I dazi e il (disunito) fronte europeo, Carlo Cottarelli a il Dolomiti: “Trump minaccia per ottenere qualcosa, chi lo sostiene indebolisce la posizione Ue”
La guerra commerciale targata Trump (per il Wall Street Journal “la più stupida di sempre”) e il timore dei dazi in Europa, parla Carlo Cottarelli: “Il nuovo presidente Usa vende ai suoi elettori l'idea che i dazi siano una tassa che pagheranno gli altri Paesi, ma gli studi confermano che il costo ricadrebbe proprio sui cittadini americani”
WASHINGTON. Dalle parole ai fatti, e poi di nuovo alle parole. Lo strappo in avanti dell'aggressiva politica commerciale americana da tempo annunciata dal (di nuovo) presidente Donald Trump si è concretizzato negli scorsi giorni con la notizia di nuovi dazi sulle importazioni da Messico, Canada e Cina; per poi ricomporsi, almeno in parte, con la sospensione temporanea delle misure annunciate per i vicini del Sud e del Nord. Ma all'interno della “più stupida guerra commerciale della storia” (così l'ha definita il Wall Street Journal, sottolineando come i dazi annunciati per Messico e Canada siano stati del 25% contro il 10% imposto al vero “avversario” degli Stati Uniti: la Cina), il nuovo capitolo si annuncia ora essere quello europeo, dove il timore (anche a livello locale, Qui Articolo) per gli effetti dei dazi annunciati si accompagna a una situazione politica (ed economica) interna non certo rosea. Soprattutto, diversi dei leader europei (per dettagli si guardi al meeting dei Patrioti europei di Madrid) sembrano ben più in sintonia con Washington che con Bruxelles, minando alla base la possibilità di una risposta europea coesa. Un elemento di estrema importanza e sul quale il noto economista Carlo Cottarelli, contattato da il Dolomiti per approfondire la situazione, non ha dubbi: “Senz'altro il fronte europeo in questo momento non è unito, e chi sostiene Trump indebolirà la posizione dell'Unione”. Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto, precisa Cottarelli, è necessario comprendere in che misura Trump usi lo strumento della 'guerra commerciale' come potere negoziale per ottenere altro: “Con la minaccia dei dazi – spiega – Trump punta sempre a ottenere qualcosa, da rivendicare poi a livello politico sul fronte interno. Nel caso europeo potrebbe essere un aumento delle importazioni Usa o, più probabilmente, un aumento della spesa militare. Se poi si dovesse arrivare all'imposizione effettiva di dazi, come avvenuto negli scorsi giorni con l'aumento delle tariffe alla Cina, allora si entrerà nel campo di una vera e propria guerra commerciale e a quel punto tutto dipenderà dall'entità dei dazi stessi”.
Certo, una distinzione in questo caso va operata tra un sistema economico come quello cinese (da tempo accusato di pratiche commerciali scorrette, a partire dal dumping e dal furto di proprietà intellettuale, dagli americani stessi) e i tradizionali partner occidentali degli Usa: “Quando si parla di politiche commerciali con Paesi molto diversi – sottolinea Cottarelli –, all'interno dei quali ci sono per esempio standard problematici sul fronte della tutela sociale, del lavoro, degli standard ambientali, è comprensibile valutare l'imposizione di dazi. Difficile è giustificare l'applicazione di tariffe nei confronti di Paesi occidentali, all'interno dei quali quegli standard sono applicati trasversalmente, a livelli anche più alti di quelli americani parlando dell'Europa. Il problema in questo contesto è legato alle politiche economiche americane, che portano a maggiori importazioni. L'insieme di un deficit pubblico americano molto alto e di alti tassi di interesse porta a una sopravvalutazione del dollaro, che in questo momento è troppo forte e danneggia le esportazioni Usa”.
Andando poi nel dettaglio, e guardando all'interscambio Usa-Ue non solo nell'ambito industriale-manifatturiero ma anche dei servizi, lo squilibrio a sfavore degli Stati Uniti non è in definitiva così grande: “Parliamo dello 0,2% del Pil – dice Cottarelli –. L'Europa importa servizi dagli Stati Uniti ed esporta merci. Anche guardando ai dati si tratta di una 'guerra' completamente ingiustificata. Per Trump la minaccia dei dazi è uno strumento per ottenere qualcosa in cambio, e non è detto che l'entità della richiesta sia necessariamente molto grande".
Se guardiamo al caso messicano per esempio, continua l'esperto: “I dazi sono stati sospesi sulla base della promessa di inviare circa 10mila soldati sul confine. Trump poi è molto bravo a sventolare qualunque cosa come una grande vittoria, ma di fatto potrebbe accontentarsi di poco. Visto e considerato tra le altre cose che in caso di una 'guerra' dei dazi si registrerebbero danni pesanti anche per l'economia americana. I dazi sono di fatto una tassa e Trump vende ai suoi elettori l'idea che a pagarla sarebbero i Paesi che esportano merci negli Stati Uniti: gli studi dimostrano però che il costo ricadrebbe al contrario proprio sui cittadini americani”. In altre parole: i costi verrebbero (in parte) trasferiti ai consumatori, con l'aumento dei prezzi dei beni.
Per Cottarelli è comunque improbabile che si arrivi all'imposizione generalizzata di dazi e contro-dazi (“a quel punto gli effetti, inevitabili, per l'economia globale sarebbero da valutare sull'entità dei dazi stessi” ribadisce): “Credo che l'aspetto della mediazione sarà prevalente. Su questa sponda dell'Atlantico già si ragiona di negoziare, per esempio, sul limite della spesa militare per gli Stati Nato, che Trump ha ipotizzato addirittura di portare al 5% (anche se oggi, in termini assoluti, i 27 Stati dell'Unione spendono già il 35% in più della Russia, per esempio)”. Altri ambiti spesso al centro delle discussioni in merito alle future relazioni con Washington sono l'aumento dell'importazione di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti e maggiori investimenti europei. Parlando d'Europa però, il timore è che Trump punti a rompere il fronte, arrivando ad accordi bilaterali con i singoli Paesi. Un'eventualità della quale si è parlato in più occasioni, con riferimenti in particolare alle forze politiche più vicine alle posizioni del tycoon (Qui Articolo).
“Senz'altro – conclude Cottarelli – il fronte europeo non è unito. Chi sostiene Trump oggi indebolisce la posizione Ue, rendendo di fatto più facile un accordo maggiormente favorevole all'amministrazione Usa. Giorgia Meloni in particolare può giocare un ruolo importante in questo contesto: vedremo che ruolo sarà, se cercherà di favorire il dialogo o di spezzare il fronte europeo”.