Le parole 'vietate' da Trump (contro il 'gender') e quelle riabilitate da Milei ('idioti' e 'imbecilli' per chi ha disabilità): il cortocircuito delle destre sul linguaggio
L'attacco delle destre populiste al linguaggio inclusivo dimostra, ancora una volta, quanto il tema sia rilevante: "La questione - dice a il Dolomiti Barbara Poggio - è legata alla volontà di riaffermare una visione 'tradizionale' della società, per nulla inclusiva nei confronti di alcune identità e rivendicazioni"
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TRENTO. Tra i (moltissimi) cortocircuiti interni all'eterogeneo mondo della destra populista – che trova oggi il suo campione nel presidente americano Donald Trump –, quello relativo al linguaggio è forse uno dei più pervasivi. Nelle ultime settimane e negli ultimi mesi gli annunci e i provvedimenti da questo punto di vista non sono mancati, a partire dalle pesanti conseguenze degli ordini esecutivi con i quali lo stesso Trump ha eliminato i programmi Dei (diversità, equità e inclusione), con tutta una serie di parole legate al tema 'vietate' anche nei lavori prodotti dal Centers for Disease Control and Prevention (tra le quali ci sarebbero anche termini come 'gender', 'Lgbt' o 'non binario'). Nella stessa direzione si muove anche la decisione del presidente argentino Milei, che dopo aver annunciato la volontà di eliminare il riferimento al femminicidio dal Codice penale del Paese, ha introdotto espressioni come “idioti”, “imbecilli” o “deboli di mente” per riferirsi a persone con disabilità intellettiva.
Un attacco diretto insomma anche al linguaggio inclusivo, giustificato con l'onnipresente lotta al “woke” e al “gender” che, come spiega a il Dolomiti Barbara Poggio, Prorettrice alle politiche di equità e diversità dell'Università di Trento: “Non è solo 'stile', o 'preferenza'. È un atto politico che mira a delegittimare alcune identità”. Identità che trovano anche nel linguaggio un riconoscimento fondamentale: parliamo infatti di terminologie che, nel corso di un processo durato anni, sono progressivamente entrate nel linguaggio scientifico e comune, andando a delineare una realtà che con un colpo di penna il presidente americano ha cercato di cancellare appena (ri)messo piede nella Casa Bianca. Ma proprio l'attenzione fin da subito riservata alla normazione del linguaggio tradisce il paradosso: a compiere il passo è infatti quello stesso eterogeneo mondo della destra populista che, negli anni, si è dipinto come campione della libertà di parola, minimizzando al contempo – con una continua opera di benaltrismo – l'importanza del linguaggio inclusivo stesso.
“La questione – continua Poggio – è legata alla volontà di riaffermare una visione 'tradizionale' della società, per nulla inclusiva nei confronti di alcune identità e rivendicazioni. Non è un caso infatti che tra le parole delegittimate da Trump ci siano anche quelle legate alle battaglie del movimento femminista o alle discriminazioni razziali”. Ed esempi legati a un contesto del tutto simile non mancano in Italia e in Trentino: “Pensiamo per esempio alla premier Meloni – continua Poggio – che ha deciso di farsi chiamare 'il' presidente del Consiglio, una scelta in qualche modo 'rassicurante' per il modello che rappresenta e che certifica come sia il maschile a legittimare quella posizione”. Lo stesso cortocircuito citato in precedenza è stato poi vissuto direttamente dall'Università di Trento, dice Poggio: “Quando dopo l'introduzione del femminile sovraesteso (Qui Articolo) nel regolamento generale di Ateneo, UniTn è stata al centro di attacchi tanto veementi da parte di chi ci diceva che 'i problemi erano altri' da dimostrare come invece il linguaggio sia considerato trasversalmente un aspetto centrale”.
In altre parole, l'attenzione riservata dai vari Milei e Trump alla questione: “E' la dimostrazione lampante di quanto il tema conti. Da un lato se ne nega la rilevanza, ma dall'altro si interviene appena possibile a livello politico. Se veramente si trattasse di un aspetto irrilevante, perché reagire con tutta questa urgenza?”. Il linguaggio, e la realtà, che si vogliono (ri)costruire sono legati in particolare alla figura stereotipica dell'uomo bianco, abile, etero e via dicendo, sottolinea Poggio: “Lo vediamo anche nel mondo dipinto dal folle e osceno video condiviso negli scorsi giorni da Trump su Gaza: nel breve sketch le donne sono presentate come ballerine mezze nude che accompagnano l'uomo”. Il colmo si raggiunge pensando che l'uomo in questione è lo stesso Trump, che si auto-rappresenta intento a ballare in una sorta di night club prima di bere un cocktail in spiaggia con il premier israeliano Netanyahu (Qui Video).
Al di là dei social però, la decisione di Trump sta proiettando lunghe ombre sulla comunità scientifica statunitense, che si trova a fare i conti con le ultime disposizioni del presidente Usa. “Alcuni dipartimenti sono stati già chiusi – conclude la Prorettrice – ricercatori e professionisti stanno subendo attacchi duri. Ci sono colleghe e colleghi negli Stati Uniti che mi hanno confermato la volontà di spostarsi in Europa per continuare il loro lavoro in vari ambiti, dagli studi di genere a quelli climatici fino alle migrazioni. Molti all'interno della comunità accademica Usa sono sotto choc, sommersi dalla pletora di affermazioni e prese di posizione estreme della nuova amministrazione, che segue così alla lettera una delle strategie delineate da Steve Bannon: colpire velocemente con una quantità enorme di provvedimenti. Ci vorrà del tempo per permettere alla comunità accademica di organizzarsi e portare avanti un lavoro collettivo: oggi ci troviamo di fronte alla prospettiva di un esodo di accademici e ricercatori che dagli Stati Uniti porti in Europa, seguendo una rotta inversa rispetto a quella risalente all'epoca degli autoritarismi e delle dittature nel Vecchio continente”.