso spirito con cui si distruggevano in guerra i depositi del nemico. L’incendio del grande edificio proiettava sinistri bagliori nella notte. Tutta la città ne era illuminata. Dobbiamo oltre a tutto dare agli avversari il senso del terrore”.
Il 30 luglio scrive: “Siamo passati per Rimini, Sant’Arcangelo, Savignano, Cesena, Bertinoro, per tutti i centri e le ville tra la provincia di Forlì e la provincia di Ravenna, distruggendo e incendiando tutte le case rosse, sedi di organizzazioni comuniste e socialiste. È stata una notte terribile. Il nostro passaggio è stato segnato da alte colonne di fumo e fuoco”.
Lo sapete cosa metteva a ferro e fuoco il vostro eroe, signori? Le cooperative che avevano dato lavoro e cibo a prezzi accessibili alla povera gente, i sindacati che ne avevano fatto lavoratori liberi e non schiavi, le biblioteche e le scuole in cui avevano imparato a leggere e a scrivere perché i figli dei braccianti e dei mezzadri andavano a lavorare ancora bambini e la loro scuola era quella che faceva la sera nelle case del popolo qualche maestro socialista. Perché lo facesse è presto detto: nel suo testo Il fascismo a Ferrara 1915-1925 Paul Corner elenca minuziosamente le generose donazioni versate da proprietari terrieri e industriali al fascio ferrarese, di cui Balbo assunse il comando dopo aver ottenuto un contratto scritto che gli garantiva un salario fisso per i suoi servizi da sicario e la promessa di un posto in banca se le cose gli fossero andate male in politica.
Balbo non finì a fare il bancario perché si dimostrò un leader abile e intelligente, al punto da riuscire a dividere il movimento dei lavoratori con promesse demagogiche come la distribuzione della terra in piccole proprietà (che ovviamente non avvenne mai) e la possibilità di impiego in lavori di bonifica, svolti a spese dei contribuenti ma con le terre bonificate che andavano ai proprietari terrieri per pochi spiccioli. Senza dubbio stiamo parlando di un gerarca che riusciva ad essere il volto più accattivante del fascismo, anche più di Mussolini stesso, tant’è che il duce lo spedì a fare il governatore in Libia proprio perché ne temeva la popolarità dopo la sua “trasvolata atlantica”. Ma dietro questo volto accattivante c’era una pratica sistematica della violenza: dopo aver distrutto le organizzazioni socialiste, comuniste, anarchiche e repubblicane toccò ai cattolici, con l’omicidio di Don Minzoni, accoppato a bastonate dagli squadristi ferraresi. Si veda la voce dedicata a Balbo su Dizionario biografico degli italiani della Treccani.
Tutti piccoli particolari della storia “ITALIANA” (scritto in maiuscolo, tanto per sottolineare il proprio feticismo nei confronti di alcuni termini come se fossero parole magiche) che non sapete o che volutamente occultate.
Forse pensate che esistano gli “italiani” come li immaginava il fascismo: una categoria monolitica e uniforme. E questo vi spinge a considerare la storia di industriali, proprietari terrieri, generali, politici (e dei loro sicari) come la storia “ITALIANA”. Ma la realtà è po' più complessa.
Il regime fascista all’inizio degli anni Trenta spendeva milioni e milioni perché Balbo potesse fare il “grande aviatore” volando attraverso l’Atlantico con i suoi idrovolanti, negli stessi anni la famiglia di mia nonna (mezzadri ferraresi, tredici figli) rischiò di morire di malaria al gran completo. Si salvarono perché arrivò il prete di Pomposa con il chinino, pagato con i soldi della parrocchia. L’Italia fascista aveva un’aviazione (più utile per la propaganda che per la guerra come si vedrà poi), ma non un servizio sanitario nazionale; le mutue coprivano le spese mediche solo per alcune categorie, ma i milioni e milioni di famiglie contadine o avevano qualche risparmio da parte o crepavano.
Nel 1931 il 14,5% della popolazione non aveva un reddito sufficiente ad acquistare un paniere di “generi alimentari essenziali”. Erano l'11,5% dieci anni prima, quando ancora Mussolini e sodali non avevano preso il potere (le cifre sono riportate nel libro di Giovanni Vecchi In ricchezza e in povertà, il benessere degli italiani dall’Unità ad oggi edito da Il Mulino nel 2011). Ecco, questa è la storia italiana, senza maiuscole.
Quanto alla vostra idea di intitolare una targa in memoria di Norma Cossetto “proprio lì, sotto quella di Italo Balbo” è perfettamente coerente con la narrazione fascista della storia che avete in mente e che perseguite.
Norma Cossetto è stata una delle centinaia (tra le 500 e 700) persone uccise nel corso dell’insurrezione istriana del settembre-ottobre 1943. Della sua morte sappiamo che fu prelevata il 25 settembre da alcuni insorti dei dintorni (non erano presenti in quel momento in Istria reparti dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, come riportano i documenti presenti nel libro Foibe di Raul Pupo e Roberto Spazzali) e uccisa nella foiba di Villa Surani, probabilmente nella notte tra il 4 e il 5 ottobre, il cadavere venne recuperato il 10 dicembre. Queste sono le uniche informazioni certe, tutte le altre (il suo rifiuto di collaborare con gli insorti, lo stupro, le torture, ecc.) sono state estrapolate da racconti di seconda mano (una donna non meglio identificata li avrebbe riferiti alla sorella) e per di più in un contesto segnato dall’utilizzo propagandistico delle vicende degli infoibati da parte dei nazisti che avevano occupato l’Istria. Insomma informazioni che vanno prese con qualche ragionevole dubbio.
Rimane il fatto che Norma Cossetto sia stata una vittima innocente, non essendo lei una combattente o una spia, colpita solo in quanto figlia di un possidente e gerarca fascista. Varrebbe però la pena di sapere perché ricordare solo lei (e gli altri 500 o 700 infoibati) e non le altre 2.500 persone uccise dai nazisti negli stessi giorni e negli stessi posti, nel corso della loro conquista dell’Istria. Oppure perché solo lei e non Lojze Bratuz, cittadino italiano di lingua slovena assassinato dai fascisti nel 1936 per aver cantato in sloveno in chiesa (morì dopo un mese di agonia, gli avevano fatto bere olio da motore), perché non i 1.500 uomini, donne e bambini croati e sloveni morti nel lager italiano di Arbe o i 269 abitanti di Lipa (quasi tutti vecchi, donne e bambini) bruciati vivi dai nazifascisti nella scuola del paese il 30 aprile 1944 (il libro di Eric Gobetti E allora le foibe? Elenca tutte queste vicende - noi ne abbiamo parlato in un articolo sulle polemiche scaturite ancor prima dell'uscita del volume, ndr). Insomma perché non dedichiamo semplicemente una via “A tutte le vittime civili dei conflitti dell’Alto Adriatico”?
Ma temo di sapere la risposta, si vuole ricordare una vittima solo perché “italiana”, mettendo assieme una vittima e un carnefice. Balbo aveva almeno il pregio di parlare chiaro, considerava gli antifascisti “il nemico” e agiva di conseguenza, quindi per favore piantiamola di tirare in ballo “la storia ITALIANA” e Norma Cossetto, abbiate l’onesta di dire chiaramente che la pensate come lui e che lo volete celebrare per questo.