Ucraina, il grande ricatto Usa: “La 'pace' di Trump è la vittoria della Russia, ma Putin non si fermerà: è un copione già visto”
L'analisi del giornalista e autore Danilo Elia: “La guerra si inizia a percepire come un sottofondo, come qualcosa di lontano, tanto che Zelensky si trova da tempo in difficoltà sul fronte dei reclutamenti. Ed è proprio in questo contesto che una proposta di pace, seppur non giusta, seppur ricattatoria, può far breccia in molte persone"
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TRENTO. In uno scenario internazionale esasperato dalla brutale politica di potenza del (di nuovo) presidente americano Donald Trump (ne abbiamo parlato negli scorsi giorni insieme allo storico Mario Del Pero, Qui Articolo), sulla questione ucraina gli Stati Uniti stanno seguendo da settimane un doppio binario, aprendo da una parte alla Russia e siglando, dall'altra, un accordo con Kyiv per cedere agli stessi Usa parte degli introiti legati alle terre rare ucraine (senza fornire, però, chiare garanzie di sicurezza: l'Ucraina “può sognarsi la Nato” ha detto oggi Trump). Un cambio di prospettiva radicale che, al netto delle valutazioni geopolitiche del caso, ha avuto (e sta avendo) profonde ripercussioni sul popolo ucraino (Qui Articolo), impegnato da oltre tre anni nella difesa del suo territorio e della sua indipendenza di fronte all'invasione su larga scala delle forze russe. Non a caso infatti per molti la mossa di Trump rappresenta un vero e proprio ricatto (su Foreign Policy è stata definita “Un atto straordinario di estorsione”), che arriva tra l'altro proprio nel momento di maggior difficoltà per il Paese.
Di quest'idea è anche Danilo Elia, giornalista Rai, profondo conoscitore della situazione ucraina e autore del libro 'Ucraina, una guerra annunciata': “Ci sono varie considerazioni da fare – spiega a il Dolomiti – per valutare le leve sulle quali l'iniziativa americana sta facendo forza. Ho confronti quasi quotidiani con cittadini e militari ucraini, e i sentimenti più diffusi in questo momento sono stanchezza e frustrazione. Con una situazione militare sul campo molto difficile (per usare un eufemismo), è dura per i militari in trincea, per i feriti, per le famiglie dei caduti, vedere l'Ucraina svenduta in questo modo: lo sconforto si trasforma in rabbia che a sua volta muta in frustrazione”.
In questo momento si percepisce nelle zone ucraine più lontane dal fronte un fenomeno che lo stesso Elia aveva già visto, seppur su tutt'altra scala, durante la guerra del Donbass: “La linea del fronte praticamente non si muove – spiega – e nelle città a centinaia di chilometri dal conflitto, a Leopoli o a Kyiv, nonostante la guerra si percepisca quotidianamente tra missili e droni, si sta sviluppando un sentimento di rifiuto. La guerra si inizia a percepire come un sottofondo, come qualcosa di lontano, tanto che Zelensky si trova da tempo in difficoltà sul fronte dei reclutamenti. Ed è proprio in questo contesto che una proposta di pace, seppur non giusta, seppur ricattatoria, può far breccia in molte persone”.
A livello pratico l'Ucraina, soprattutto la zona orientale del Paese, è un territorio ricco dal punto di vista minerario: nonostante i proclami di Trump e le cifre in discussione (i più volte sbandierati “500 miliardi di dollari” di controvalore richiesti dal tycoon) però, l'area rimane in parte sotto il controllo russo e attualmente è difficile stabilire con chiarezza quali materie siano presenti e in che quantità. Il tutto senza contare che, una volta individuati, eventuali giacimenti devono essere ovviamente sfruttati. “Il paradosso – continua Elia – è che in questo modo si chiede in pratica all'Ucraina di pagare i costi derivanti dall'invasione russa, tagliando fuori tra l'altro l'Unione europea. La posizione dell'Ue, sostenuta dalla precedente amministrazione Usa, è invece inversa: di agire per far pagare a Mosca i danni della guerra che ha scatenato”.
A favore della posizione americana giocano in poche parole le due grandi problematiche che sottendono l'attuale fase di fragilità e debolezza ucraina: la stanchezza e la frustrazione, più che comprensibili, della popolazione e l'incapacità dell'Unione Europea di garantire la sicurezza di Kyiv. “Possiamo poi fare un altro ragionamento – continua Elia –: gli aiuti militari che fino all'insediamento dell'amministrazione Trump sono stati garantiti all'Ucraina sono arrivati con il contagocce, gettando di fatto le basi per questa situazione: per molti, e mi includo tra questi, fornire armi all'Ucraina per alimentare le forze di resistenza e difesa dall'invasione era la cosa giusta da fare, ma le modalità con cui gli armamenti sono stati forniti hanno permesso alla resistenza stessa a malapena di reggersi. La fornitura di armi in altre parole è stata appena sufficiente a consentire alle forze ucraine di non cedere: se le forniture fossero state più massicce e tempestive la posizione ucraina sul campo oggi sarebbe probabilmente ben diversa”.
“D'altronde – continua l'esperto – uno degli argomenti dei cosiddetti fautori della pace, cioè che la sconfitta della Russia sul piano militare sarebbe stata un'illusione, è stato confutato fin dall'inizio dell'invasione: dobbiamo ricordare come per gli analisti russi Kyiv sarebbe caduta in tre giorni, l'intera Ucraina in sette. Dopo tre anni di conflitto invece i russi controllano poco meno del 20% del territorio ucraino, area alla quale va sottratta la Crimea e parte del Donbass già occupati dal 2014. In altre parole, considerando i rapporti di forza, la progressione delle forze russe è stata irrisoria”.
A questo punto però una “pace” come quella immaginata da Trump finirebbe, inevitabilmente, per rappresentare di fatto una “vittoria” della Russia. “Sicuramente – dice Elia – un'evoluzione del genere finirebbe per allontanare a tempo indeterminato l'Ucraina dalla Nato e dall'Europa. Nel medio-lungo termine la Russia non si accontenterà di altro se non di uno stato fantoccio. Sembra di essere di fronte a un copione già visto poco più di 10 anni fa: non a caso molti ucraini parlano delle trattative in corso come del prodromo per degli accordi 'Minsk 3', citando direttamente gli accordi 'Minsk 1' e 'Minsk 2' del 2014 e 2015, due fallimenti totali a livello diplomatico che hanno aperto la strada a quanto avvenuto nel 2022. E mentre si tratta per una tregua, gli attacchi russi si intensificano: una strategia, ancora una volta, già vista durante la guerra del Donbass”. Così, tra la popolazione allo stremo e le pressioni (talvolta predatorie) esterne, si parla di 'pace' per lasciare, di fatto, a Mosca parte del territorio ucraino: “Il problema – conclude Elia – è che non basterà”.